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31 août 2005 3 31 /08 /août /2005 00:00

Quello che poi accade è un disastro. Ritorna un bisogno di impegno, il sacrosanto senso di rivolta e di disgusto. Si riempie questo bisogno di lottare contro i bombardamenti, la guerra del Golfo,  prendendo a prestito una eticizzazione forzosa di elementi di pura grande tattica imperiale che aveva potuto avere anche Pietro il grande, che era stata quella del cominternismo fino a Stalin*.

L’altro ingrediente trasversale che lega tutto è l’ossessione penale, l’antiterrorismo che poi trapassa per legittimarsi, perché uno se vuole legittimare i precedenti del peggio lo farà sulle figure più odiose. L’elemento populistico è forte, e allora ecco Mani pulite, il manipulitismo. Ben presto questo vittimismo, colpevolizzante e giustiziere, passa da una forma in qualche modo diretta, anche se subalterna e omologica, alla delega penale, e li ci può entrare di tutto.

Sotto ci può essere un’idea di capitalismo pulito e perfino un punto di vista da logica degli istituti di governo del capitalismo internazionale che dice adesso basta l’eccezione di questa Italia che è mantenuta sopra ai suoi mezzi perché era una piattaforma interessante nell’epoca della guerra fredda, una marca di frontiera che ha pompato soldi da tutti tra Togliattigrad e l’Occidente, tra l’Europa e la vocazione filoaraba mediterranea, basta di mantenerla come una cocotte di lusso e quindi i conti devono tornare. E così va benissimo Mani pulite, e poi le ideologie rossobrune, e così va bene a quelli che per imperizia delle membra o non esistevano (come la Lega) o erano fuori dai giochi (come i fascisti), e quindi ci si buttano. Ci salta dentro – con l’idea di una specie di scorciatoia un po’ putchista   anche l’ex partito comunista che così strappa la vittoria che Craxi pensava di aver ottenuto a seguito del crollo del muro e dell’Urss. L’ex partito comunista rilancia la diversità comunista, quella di coloro che incarnano la questione morale, il partito degli onesti. Il più grave è l’elemento populistico, il contagio per cui riescono a cooptare finanche i compagni con la kefia.
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*Il congresso di Baku

E allora si torna a Baku, al congresso dell’Internazionale negli anni ’20 in cui ci fu l’apertura tatticamente geniale in cui si coopta Kemal Atatürk, quello che in fondo era un protofascista nel senso del modernismo fascista, il modernizzatore laico della Turchia, tra il giacobinismo che evolve passando per Bonaparte e quello dove arriva. Bakù è il momento in cui il Komintern gioca questa carta, come tattica la potresti anche capire, come si potrebbe perfino capire il socialismo in un paese solo, o arrivare a quelle parole d’ordine là, ma la cosa più abietta è nella scena chiave che Koestler racconta in Buio a mezzogiorno. Il dialogo in cui Rubaciov è protagonista e che ricorda in flash back quando sta lui alla Lubianka. Il vecchio commissario politico bolscevico era andato a notificare al giovane clandestino del partito comunista tedesco di Amburgo che viveva nascosto facendo il proiezionista come in Nuovo cinema paradiso,  l’espulsione dal partito perché non si era riconvertito rapidamente e non era stato d’accordo con il fatto che da un giorno all’altro bisognava diventare crumiri, passare dall’essere i più coraggiosi nel boicottaggio a rompere lo sciopero perché era stato firmato il patto Molotov-Ribbentrop. Il fatto si potrebbe ancora capire, ma di colpo chi era turbato, diventava sospetto, traditore. Terracini se l’è cavata per il rotto della cuffia, ma Valiani racconta che da un giorno all’altro tremila comunisti di Ventotene gli tolsero il saluto, e non è che erano cattivi, erano manipolati, una mostruosità contro sé stessi innanzitutto. Così settant’anni dopo si recupera Bakù, potrebbe andare come tattica ma diventa un’etica, Zinoiev che leva la spada e dice che l’Islam è rivoluzionario intrinsecamente, sono cose che durano da allora.

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