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10 septembre 2009 4 10 /09 /septembre /2009 00:06
Quando leggerete le righe che seguono…(beh…questo è detto dal punto di vista della temporalità mia : se applico “il vecchio vizio” di mettermi nei panni – pelle, occhi, testa, sguardo – d’altrui, dovrei dire “State leggendo queste righe, e …”), si saprà già l’esito della partita mortale che si gioca in Brasile,  si conoscerà la natura della decisione della Corte suprema di quel paese, che comincia a decretare il destino di un solo.         Beninteso, quale che sia la decisione, essa non è l’ultima manche: il < Supremo> –come si dice laggiù, accordando il genere con Tribunale – decide se dichiarare chiusa la procedura d’estradizione, resa cadùca dalla decisione presa all’inizio dell’anno dall’Esecutivo nella persona del Ministro di Giustizia Tarso Genro, o se “la guerra continua…”. Certo, se decidono di andare avanti, nella decisione c’è un presagio forte, un malaugurio, rispetto al futuro pronunciamento della stessa istanza sull’estradabilità o meno di Cesare Battisti. Resterebbe comunque l’ultima parola che, a norma di Costituzione (e salvo cambiamenti  ad hoc, ventilati dalla destra più revanchista , ma non molto probabili), spetta al presidente Ignacio Lula da Silva.
    Chi scrive – “al buio”, dunque – ritiene che, comunque vada, alcune valutazioni di merito e di metodo sulla campagna condotta a favore di Battisti dovranno essere oggetto di riflessione, e bilancio: al di là, oltre la contingenza, si tratta di cose altamente sintomatiche, e che costituiscono, come “tutto” (gesti, condotte, linee di condotta, e soprattutto gli atti di parola, i più pesanti nella lunga durata), un precedente. Se, come febbrilmente speriamo per una serie di motivi svariati e diversi e concorrenti che sono evidenti e che non c’è qui spazio per ricordare – la decisione rappresenterà l’uscita da un tunnel d’incubo : all’inizio sarà il sollievo, punto e basta.   Ma anche in questo caso resta, che a nostro – ragionato fino allo spasimo – giudizio, pensato e ripensato col massimo di riflessività, simmetria, sforzo  di fuoruscita dal proprio punto di vista e presa in esame senza pregiudizi di quelli altrui,  se non si fosse imposta a coprire ogni altra voce e linea di difesa la campagna dotata di più risonanza e audience, quella condotta da “scrittori e popolo”, romanzieri di grido in ispecie francesi, forse quest’uomo sarebbe da tempo già libero di camminare  per le strade, di Rio o addirittura di Parigi.
    Chi volesse argomentare una confutazione pertinenente di questo giudizio, farebbe cosa utile e sarebbe il benvenuto. Chi piuttosto volesse pensare (e saranno legioni, ma le maggioranze non fondano di per sé un criterio di verità, non più di quelle berlusconiane o ben oltre, nevvero?), chi – con buona o mala intenzione, maliziosa  – volesse vedere in questa puntigliosa insistenza una sorta di meschinità identitaria, pignoleria pedante, sicumèra isterilita nella testardaggine… beh, non diciamo nemmeno honni soit qui mal y pense, diciamo solo “contento lui…”.
    Se – per mala ventura… come suol dirsi, “nella dannata ipotesi che…” – il risultato dovesse essere negativo, la questione diventerebbe di bruciante urgenza, in vista delle fasi che si aprirebbero. Certo, in questo caso sarebbe ancor più necessario, per le sue ricadute pratiche immediate, questo impietoso ripercorrere criticamente un concatenamento di episodi che non possiamo che comparare a “fuoco amico” (pur se benintenzionato, amicissimo, amico intimo; pur se condiviso da chi è l’oggetto e ha la sua vita in gioco nella vicenda; pur con la pena, il disagio di dir qualcosa che inevitabilmente  risulta crudele, in ispecie nei confronti di una persona – Fred Vargas – alla quale ogni errore “dovrebbe esser perdonato, perché molto ha amato”, perché con una dedizione e una abnegazione più che rare ha buttato la sua vita in questa battaglia, foss’anche con logica da combattimento contro mulini a vento). E dunque, andiamo.
