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18 février 2007 7 18 /02 /février /2007 22:35
Da "VADEMECUM"

Io, personalmente, non ho debiti da esigere. E quindi decido unilateralmente di spezzare la catena della riscossa e della vendetta. Senza reciprocità, senza gna gna. Tutto questo, è ovvio, non c’entra niente con la pacificazione e la condanna della violenza. Quando anche si decidesse di riaprire una fase di guerra sociale dispiegata, tutto ciò non c’entrerebbe nulla con i giustizieri. Poi si vedrà se la violenza è necessaria, ma è un’altra cosa. Di certo non si potrà, non si dovrà mai più ammazzare per vendicare, per punire.

Molti di quelli che non hanno esitato a presentarsi a capo chino materialmente davanti al giudice o metaforicamente davanti alla potenza dispiegata dallo Stato, non se la sentono di rivolgersi alle vedove o agli orfani.

La determinazione dei familiari delle vittime nel coltivare sentimenti di assoluta intransigenza sull'espiazione è comprensibile, ma c'è chi continua a lavorare per mantenerli in questo stato di tossicodipendenza da pena. Un gioco duro alimentato dalla vigliaccheria di chi preferisce inchinarsi allo Stato e non alle vedove.

In difesa (Giudiziaria) dei "Cattivi Maestri"

Ciò detto, resta profondamente necessario e giusto combattere con le unghie e con i denti contro la penalizzazione della responsabilità intellettuale dei cattivi maestri nella sfera del giudiziario, di ciò che ha rilevanza penale, non perché abbiamo l’"ipse dixit" ma perché è una forma come un’altra per truccare, per far saltare il principio della presunzione d’innocenza, del carattere circostanziato specifico e quindi necessariamente di quello che andrebbe provato per definire la responsabilità penale. Mi sembra che sia lì il punto, questo arbitrio che viene permesso quando sono le parole a diventare oggetto di materia penale.

Non è tanto che le parole siano nobili, ma ancora più grave mi pare gonfiare la responsabilità oggettiva di uno che ha fatto il prestanome e poi non solo viene condannato per i reati associativi in modo pieno ma anche per il concorso in tutto quello che la verità giudiziaria ritiene sia stato organizzato o sia partito dalla base da lui affittata, addirittura nelle conseguenze impreviste. Parlo di fatti reali, sentenze fatte. E’ già pesante dare al firmatario, che magari non ne sa più niente, e potrebbe essere accusato di favoreggiamento o magari di partecipazione a banda armata, un concorso in omicidio. Ma addirittura se di lì è partita una rapina finita in scontro a fuoco e si tira il concorso pieno in omicidio anche al prestanome siamo certamente al limite, diciamo così per eufemismo.  No, la responsabilità oggettiva è ancora più grave di quella intellettuale.

E’ per questo che io all’epoca del 7 aprile non mi ero ingolfato nel discorso corporativo che l’orrore maggiore era accusare dei libri e degli autori di libri, però non per questo avevo lasciato cadere l’appiglio polemico. Anzi ne avevo trovato uno (secondo me) più preciso, che non consentiva a un Violante di fare i sarcasmi che faceva sugli atteggiamenti degli intellettuali, cattivi maestri dell’armiamoci e partite.

Io obiettavo che esiste un codice di tempo di pace, un codice penale e un codice militare di guerra, basta che vi mettiate d’accordo. Se usate quello del tempo di pace non potete accusare per contiguità, istigazione, responsabilità oggettiva. Se invece volete usare quello del tempo di guerra a me  può andar bene. Ma siccome  nel vostro schema gerarchico volete interpretare il ruolo di qualcuno come me come se fosse il generale che trasmette degli ordini, dovreste applicare la non punibilità per averli eseguiti a quelli che riteniate siano i soldatini. Il trucco forte non sta nella penalizzazione della responsabilità intellettuale ma sta nell’uso alterno ogni volta della combinazione fra i due aspetti a maggior svantaggio degli imputati. Calpestando ancora una volta un principio conclamato dal diritto, la regola della norma pro reo, che non è una forma di benevolenza. Semplicemente lo Stato, che è più forte, pretende di ottenere legittimamente il monopolio della forza deve essere capace di autolimitare questa forza. Se si comporta come la mafia di Corleone è più difficile la legittimazione.


