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12 septembre 2007 3 12 /09 /septembre /2007 09:28
Le collectif solidarité pour Marina se réunira vendredi 14 à 18h30 au CICP (21 ter rue voltaire métro rue des boulets ligne 9) pour parler de :

- le résultat du délibéré sur la mise en liberté provisoire ;
- une première réponse à la question posée vendredi dernier : « quelle est la position 'des autres italiens' ? » ;
- les trucs en cours : Italie, affiche, concert, compte bancaire... ;
- la fête de L'huma - sont prévues des diffusions ciblées sur certains stands et débats, à finaliser.


PS : Deux nouvelles manifestations de soutien que vous pouvez trouver dans le menu Marina Petrella, sous-menu Soutien, de la page Paroledonnee :
- Collectif de Pratiques et de Réflexions Féministes « RUPTURES » ;
- Au nom du droit d'asile : Un appel d'élus contre la menace d'extradition de Marina Petrella.
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Addio a Luganoin una prima versione(per le altre due, due sempliciclick! sotto il titolo in rosso)Addio a Lugano, la cui musica, di autore anonimo, è sicuramente di origine popolare, toscana, è la più famosa, insieme con Stornelli d'esilio, fra le canzoni di Pietro Gori. Egli la scrisse nel luglio del 1895 in Svizzera, dov'era dovuto riparare dopo l'omicidio del Presidente francese Sadi Carnot, ucciso da Sante Caserio. Era stato infatti fermato dalla polizia crispina, nel corso di una vasta operazione repressiva contro anarchici e socialisti, con l'accusa di essere il mandante "spirituale" del delitto, in quanto amico e difensore del Caserio. Costretto all'emigrazione, si trasferì a Lugano e, sfuggito a un misterioso attentato (gennaio 1895), venne espulso dalla Svizzera stessa insieme con altri dodici esuli. Fu allora che scrisse le parole del suo canto immortale. Addio a Lugano(Pietro Gori, 1895) (*) (**) Addio Lugano bella o dolce terra pia scacciati senza colpa gli anarchici van via e partono cantando con la speranza in cor. E partono cantando con la speranza in cor. Ed è per voi sfruttati per voi lavoratori che siamo ammanettati al par dei malfattori eppur la nostra idea è solo idea d'amor. Eppur la nostra idea è solo idea d'amor. Anonimi compagni amici che restate le verità sociali da forti propagate è questa la vendetta che noi vi domandiam. E questa la vendetta che noi vi domandiam. Ma tu che ci discacci con una vil menzogna repubblica borghese un dì ne avrai vergogna noi oggi t'accusiamo in faccia all'avvenir. Noi oggi t'accusiamo in faccia all'avvenir. Banditi senza tregua andrem di terra in terra a predicar la pace ed a bandir la guerra la pace per gli oppressi la guerra agli oppressor. La pace per gli oppressi la guerra agli oppressor. Elvezia il tuo governo schiavo d'altrui si rende d'un popolo gagliardo le tradizioni offende e insulta la leggenda del tuo Guglielmo Tell. E insulta la leggenda del tuo Guglielmo Tell. Addio cari compagni amici luganesi addio bianche di neve montagne ticinesi i cavalieri erranti son trascinati al nord. E partono cantando con la speranza in cor.     Biografia di Pietro Gori Museo Pietro Gori di Rosignano Marittimo Un'arringa di Pietro Gori "Pietro Gori" di Maurizio Antonioli, Biblioteca Franco Serantini scrl, 1996 Maurizio Binaghi, Addio, Lugano bella.Gli esuli politici nella Svizzera italiana di fine Ottocento   (*)Chitarra: MariaMilano, 30/06/1981L'esecuzione del brano è tratta da "L'uovo di Durruti", di Joe Fallisi, di prossima pubblicazione.Editing e mastering digitali: Virtual Light Studio,Paolo Siconolfi, Vedano al Lambro (Mi) (**)Chitarra: Piero Del Prete, Giammaria SimonciniCarrara, 29/07/2003L'esecuzione del brano è tratta da"L'uovo di Durruti", di Joe Fallisi, di prossima pubblicazione.Editing e mastering digitali: Virtual Light Studio,Paolo Siconolfi, Vedano al Lambro (Mi)anarchia