Le informazioni che ci giungono dal Brasile, coincidenti con ciò che è riferito da varî organi di stampa, confermano che, nella partita che si gioca oggi, l'argomento-chiave della parte italiana (che sarà illustrato dall'avvocato Bulhoes, <spalleggiato dall' "inviato" del Governo, il capodipartimento del Ministero della Giustizia procuratore Italo Ormanni) sarà che dichiarare caduco il processo d'estradizione in forza dell'asilo politico concesso dal Governo brasiliano, << sarebbe come gettare un'ombra su un Paese, nel quale il rispetto della democrazia, dei diritti e delle garanzie non è mai venuto meno, neanche nel contrasto al sanguinoso fenomeno della lotta armata negli anni Settanta >>, come avrebbe dichiarato recentemente al presidente Lula il nuovo ambasciatore d'Italia in Brasile La Francesca, in occasione della presentazione delle proprie credenziali. Senza omettere di aggiungere che l'esito del <caso-Battisti> preoccupa personalmente il capo dello Stato Giorgio Napolitano, il quale tiene particolarmente a cuore il 'buon fine' della richiesta d'estradizione (cfr. Il Corriere della Sera, 8 settembre 2009, pag. 16).
    E' "da sempre" evidente che questo – il rischio che ogni rifiuto d'estradizione implicitamente contenga un elemento di delegittimazione della Giustizia italiana, una sorta di <<disconoscimento da parte dei suoi Pari> – è il nervo scoperto dell'establishement italiano nel suo insieme. Lo era già, in modo parossistico, all'epoca della politica di Mitterrand (la cosiddetta-<dottrina>) di riconoscimento di un asilo di fatto a profughi da democrazie, in particolare dell'Unione Europea, e nella fattispecie fuggiaschi dall' <Emergenza antiterrorista> italiana.Ricordiamo l'ossessiva richiesta di "almeno uno" , per il principio, per sfatare anche solo l'ombra di un dubbio... Ricordiamo i carteggi interministeriali pubblicati all'epoca in Francia, sulla ricerca del tipo ideale di capro espiatorio (che a questo sia da addebitare, almeno in parte, l'eccezione iniqua rappresentata, rispetto ad una serie ininterrotta lungo molti anni, ad una pregressa 'regolarità' senza deroghe, da Paolo Persichetti e dal suo "caso", dal trattamento ricevuto che 'scartava' rispetto ad una consuetudine consolidata?). Ricordiamo l'assoluta ostilità, in primis di tutti gli avvocati di noi italiani e dei loro "benevoli" interlocutori istituzionali, alla formulazione di qualsivoglia domanda di <<asilo politico>> formale, vale a dire di domanda di uno statuto di rifugiati ai sensi dell'art.1 della Convenzione di Ginevra sulla protezione a rifugiati ed apatridi.
 [ Il sottoscritto potrebbe ricordare il blocco di una proposta, avanzata da lui stesso e dai suoi compagni della linea della rivendicazione di un < asilo uno, indiscriminato, indifferenziato, incondizionato : asilo 'per tutti e ciascuno'> , e cioé  all'idea di compiere un atto simbolico di richiesta di asilo politico da parte di noi non-dissociati, in quantoché, poi che il super-sanzionamento legato non già a fatti, ma a posture, idee, opinioni, linee di condotta, 'letture' storiche, giudizî etico-sociali, finiva per configurare una fattispecie di quanto definito come requisito soggettivo per fondare una richiesta di asilo anche formale. L'impunità dei "pentiti" e la semi-impunità dei "dissociati" omologati, ,gli <ammittenti>, provava che non erano più fatti, azioni, ad esser puniti, ma bensì un atteggiamento, uno 'stato di coscienza'. E che dunque noi potevamo rientrare nella tipologia di chi puo`dimostrare di esser perseguitato -- cosi' come per ragioni di <razza, religione, opinioni politiche> - per un atteggiamento etico-politico. Evidentemente, il gesto voleva avere un carattere di provocazione intellettuale per riproporre la questione di un’amnistia…Ebbene, dai nostri difensori, amici, consiglieri, tutte le pressioni vennero messe in opera (probabilmente, sul piano pragmatico, a ragione) per dissuaderci nel modo più categorico ; anche instillandoci lo scrupolo - un auto-ricatto morale -- sul rischio a cui esponevamo l'insieme della 'colonia' rifugiata].