Da "VADEMECUM"
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GLI EDITORIALI DI ANTONELLO DE PIERRO DIRETTORE DI ITALYMEDIA.IT<br /> <br /> <br /> Finalmente liberi!<br /> di Antonello De Pierro <br /> Era ora! La legge che pone fine all’obbligatorietà del servizio di leva è finalmente una realtà. Termina così la girandola di amarezze e delusioni che la stragrande maggioranza dei nostri giovani, chiamati ad assolvere gli obblighi di leva, è stata da sempre costretta ad incassare, perdendone abbondantemente il conto. Il festival dell’ingiustizia, delle assegnazioni e dei trasferimenti incredibili, decisi al tavolo delle raccomandazioni e dei clientelismi, senza nessuna logica o pudore di sorta: soldati spediti da Palermo a Udine, braccia “rapite” dallo Stato a famiglie bisognose, e rampolli privilegiati, parcheggiati nell’ufficio dietro casa. Il Rubicone della vergogna, attraversato sfacciatamente dai burattinai degli uffici di leva e delle caserme, muovendo inesorabilmente i fili del destino di ragazzi impotenti, spesso sacrificati sull’altare di frustrazioni personali dei superiori, finalmente sta per prosciugarsi. La “pacchia” dei graduati, abilissimi nel sottomettere giovani inermi, facendosi scudo con le opinabilissime leggi militari, che schiacciano, marciandoci sopra con i cingoli, la loro dignità, inizia a intravedere il tramonto. Chi pulirà le caserme, i “cessi” putridi e puzzolenti, le stanze e gli uffici degli ufficiali e dei “marescialloni” spocchiosi? Chi spazzerà i cortili per ore, spettacolo preferito dalle pupille dei graduati, attenti affinché venisse raccolta anche la “cicca” più minuscola (ottimo esercizio per chi avesse voluto impiegarsi come operatore ecologico al termine del servizio di leva, ma perfettamente inutile per la formazione di un soldato)?Chi impartirà lezioni gratuite di latino, greco, matematica o fisica ai figli “somari” di colonnelli e generali, quando il ragazzo laureato preferirà affrettassi a trovare qualche spiraglio nel muro di gomma del mondo del lavoro, piuttosto che seppellire un anno della sua vita nello squallido grigiore di una caserma? Particolarmente difficile appare in questi giorni penetrare quel guscio di riservatezza, che protegge come un’armatura l’universo militare dal mondo dei civili. Il Capo di Stato Maggiore dell’Esercito ha dribblato con sorprendente abilità la richiesta di un’intervista da parte del nostro giornale. Ma noi, che non amiamo assolutamente mettere il morso alla nostra inarrestabile voglia di verità, non possiamo sorvolare su gravi episodi legati alla moritura “naja”, nutrendoci al banco della nostra esperienza diretta, dove troviamo ricordi che ancora passeggiano vivi nella nostra memoria. Come possiamo non toglierci il sassolino dalla scarpa, foderandoci gli occhi con il prosciutto, di fronte alla verità che preme per scivolare tra le righe di un foglio provvisorio di giornale? Per ognuno un film lungo un anno e con all’incirca lo stesso copione, fatto di angherie, soprusi, arbitrarie privazioni della libertà personale. Un anno trascorso vivendo di nulla ai margini del nulla, con la rassegnazione pronta a spegnere immediatamente qualsivoglia ruggito di vitalità. Finalmente si volta pagina. Agli occhi di chi scrive la memoria mette a fuoco fotogrammi spaventosi. Ragazzi avviluppati dalla spirale del sistema militare, privati della volontà, della dignità stessa di esseri umani, ridotte a puro sussurro. Costretti a subire turpiloqui e ingiurie a più non posso, senza la possibilità di reagire; a mangiare con le mani e ad elemosinare un bicchiere d’acqua nella desolazione dell’Ospedale Militare di Firenze; a dormire con cinque coperte e cinque maglioni in gelide camerate senza riscaldamento (naturalmente nelle camere confortevoli degli ufficiali il caldo era insopportabile); a subire incredibili atti di “nonnismo”, a fare flessioni sulle braccia, portando il naso a due dita da una nauseante quantità di “merda”, troneggiante in bella mostra sul biancore di una “turca”. E molto altro congelato nei file mnemonici degli sventurati protagonisti. Spesso qualcuno più debole non ha retto e ha deciso di chiudere i conti con la vita prima del congedo. Con sorprendente rapidità, sugli scandali sanguinolenti, è sceso sempre puntualmente il velo del silenzio e dell’omertà. Tutto ciò sarà presto finito. Finalmente!<br /> http://www.italymedia.it
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