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Rifiuta la guerra, chiudiamo le basi di guerra!Venerdì 14 settembre 2007 15:12 Vicenza. Isolata la caserma Ederle. Global Project Vicenza Bloccati tre accessi della caserma EderleOre 17.30 tutti davanti al Teatro Olimpico per l’arrivo del vice-premier Rutelli A Vicenza le basi di guerra esistono già, la più grande, la caserma Ederle è l’obiettivo di oggi del movimento No Dal Molin.Scopo dell’iniziativa di oggi è quello di bloccare la base, isolarla dalla città per ribadire che i cittadini di Vicenza e che tutti i cittadini di questo pianeta che sono contrari alla guerra rifiutano e ripudiano la presenza di basi militari nei loro territori. Le foto dell’iniziativa alla caserma Ederle Ore 17.50E’ iniziata la seconda azione della giornata, il movimento No Dal Molin si sta radunando davanti al Teatro Olimpico per "accogliere" il vice-premier Rutelli, una visita che il ministro avrebbe fatte meglio ad evitare dopo che un anno fa proprio a Vicenza aveva detto che bisognava ascoltare la cittadinanza per poi smentirsi con i fatti pochi mesi dopo.L’Altro Comune ha allestito il palco dove si sta svolgendo l’incontro con Alex Zanotelli.Una corrispondenza con Sarah Castelli di Radio Sherwood. [ audio ] Ore 16.50Il corteo sta raggiungendo il centro città e mentre si avvicina al Teatro Olimpico vi proponiamo una riflessione di Olol Jackson del Presidio Permanente su queste giornate di lotte. [ audio ] Ore 16.20Terzo blocco della caserma Ederle mentre si susseguono gli interventi al sound system come quello di Stephanie del Gruppo Usa per la Pace che ha lanciato un messaggio ai militari all’interno della base.Il corteo ha versato della vernice rossa davanti all’accesso principale della caserma e ha sistemato dei blocchi di cemento armato.Ora il corteo si sta spostando verso il centro città per raggiugere il Teatro Olimpico per "accogliere" con le pentole il vice-premier Rutelli.Una corrispondenza con Marina di Radio No Dal Molin [ audio ] Ore 16.00Francesco Pavin, del Presidio Permanente lancia l’appuntamento di dicembre per le tre giornate europee-> contro la guerra, appuntamento fatto proprio da tutto il Patto di Mutuo Soccorso che domenica si è riunito al No Dal Molin Festival. [ audio ] Ore 15.50Bloccata anche la seconda entrata della caserma Ederle, gli operai dell’Altro Comune stanno posizionando dei blocchi di cemento per impedire l’accesso alla base e dei cartelli che avvisano la cittadinanza della pericolosità della base.Una corrispondenza con Marina di Radio No Dal Molin che rilancia ancora una volta l’appuntamento di questo pomeriggio alle ore 17.30 davanti al Teatro Olimpico per "accogliere" il vice-premier Rutelli. [ audio ] Ore 15.40Dal corteo arriva l’invito non solo a raggiungere la caserma Ederle ma anche l’appuntamento per oggi, alle ore 17.00 al Teatro Olimpico dove sarà presente il vice-premier Rutelli.Gli operai dell’Altro Comune continuano l’opera di isolamento della base Ederle davanti all’ingresso di via Aldo Moro, il commento di un operaio dell’Altro Comune [ audio ] Ore 15.20Il corteo è arrivato alle porte della base mentre tutta la rete ed il muro di recinzione viene ricoperto di scritte fatte con la pratica degli stencil contro la guerra e le basi militari. Tante le pentole che suonano mentre gli operai dell’Altro Comune anche oggi stanno "isolando" la base con delle reti rosse da cantiere.Una corrispondenza con Marina di Radio No Dal Molin e Aneta, cittadina americana di Vicenza. [ audio ] Alle 14.30 è partito un corteo dal campeggio del No Dal Molin Festival, tantissime le persone che stanno partecipando a questa iniziativa, come daltronde tantissime erano le persone che ieri hanno circondato la sede del consiglio comunale e che hanno determinato l’annullamento della seduta in programma.Il Corteo ha raggiunto la caserma Ederle dal lato di via Aldo Moro e si sta spostando verso la rotatoria per raggiungere l’ingresso principale della base.Una prima corrispondenza dal corteo con Marina Maltauro di Radio No Dal Molin e con Nora del Presidio Permanente. [ audio ] movimento