    Ora, la parte italiana mènte quando si straccia le vesti ; disconosce, con un vero e proprio "negazionismo", il carattere oltretutto antigiuridico dell' <Emergenza>, di questo stato d'eccezione -- per sovrammercato -- dissimulato, inconfessato, epperciostesso senza confini, limitazioni, vincoli, perciostesso più pervasivo e subdolo [...]. Proprio per questo, sta a noi – anche indipendentemente dal "caso Battisti" -- confutare queste menzogne. Ma, certo, lo si fa in modo tanto più agguerrito, tagliente e micidiale  se si avanzano prove (che esistono, ad abundantiam), e se si fa un discorso circostanziato. Se invece si strafà, con una propaganda che altro non è che speculare disinformazione ; se -invece portare il fuoco della critica e della denuncia sull'<Emergenza> -- si straparla raccontando di un "Italia mai uscita dal fascismo", di "strategia della tensione" come dominante, come paradigma interpretativo di un'intera storia sociale, si fa davvero un en plein di tutto il possibile negativo.            Per dirla in brave, per intanto. Cominciando "dalla fine", dalla posta in gioco 'locale', dal carattere efficace o controproducente delle frecce argomentative : primo, si provoca una reazione isterica, si spinge al ricompattamento, all'union sacrée, alla competizione zelante di tutte le componenti della "parte richiedente", italiana. Secondo, il carattere sgangherato, autocontraddittorio dell'argomentario offre ai peggiori malintenzionati il destro per ridicolizzare i sostenitori di Battisti, e parossisticamente "mostrificare" lui. Per rappresaglia, e anche perché si trovano messi come ratti nell'angolo. Il "generone" dell'intellighentzsja di sinistra -- che eventualmente quella Vulgata ha diffuso per ragioni di bottega, di demagogia sul mercato politico, di killeraggio dei concorrenti -- è il primo a sbranare chi pensi di usarla per altre cause.
Un riscontro flagrante. In effetti -- come si ripete ogni anno nello stanco rito della celebrazione, il 2 agosto, della strage di Bologna dell' '8O -- quella Vulgata non si contenta dell'omologazione istituzionale (la targa che sancisce il carattere di attentato e dichiara esserne autori i fascisti; la condanna passata in giudicato di alcuni fascisti 'concreti', singolari, in carne ed ossa ; la messa in questione di alte sfere dei servizî segreti per "depistaggi varî"). Pretende che i fascisti colpevoli siano proprio quelli, non possano non essere loro ; ma esige al contempo il diritto alla querulenza e a menar scandalo perché sarebbero stati occultati   "i mandanti" ; e per di più, rinnova il pollice verso verso i <terroristi rossi> : chè di quella lettura dietrologica – strutturata nella dottrina passe-par-tout del <doppio Stato> – fa parte organica la litania sul "terrorismo come categoria unica", sui "rossi cosiddetti", in realtà impensabili altrimentui che come articolazione -- oggettiva e anche cosciente -- di un unico disegno, marionette mosse da un unico puparo..). Figurarsi se LorSignori potrebbero accettare la -- peraltro mezza, assai parziale, verità -- che crede di ricordare la lott'armata come 'reattiva' alle trame, massacri, tentativi di golpe ;  come -- al fondo – intrapresa in difesa della democrazia antifascista e costituzionale della <Repubblica fondata sul Lavoro>. Figurarsi se possono addirittura riconoscere in qualche modo una sorta di "attenuante <per i particolari motivi morali e sociali> all'insieme -- o anche solo a una parte (altra nefasta illusione, oltretutto) di quella "generazione" pervenuta sino alle armi !
Terzo, un dettaglio significativo : se si evocano torbide vicende avvenute recentemente in Italia, come la collaborazione dei Servizi o parte di essi, in combutta con servizî CIA,  al kidnapping di un Imam  “ultra-islamista” a Milano per trasferirlo con azione <criminale>  in carceri  illegali localizzate in Egitto per conto degli USA, si provocherà la risposta con toni gongolanti del Procuiratore Spataro, che può ritorcere che l'Italia fa eccezione, perché è il primo Paese ad aver scoperchiato questo verminaio! Senza mancare di aggiungere che è stato proprio lui il magistrato dell'accusa che ha incriminato mezza-Cia.... (...). Così, il fatto che lo stesso Spataro ha -- in particolare nelle azioni, nelle istruttorie, contro i PAC (...) e dintorni -- usato mezzi abietti e illegali, pressioni fino alla tortura, finirebbe per essere occultato e "passare in cavalleria"...!