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  Angelita di Anzio(Si può ascoltare parzialmente dal sito radio.rai.it in formato real audio) Angelita,ti saresti chiamata Angelita,Angelita.Angelita,volevamo chiamarti Angelita,Angelita.Sbarcammo ad Anziouna notte,oooo-ohoooo-oh.C'era soltanto la lunaed un pianto di bimba.In fondo al suo sguardo di marec'erano ancora le favole,e quattro conchiglieripiene di sabbiastringeva una piccola mano.Angelita,ti saresti chiamata Angelita,Angelita.Entrammo in Anzioe fu l'alba,oooo-ohoooo-oh.Con il fucile sul braccioe la bimba con noi.Aveva i capelli di granoed una voce di passero.Le quattro conchiglieripiene di sabbiastringeva la piccola mano.Angelita,volevamo chiamarti Angelita,Angelita.Che alba grigiasu Anzio,oooo-ohoooo-oh.Scese improvviso fra noiun silenzio di bimba.Da quel suo sguardo di mareeran fuggite le favole,ma quattro conchiglieripiene di sabbiarestavano nella sua mano.Angelita,ti saresti chiamata Angelita,Angelita.Angelita,volevamo chiamarti Angelita,Ange.... lita.Angelita.AngelitaAngelita.la follia della guerra
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La follia della guerrala follia della guerra
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La sventurata rispose. La Sinistra e l'Ordine pubblico (1-B) di Gaspare De Caro e Roberto De CaroCerto che a volerli interpretare i segnali di un orientamento autoritario della Sinistra in materia di ordine pubblico erano stati numerosi e inequivocabili, anche a prescindere dall’antico impegno programmatico riportato in esergo. In un noto saggio di Luciano Violante del 1995 – dal titolo fortemente espressivo dell’itinerario ideologico della Sinistra, Apologia dell’ordine pubblico[17] –, considerato «la prima bozza della nuova concezione della politica di sicurezza»,[18] oltre a «trovare alcune delle teorizzazioni poi riprese nelle stesse relazioni annuali del Ministero dell’Interno al Parlamento dal 1997 in poi»[19] è possibile individuare anche il nucleo teorico sul quale poggerà il riassetto del settore sicurezza da parte del governo D’Alema. In primo luogo l’onorevole Violante mostra di non essere affatto preoccupato dalla questione centrale che investe l’Arma dei Carabinieri, cioè quella di un corpo militare con compiti di polizia civile all’interno di un ordinamento democratico. Al contrario, il problema semmai è quello di assegnare alla Benemerita funzioni e mezzi crescenti in materia di controllo capillare delle nostre vite: L’Arma dei carabinieri impiega giornalmente dai 2.500 ai 3.000 militari per le traduzioni dei detenuti. Un decreto legge del 1° settembre 1995 (n. 369) stabilisce che a partire dal 1° aprile 1996 il servizio di traduzione passerà progressivamente alla polizia penitenziaria. Il passaggio dovrà avvenire con rapidità, utilizzando il tempo disponibile sino all’aprile 1996 per addestrare il nuovo personale. Nel più breve tempo possibile l’Arma dei carabinieri dovrà essere alleggerita da un compito ormai estraneo alle funzioni di istituto così da potere impiegare in compiti di controllo del territorio il personale ora addetto alle traduzioni.[20] Poi, dopo aver sentenziato salomonicamente che «una repubblica ben ordinata difende l’equilibrio tra poteri e responsabilità» e aver constatato che «a un eccesso di “autonomia” dei carabinieri corrisponde un’anomala concentrazione di poteri nella polizia di Stato», Violante ci offre uno spaccato europeo delle soluzioni adottate «di fronte a problemi analoghi»: La Spagna […] ha posto la polizia militare alle dipendenze del ministero dell’Interno, con buoni risultati. Il Belgio ha addirittura smilitarizzato la polizia militare.In Italia sarebbe un grave errore smilitarizzare l’Arma. Si dovrebbe invece studiare la praticabilità della collocazione dei carabinieri, fermo restando il loro carattere militare, alle dipendenze gerarchiche del ministro dell’Interno proprio perché la massima parte del loro lavoro si svolge nell’ambito delle competenze istituzionali e della responsabilità politica di questo ministro.[21] Perché «in Italia sarebbe un grave errore smilitarizzare l’Arma» l’onorevole Violante non ce lo dice da nessuna parte, fidando evidentemente nella nostra intuizione.[22] L’esigenza di soddisfare le richieste dei vertici della Benemerita[23] trionfa anche sul rischio di apparire decisamente ostile nei confronti dei vertici della Polizia, una scelta che si conferma ben ponderata e partita da lontano: le funzioni di direttore generale della Pubblica sicurezza dovrebbero essere scisse da quella di capo della polizia. Polizia e carabinieri entrerebbero insieme nel dipartimento della Pubblica sicurezza, la cui direzione potrebbe essere tenuta a rotazione da un funzionario proveniente dai ruoli del ministero dell’Interno e da un funzionario proveniente dall’Arma dei carabinieri.Il ministro dell’Interno avrebbe tutti i mezzi per poter svolgere responsabilmente le sue funzioni costituzionali. La sicurezza dei cittadini sarebbe meglio garantita. Si eviterebbe un eccesso di poteri nella polizia. Si risponderebbe ad un’antica aspirazione dell’Arma, perché il comando generale potrebbe essere attribuito ad un ufficiale proveniente dallo stesso corpo e non, come oggi accade, dall’esercito. Carabinieri e poliziotti avrebbero finalmente un’effettiva parità di trattamento.[24] [1. continua] [1] La Sinistra si associa volentieri a questi ricorrenti sussulti d’ansia per l’ordine pubblico; però è anche della sua natura far valere negli intervalli una più rassicurante, orwelliana visione delle cose: «Insomma l’Italia, anche quando gli italiani sono in preda a una folle paura, resta uno dei paesi più sicuri d’Europa e del mondo, grazie anche alla tendenza di una gran parte della popolazione a denunciare e a collaborare con le forze di polizia e alla presenza di un tasso per abitante di operatori della sicurezza, che non ha eguali in nessun paese democratico» (Livia Turco, I nuovi italiani. L’immigrazione, i pregiudizi, la convivenza, Mondadori, Milano 2005, p. 18). Ed ecco come un inedito tentativo di linciaggio (cfr. i titoli di Repubblica, 12 marzo 2006: Guerriglia urbana a Milano. Autonomi scatenati, la folla tenta di linciarli; E in strada caccia ai violenti: «La gente li voleva linciare») viene sublimato da una notoria ninfa egeria della Sinistra: «Il dato nuovo, sul quale vale la pena di riflettere, è dato infatti dalla immediata spontanea condanna che è stata espressa, prima ancora che dalle forze politiche, da quei milanesi che, sul luogo degli scontri, lungi dal solidarizzare con i manifestanti, hanno incitato le forze di polizia a isolarli, bloccarli, fermarli, metterli in condizione di non nuocere» (Miriam Mafai, Ritorno al passato, ivi). [2] La «Rete No Global – Network campano per i diritti globali» ha pubblicato un importante volume dedicato agli avvenimenti: Zona Rossa. Le «quattro giornate di Napoli» contro il Global forum, DeriveApprodi, Roma 2001. [3] Un’inchiesta preannunciata dall’allora ministro degli Interni Enzo Bianco – criticato da qualche collega perché durante gli scontri, alla salute di manifestanti e poliziotti, si dedicò alle delizie della cucina e del panorama partenopei in un ristorante di Posillipo e nonostante le sanguinose notizie in arrivo non si mosse di lì fino al sacrosanto dessert, riparando poi prudentemente a Roma – si è dissolta nel nulla, senza ulteriori clamori e Amnesty International ha continuato inutilmente a chiederne ragione. [4] Con molta maggiore consapevolezza e conoscenza della natura e delle funzioni delle istituzioni democratiche, Vittorio Agnoletto si mostrò al contrario assai preoccupato: «“La Polizia a Genova non abbia armi da fuoco”. Alla vigilia dell’incontro con il governo – che si terrà giovedì – il movimento dei contestatori del G8 chiede garanzie. Gli incidenti potrebbero degenerare e se gli agenti dovessero essere armati ci potrebbe anche scappare il morto, temono i rappresentanti del Genoa Social Forum. “Chiediamo che il governo si fermi a riflettere sui fatti di Göteborg, non vogliamo che qualcuno rischi la vita”, spiega Vittorio Agnoletto» (G8, appello dei contestatori: «Polizia senza armi da fuoco», in la Repubblica, 26 giugno 2001). Le forze dell’ordine ovviamente erano del tutto consapevoli delle condizioni in cui si sarebbero svolte le manifestazioni. Il commissario capo Filippo Saltamartini, Segretario generale del Sindacato autonomo di Polizia, ricorda: «nei nostri ambienti si diceva che a Genova ci sarebbero stati dei morti, che il morto ci sarebbe scappato. E io ho ricevuto fior di telefonate, anche dalle mamme, per evitare a questo o a quello l’invio in servizio a Genova» (Nando dalla Chiesa - Filippo Saltamartini, La legalità arrangiata, in MicroMega, 4/2001, p. 82). [5] Tra le numerose, indignate proteste internazionali va segnalato l’«attacco durissimo» del «presidente del sindacato europeo di Polizia, il tedesco Hermann