Sarebbe dunque assurdo che, con l'unico risultato di farsela ricdere sulla testa, si lanciasse la pietra di una lettura dietrologica degli anni '70, tratta pari-pari dalle mefitiche flatulenze dei teorici del <doppio Stato>. Ricorrendo a questo argomentario di campagna, a) si effettua una colossale sineddoche, che riduce un'intera storia sociale a questo, occultando, con un enorme diversivo, la natura del sistema e il carattere sovversivo, anti-sistema delle lotte di quegli anni ; b), parlando delle censure mosse all'Italia da organismi internazionali, come se l'Italia fosse l'eccezione, si dice una verità men che mezza, specie quando si chiede a suoi Pari (davvero "in tutto": anche nelle censure ricevute, a cominciare dalla Francia) di "scagliare la prima pietra", riconoscendo loro questa legittimità ; c) si vuol cancellare tutta la memoria -documentata in una infinita pubblicistica - sul Maggio trampante, su l'Italia laboratorio sociale di nuove forme di lotta, su l'Italia anello forte del sistema mondiale delle lotte ; su la rivoluzione culturale nelle fabbriche…  Ciò, a favore di una lettura bolsa, falsa, e controrivoluzionaria (che considera impensabile una rivolta, tanto più contro lo sviluppo capitalistico, contro i Paesi avanzati, le forme <democratiche>  del governo…).
    Di argomenti ce n'è, sia per far leva su concetti solidi e forti, adeguati alla contingenza immediata ; sia per proseguire comunque una battaglia, usare il precedente che si riesce a strappare, stabilire una giurisprudenza, argomentare lasoluzione amnistia, e senza niente barattare delle radici critico-radicali e degli orizzonti sovversivi .....

Non possiamo non concludere (comunque per un background di riflessione           “a futura memoria”, per ciò che è  del metodo e dei contenuti del ragionare in modo indipendente, critico, capace di tenere assieme principi e orizzonti, ed efficacia “micropolitica” locale; ma anche per anticipare già qualcosa rispetto alla eventuale, malaugurata necessità di riprendere questa battaglia – non foss’altro che concedendoci una specie di atteggiamento apotropaico, “per scaramanzia…”), non possiamo non concludere indicando anche semplicemente i titoli dei punti di un argomentario al contempo rigoroso, degno, epperciòstesso suscettibile di risultare efficace
* Il primo punto è giuridico, cioè squisitamente politico. Dislocato come offensiva sul terreno “loro” (inteso come “LorSignori”, uomini dell’establishement, delle nomenklature, dei poteri sociali costituiti, politicians, statisti…), per inserire un cuneo, affondare un coltello nelle procedure autocontraddittorie, nelle <razionalizzazioni> surrettizie, incongrue rispetto ai proprî stessi presupposti enunciati.
Per attaccare l’antigiuridismo intrinseco dell’<Emergenza antiterrorista> – e in generale dell’ “emergenza come forma di governo” in Italia –, non servono forzature propagandistiche (che rischiano di diventare un surrogato intellettualmente viziato del pensiero critico – per non dire del pensiero tout court : propaganda che si fa pensiero, dominata da una tara omologica, da una coazione ad esasperarla in mimetismo, nella forma della concorrenza o della ritorsione, che finisce per essere la forma estrema di “servitù volontaria”). Non possiamo richiamare qui neanche per sommi capi l’argomentario di “critica dell’economia politica dell’emergenza”, e neanche un catalogo delle sue forme: ci limitiamo a ricordare cosa significhi dal punto di vista della <valutazione della prova> (come recita l’articolo 192 del Codice di procedura penale) – una <verità giudiziaria> decretata sulla base dei récits, alquanto orridi, risultanti da una scrittura a quattro mani tra degli story-teller disinteressati come possono essere i “pentiti”, e procuratori e giudizi istruttori militanti  fino alla più dichiarata faziosità. Ci limitiamo  ad accennare a un processo di decretazione della verità ( talché, il passato diventa quant’altro mai aleatorio, e soggetto ad arbitrî e stupri : semantici, mnemonici…,  anzi, ad un vero e proprio ius primae noctis con Madame la Verità…  Questo, in un continuum che comincia da un pre-giudiziale, e pre--giudiziario, processo a mezzo stampa e mass-media in genere : Spettacolo del’Opinione, concatenamento di sofismi, di deduzione e abduzioni inquisoriali, che poi attraversano e sovradetreminano le varie fasi del processo, e poi ancora, tracimano nell’infinito sconcio di una volontà di sfiguramento e annientamento come pena infinita, oltre la vita e la morte…Accenniamo solo alla commistione fra elementi residuali e totalmente disincarnati di mero simulacro di forma giudiziaria, al gioco di disinformazioni&contro-disinformazioni e meta-disinformazioni paranoiche o politicamente utilizzanti logica paranoica, con demagogia macro- e micro-fisica  che produce e riproduce alienazione populistico-penale… Dobbiamo ricordare anche gli episodî puntuali di passaggio dalle forme di pressione sul piano del mercanteggiamento, della suggestione, della violenza psicologica e morale (col loro effetto maieutico rispetto al terreno, “umano troppo umano”, di rancori, risentimenti e altre “passioni tristi”) al ricorso a forme di vessazione, sevizia, tortura fisica.              