Lutz. “Sono profondamente colpito dal modo di procedere dei colleghi italiani – ha detto alla tv ZDF – di fronte a quelle immagini, ho pensato che si trattasse di fatti avvenuti in una dittatura, nell’Europa dell’Est o a Cuba, non da noi, nel centro dell’Europa”. Lutz in particolare ha detto di essere rimasto scioccato vedendo i reparti che marciavano compatti battendo con i manganelli sugli scudi: “Rituali del genere – ha osservato – non appartengono a una polizia democratica”» (Stefania Di Lellis, Cortei a Londra e Berlino. «Inchiesta sui pestaggi», in la Repubblica, 29 luglio 2001). Occorre notare che per un tale giudizio sulle forze dell’ordine Lutz non ha alcuna necessità di attendere i successivi pestaggi indiscriminati, le sparatorie e le sevizie: gli è più che sufficiente constatare la natura paramilitare dell’addestramento ricevuto dalla truppa. [6] Anche da settori importanti della Chiesa si levarono voci indignate: «“I vescovi lamentano che in cinquant’anni di episcopato non hanno mai veduto simili efferatezze, dalla fine dell’ultima guerra”. Sul G8 e le repressioni delle forze dell’ordine intervengono con un documento alcuni vescovi, i teologi di Milano, esponenti di Pax Christi, parroci, religiosi e religiose, laici di Associazioni ecclesiali. Giuseppe Casale, Luigi Bettazzi e Antonio Riboldi, vescovi emeriti di Foggia, Ivrea e Acerra, insieme agli altri esponenti cattolici si interrogano allarmati. “Di fronte alle immagini di brutale e selvaggia violenza di molti tra polizia e carabinieri, ci domandiamo da cosa sia generata questa deriva pericolosa”. A Genova, prosegue il documento, “molti agenti picchiavano la gente comune – famiglie con bambini, giovani e studenti appartenenti ad associazioni di volontariato sociale – come se stessero punendo l’espressione di idee non gradite a qualcuno”. Un atteggiamento contrario al compito delle forze dell’ordine che non è “certamente quello di operare pestaggi indiscriminati, vendette private o ritorsioni […], ci giungono notizie di violenze ai danni persino di ragazzi down, di anziani, di persone religiose» (Lo sgomento dei vescovi. «Violenze mai viste dal ’45», ivi, 30 luglio 2001). È interessante notare la convinta insistenza dei vescovi a definire «molti» gli appartenenti alle forze dell’ordine che hanno partecipato alle «efferatezze». Una forte presa di posizione contro i diffusi e infine riusciti tentativi di minimizzare l’accaduto e sollevare gli apparati di polizia dalle loro oggettive responsabilità (cfr. n. 22). [7] «L’affondamento del barcone Kater I Rades […] può essere considerato l’atto più grave della nuova politica migratoria italiana. La responsabilità politica di questa strage è palese e secondo alcuni appare evidente che, in quanto a prassi di occultamento delle responsabilità, nulla è cambiato rispetto ai periodi delle stragi e dei complotti. Da quel momento, la prima preoccupazione del governo è sempre stata quella di vantare l’efficacia della repressione dell’immigrazione clandestina in termini di numero di respingimenti alle frontiere, espulsioni, internamenti nei centri espellendi e arresti. Gli stessi dati statistici sull’evoluzione del numero di immigrati in Italia mostrano in modo esplicito quanto il contrasto dell’immigrazione sia stato efficace: anche se si somma ai permessi di soggiorno validi la stima più accreditata degli irregolari, si constata che la presenza straniera viene mantenuta entro dimensioni piuttosto irrisorie: circa 1.300.000 persone, ossia il 2,3% della popolazione residente. Solo lo 0,7% dei permessi validi a fine 1998 è stato concesso per motivi di asilo a extra comunitari (in totale 6240)» (Salvatore Palidda, Polizia postmoderna. Etnografia del nuovo controllo sociale, Feltrinelli, Milano 2000, p. 223). [8] Cfr. in particolare Giorgio Bocca, Un paese anormale, in la Repubblica, 23 febbraio 2000; Id., Quelle paure dei politici, ivi, 2 aprile 2000; Eugenio Scalfari, L’inquietante barzelletta della nuova Forza armata, ivi, 1 aprile 2000; Giuseppe D’Avanzo, Quella stelletta in più, in Corriere della Sera, 23 febbraio 2000. [9] L’Associazione Nazionale Funzionari di Polizia (ANFP) reagisce con violenza nell’autunno del 1997 a un primo «tentativo (non riuscito), di far passare, quasi in sordina, attraverso un emendamento alla legge finanziaria, un progetto di riordino delle forze di polizia che amplifica smisuratamente i poteri dell’Arma dei Carabinieri, elevandola al rango di forza armata» (Legge 78/2000: Riordino delle Forze di polizia. Si tratta di un lungo e dettagliato documento riepilogativo delle iniziative intraprese dall’ANFP, che è possibile leggere, insieme a un’ingente e qualificata mole di materiale inerente alla vicenda, sul sito Internet dell’Associazione: www.uni.net/anfp). È l’inizio di una lunga, veemente battaglia condotta dalla Polizia di Stato, e soprattutto dall’ANFP, contro Governo, Parlamento e Arma dei Carabinieri per impedire l’attuazione di un piano subito giudicato mirante allo «smantellamento della legge 121/81 e per regalarci lo “Stato forte”», come recita il comunicato ANFP del 3 novembre 1997, firmato dal segretario nazionale Giovanni Aliquò (Cile, Cile, Argentina! Ovvero l’Italia come l’America latina). Nel documento, che riguarda l’Atto Senato 2793 – A, art. 18, si legge anche: «“Un Paese normale” era il programma dell’Ulivo prima delle elezioni. Con il sostegno di tutte le Forze politiche, in Senato è passata una norma grazie alla quale ci normalizzeranno, ma alla Pinochet». L’Associazione dei Funzionari di Polizia arrivò ad acquistare a più riprese spazi pubblicitari su alcuni dei maggiori quotidiani italiani (la Repubblica, la Stampa, l’Unità, il manifesto: una scelta significativa), per sensibilizzare l’opinione pubblica sulla gravità di quanto stava avvenendo, senza peraltro commuovere minimamente i duri cuori dell’intellighenzia di Sinistra e tanto meno quelli della classe politica (al governo o all’opposizione che fosse), che glissarono omertosamente sulla questione, nonostante il rituale dibattito ritualmente innocuo scatenatosi sulla stampa nei tre giorni successivi al varo della legge, dibattito che rimase appunto senza seguito e non incise in alcun modo sull’iter legislativo. In un’analisi dettagliata dell’Atto Senato 2793Ter-bis – svolta pochi giorni prima della sua approvazione e pubblicata in Internet, dove ancora si può leggere (www.uni.net/anfp/commento%202793ter1.htm) –, i Funzionari di Polizia ravvisavano un disegno per cancellare «le conquiste democratiche sancite dalla legge 121/81» (cfr. Allegato B). Ma anche l’Esercito si fa sentire: «Nel marzo ’99, in un documento di sette cartelle redatto dal “Reparto Personale dello Stato Maggiore della Difesa”, si legge: “Se passa la legge di riforma si prefigura il pericolo di rapporti di convivenza non pacifica tra lo Stato Maggiore e l’Arma”. Siracusa [comandante generale dell’Arma] viene considerato l’“ispiratore del progetto di riforma e reo di averlo concordato con i vertici politici, scavalcando quelli militari… Ove si accetti il percorso ora adottato, si traccia un pericoloso precedente che autorizzerà in futuro l’Arma, nei possibili momenti di contrasto con lo Stato Maggiore della Difesa, ad adire con colloquio riservato l’interlocutore politico”. Il generale Mario Arpino, capo di Stato Maggiore della Difesa, non sottoscrive il documento. Ma resta agli atti» (Massimo Giannini, Il compleanno del generale. I misteri del dossier Cocer denunciato nelle caserme, in la Repubblica, 2 aprile 2000). Il documento venne alla luce grazie a uno scoop di Panorama. [10] «La riforma dei carabinieri è vecchia di tre anni. Nasce col governo Prodi. Prima come emendamento collegato alla Finanziaria del ’97: un tentativo un po’ “forte”. Giorgio Napolitano, allora agli Interni, lo blocca. Ma all’inizio del ’98 rispunta, sotto forma di disegno di legge al Senato: atto numero 2793-ter. Lo firma l’intero governo, da Prodi a Ciampi a Bassanini a Visco e a Napolitano. Lo prendono a cuore i popolari, lo stesso Mattarella, Beniamino Andreatta, ma anche i diessini, soprattutto attraverso Massimo Brutti, esperto di sicurezza di Botteghe Oscure. Da allora, parte una manovra di lobby discreta, da parte dell’Arma, sul governo e il Parlamento. Il terreno è fertile, il Paese è distratto: c’è la missione Euro, e non si pensa quasi ad altro. Ma al Quirinale c’è ancora Oscar Luigi Scalfaro. Si dice oggi che quella riforma non