    Proprio per questo è certo, che ogni retrodatazione di questo “livello della giuridicità”, è lesivo oltretutto dell’efficacia della battaglia. Pensiamo, nella fattispecie, ai primi anni 70 : erano quelli in cui la forza del movimento per “Valpreda libero!”, incastonata nel contesto di un’onda lunga di contestazione generalizzata delle istituzioni sociali, aveva  imposto d’impeto modificazioni strabilianti della <costituzione materiale>,  determinato allargamento delle garanzie, messa in mora di dispositivi repressivi correnti, quali il fermo e l’interrogatorio di polizia e tutto il connesso armamentario. Che poi, a partire dalla legge-Reale prima,  poi dall’emergenza carceri nel 76, e soprattutto dopo l’affaire-Moro, si sia prodotto un ciclo inverso, le brecce, invece che diventare squarci, siano state richiuse, anzi : che tutto questo sia stato rimangiato con interessi elevatissimi,  conferma solo che esiste evidentement un intreccio continuo di azione e di reazione, di rivoluzione e controrivoluzione, di tendenze all’insurrezione e di contro-insurrezione preventiva ; e che,  <potere e contropotere, alla lunga è la forza che trancia>.
E continuiamo l’elencazione degli argomenti di una – se necessario – possibile campagna.
** Critica del carattere  anche <antigiuridico> della decisione francese di dichiarare Battisti estradabile, e del rigetto dei ricorsi al Consiglio di Stato e ad istanze europee avverso il decreto d’estradizione. La critica si appunta al rovesciamento di giurisprudenza sulla questione della contumacia ; all’applicazione retroattiva di questo rovesciamento ; al calpestamento del principio del ne bis ni idem, cioè del principio secondo cui <nessuno può essere giudicato due o più volte per gli stessi fatti>.
*** Rivendicazione del fondamento giuridico-politico, costituzionale, di un rifiuto dell’estradizione di Battisti da parte del Brasile . Ci limitiamo  ad indicare le ragioni macroscopiche : la prima, è che, avendo il Brasile abolito l’ergastolo, dovrebbe valere quello che vale per la pena di morte: è riconosciuto legittimo tra partners della stessa natura – statuale – che il Paese a cui è richiesto di estradare rifiuti di inviare qualcuno a subire  una qualità di pena che in questo Paese sia stata abolita o non esista. La seconda, è che esiste la regola dell’applicazione al caso in oggetto da parte del Paese “richiesto” – così come delle proprie regole di procedura, della lettera e dello spirito del proprio “ordine giuridico interno” oltreché di quello internazionale –  di misure prese rispetto al trattamento penale nel proprio spazio di sovranità: nella fattispecie, l’amnistia per reati d’ispirazione politico sociale, quantunque definiti dall’aleatorio termine <terrorismo>. Tralasciamo  di parlare del punto della contumacia e di altri esistenti ad abundantiam. Nonché dei problemi riguardanti la separazione dei poteri e il rispetto delle rispettive sfere di decisione sovrana. A questo si possono aggiungere coinsiderazioni di senso comune –  le stesse che fondano il principio delle prescrizioni – sulla mostruosità di una giustizia infinita, sull’assurdità di una temporalità immobile, se non regressiva, che contraddice tutto il pensiero giuridico sulla pena, salvo nel caso di presupposti teologici, o da <Stato etico>.