gli sia mai piaciuta: troppa autonomia ai carabinieri, poco coordinamento tra le forze di sicurezza. La legge ristagna, nella palude delle commissioni parlamentari. Il generale Siracusa, prima di passare a Viale Romania, era capo del Sismi, dove nel ’95 cominciavano a filtrare i primi “file” dell’affare Mitrokhin. Nel novembre del ’96 diventa comandante generale dei Carabinieri. Fa un gran lavoro, e lo fa bene, per rimettere a posto l’immagine e l’organizzazione dell’Arma. Aspetta la riforma, senza esporsi troppo. Le cose cambiano quando l’Euro è archiviato, e a Palazzo Chigi arriva D’Alema, con l’appoggio di Francesco Cossiga. La sinistra ha bisogno di aprirsi a un mondo, quello delle polizie e dei militari, che è da sempre appannaggio elettorale della destra. Il nuovo premier è pronto a dialogare, la Benemerita a farsi sentire. Forse troppo» (ibid.). [11] «Fuori dal palazzo, i sindacati, i Cocer dell’Esercito, ma anche le forze politiche continuano a scontrarsi. Il capo dell’ANFP Giovanni Aliquò è convinto che si stia andando verso un “enorme servizio segreto”. Siulp e Sap protestano perché non si è discusso prima della riforma con il rischio adesso di dover inseguire i carabinieri. E il Silp-Cgil avverte: “È il modello civile, non quello militare che deve prevalere”. Dal Polo, da Rifondazione comunista, ma anche dal Pdci giungono invece dichiarazioni preoccupate: se la riforma non risultasse adeguata, sarà il Parlamento a fermarla» (Liana Milella, Il presidente della Repubblica Ciampi media tra Interni e Difesa, in www.repubblica.it, 19 luglio 2000). Il Parlamento, il va sans dire, non fermò proprio nulla. [12] In piena armonia, se ne deduce, a parte «qualche tensione […] durante l’esecutivo, soprattutto perché il ministro dell’Interno ha portato solo all’ultimo momento gli oltre 70 articoli che ridisegnano le carriere della polizia» (ibid.). [13] Ibid. Nella ricerca di piccole ragioni dei grandi eventi – come il naso di Cleopatra –, qualcuno insinua che in tanta autorevole solerzia avesse il suo peso il problema della pensione o della «prorogatio» del generale Siracusa, comandante dell’Arma: «a questo punto entra in gioco il compleanno di Siracusa. La legge precedente prevede che il generale debba andare in pensione al compimento del 63esimo anno. Cioè il primo aprile 2000. Il tempo stringe. Il generale è preoccupato. Il 25 febbraio riceve un primo conforto: il governo vara un decreto per prorogare di un anno il suo incarico. […] Nella legge di riforma c’è la soluzione definitiva del problema. L’articolo 1, comma 2, recita: “Si dispone… l’elevazione a 65 anni del limite di età pensionabile per i generali di corpo d’armata e di divisione, equiparando correlativamente anche quelle del comandante in carica…”. Il comma 3 aggiunge: “L’elevazione a 65 anni ha effetto a decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge”. È una corsa contro il calendario. A buon fine per il generale. Il 30 marzo il Senato approva in blocco il testo […]. Il 31 Ciampi firma la legge. Ieri, primo aprile, è promulgata, in Gazzetta Ufficiale. Il generale Siracusa è a posto. Può restare fino al 2002» (Giannini, op. cit.). In realtà che fosse in atto una sospetta corsa contro il tempo era già stato denunciato alla Camera dall’onorevole Tassone nella seduta del 26 novembre 1999 dedicata all’A.C. 6249: «c’è stata un’accelerazione del procedimento legislativo che però – è bene che la Camera lo sappia – non è stata determinata da questo ramo del Parlamento nella sua autonomia, ma da forze esterne e, soprattutto, dal comandante generale dei Carabinieri, il quale ha anche mandato in giro suoi ufficiali per condizionare i lavori parlamentari. Se questi sono i presupposti su cui nasce la legge, sono preoccupato, sono sinceramente preoccupato. I tempi li ha scadenzati l’Arma dei carabinieri perché Siracusa non vuole andare in pensione, non li ha scadenzati il Parlamento. Ebbene, se questi – come dicevo – sono i presupposti, siccome si parla di forze di Polizia e di Carabinieri, avendo ben presente la storia dell’Arma, sono sinceramente preoccupato! Se poi il Presidente della Camera ed il Governo non sono preoccupati, io lo sono. Ecco perché, per quanto mi riguarda, mi opporrò ferocemente a questo provvedimento. Un Governo non si può sottrarre alle proprie responsabilità né può subordinarsi ad un comandante generale dei Carabinieri». Come commenteranno i funzionari di Polizia, «le parole sono, a dir poco, esplosive; ma, incredibilmente, non si registra nessuna reazione» (Legge 78/2000: Riordino delle Forze di polizia, cfr. n. 9). [14] Milella, Il presidente della Repubblica Ciampi media…, cit. [15] A testimonianza dell’inazione parlamentare, il 26 settembre il senatore Antonio Di Pietro presentò a Roma un documento in cui interveniva assai criticamente «sui decreti attuativi relativi al riordino delle Forze di Polizia». Il testo completo si poteva leggere in http://antoniodipietro.org/comunicati/com59_001003.htm. Nell’Allegato C si riportano alcuni passi significativi. Diverso il giudizio ufficiale dei DS. L’onorevole Marcella Lucidi, responsabile nazionale sicurezza DS, in un comunicato stampa del 3 ottobre 2000 distribuisce a piene mani agli scontenti cloroformio e giulebbe: «La nostra valutazione dei decreti di riordino è positiva. Pure se resta un ‘debito normativo’ verso la polizia di Stato. Ci siamo preoccupati in questi mesi di assicurare a polizia e carabinieri una riforma che tenesse insieme i principi della legge 121/81 e l’esigenza di ammodernamento degli apparati di sicurezza. A questa finalità si è ispirato il nostro disegno riformatore che, con l’uscita dell’arma dei carabinieri dall’esercito italiano, disegna una nuova convergenza tra le forze di polizia. Siamo convinti che non ci siano figli e figliastri della riforma. I decreti sull’arma dei carabinieri sono un buon risultato. Quanto alla polizia di Stato c’è una legittima insoddisfazione che va ascoltata e che contiene elementi di verità. Le indicazioni utili che erano state offerte tenendo conto delle legittime esigenze del personale della polizia di Stato devono rimanere nella agenda politica dei prossimi mesi, a partire dalla stesura e dall’approvazione delle norme sull’inquadramento del personale e sulle carriere non direttive» (www.democraticisinistradeputati.it/Stampa/Comunicati/ottobre00/01.htm). [16] Il Consiglio dei ministri sgancia i carabinieri dall’esercito, in www.repubblica.it, 2 ottobre 2000. [17] Luciano Violante, Apologia dell’ordine pubblico, in MicroMega, 4/95, pp. 124-140. [18] Palidda, op. cit., p. 86 n. 12. [19] Ivi, p. 60. [20] Violante, op. cit., p. 130. [21] Ivi, pp. 131 s. [22] L’onorevole Violante deve avere anche qualche problema con l’aritmetica elementare e un po’ anche con la fisica dei corpi: «Lei ha detto che a Genova ci sono stati eccessi sporadici e isolati. Non sembra che siano stati così sporadici e isolati. “Ho detto casi singoli. Gravissimi, ma singoli. Risulta che su ventimila appartenenti alle forze di polizia che erano lì, si sono comportati in modo incivile non più di trecento, quattrocento persone”» (Gianluca Luzi, Il Polo ci porti più rispetto e noi daremo il nostro aiuto, intervista a Luciano Violante, in la Repubblica, 10 agosto 2001). [23] Inclusa la richiesta di assegnare il comando generale dell’Arma a un ufficiale dei Carabinieri invece che a un generale di corpo d’armata proveniente dall’Esercito, che non sarà accolta, anche se nel suo complesso la legge votata «dal Parlamento su proposta del governo nel febbraio 2000 corrisponde quasi del tutto al progetto elaborato dai cc e presentato dal comandante, gen. Federici nell’intervista concessa all’ex collega L. Caligaris (per un periodo eurodeputato Fi) su “Epoca”, del 27/4/93, pp. 121-125» (Palidda, op. cit., p. 86 n. 14). Pare che l’ormai ex comandante generale dell’Arma Luigi Federici non apprezzasse affatto la pur lieve licenza che Governo e Parlamento si erano concessi e proprio in quel febbraio espresse il suo disappunto: «Questo governo deve spiegare l’aberrazione che un generale di corpo d’armata [dei Carabinieri] non possa concorrere con quelli dell’Esercito al comando dell’Arma» (Liana Milella, Quella lobby ostile alla riforma, in la Repubblica, 3 aprile 2000). L’«aberrazione» venne sanata nella legislatura successiva. [24] Violante, op. cit., p. 132.gaspare de caro e roberto de caro
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