    La materia per una appassionata, rigorosa, efficace campagna dunque esiste. Spesso, si verificano delle coincidenze contingenti (per sovrapposizione, come nel caso della luna e del sole nelle eclissi…), fra  interesse e passione nostra, e interesse loro, di questi e quelli del loro ‘campo’.
Noi non coltiviamo illusioni, ingenue o più o meno oggettivamente subalterne e conniventi con la fame di legittimazione dell’ordine costituito. Beninteso, non dimentichiamo (ma proprio per questo non abbiamo bisogno di ripetere, di ripetercelo, come un ritornello, una giaculatoria) che <Non si governa senza crimine>, com’è detto nel Principe di Machiavelli (e poco importa se al primo grado, come precetto al duca Valentino, o al secondo, per “alle genti svela[re] di che lagrime grondi, e di che sangue….>). Sappiamo che descrive il vero, ciò che è, la massima attribuita a Stalin (in questo caso, enunciata “al primo grado”…) secondo cui <un morto è una tragedia, un milione di morti una statistica>. Sappiamo che statisti, imprenditori, & così via, potrebbero senza batter ciglio e magari sentendosi puliti e incolpevoli, irresponsabili,  decider cose che, ‘via’ più o meno lunghi concatenamenti di effetti, possono provocare la morte di un milione di persone – la storia del 20° secolo è l’esempio sinora estremo di ciò. Ciò detto, per un “Paese richiesto”, vale la logica utilitaristica del calcolo di profitti e perdite, stante che – così come avviene anche nelle cosiddette “Opinioni pubbliche” – il <nemico interno> di un altro Stato non è equipollente al <nemico interno> proprio. E che in questo caso particolarmente, il calcolo prevarrebbe sulle passioni.
    Se estradassero – o più precisamente, se avviassero oggi un passo più in là nello ‘scivolo’ verso l’estradizione – Cesare Battisti, questo non potrebbe non aprire un “effetto-domino” che comincerebbe con un rilancio, un ri-scatenamento delle campagne di parte italiana per strappare delle vite, nel senso del “raschiare il fondo del barile” (secondo una vecchia definizione cossighiana). Molto di più che come ricerca di una révanche, di un “premio di consolazione” compensativo nel caso che Battisti sfuggiosse alle loro grinfie, un “precedente” a loro favorevole da parte brasiliana provocherebbe un loro tornare a scatenarsi sul “caso francese”.  Direbbero che è la Francia che fa eccezione, manifestando una non-solidarietà fra “Pari”, inter-statale, e rivelando così un pregiudizio “anti-italiano” (che viene attribuito alle diaboliche mene propagandistiche, in primis di nojaltri “rifugiati” in virtù della politica di Mitterrand in materia). E’ un po’ come nel caso di eventuali concessioni dell’estradizione di rifugiati di altri Paesi, e tipologicamente coincidenti con la fattispecie di persone a cui si adatterebbe la <clausola umanitaria> fatta inserire come riserva dalla Francia nella Convenzione europea sulle estradizioni del ’57, che -- salvo non si calpesti definitivamente e completamente il principio della non-retroattività -- resta quella di riferimento per i fatti degli anni ’70, fino alla ratifica della Convenzione di Strasburgo nell’88: essa rilancerebbe le pressioni di parte italiana, perché pêrmetterebbe di dire che “allora, è proprio con l’Italia che ce l’avete…, è essa che state delegittimando!”.
    Il nostro non è dunque – o comunque, non solo – un atteggiamento dettato da “ottimismo della volontà”, o analisi wishful-thinking : né sulla decisione in ballo oggi, né sull’eventuale necessità, a cominciare dal day after, di aprire nuove battaglie. Ci fermiamo  qui, su queste note un po’ aridamente “politologiche”, non potendo far altro, per intanto – a questo punto – all’ora che è, che incrociare le dita….

Paris, 8-9 settembre 2009,              Oreste Scalzone
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commentaires

J
<br /> Poi come è andata a finire? Si sa già qualcosa?<br /> <br /> <br />
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