Dovevamo vedere anche questa. Nello spettacolo infimo, nell’orgia di sproloqui, vaniloqui, discorsi decebrati e decerebranti che scendono dai pulpiti più diversi, dovevamo assistere anche a questo:
Da un lato, padroni, padroni, come si diceva un tempo, “delle ferriere”, “del vapore”, e loro trombettieri, illusionisti, giullari, predicatori, opinionisti, Soloni e Solonesse, che di colpo scoprono la tragedia della perdita del posto di lavoro, di migliaia di lavoratori messi sul lastrico…
Si tratta di gente che, ovviamente, non batte ciglio se le migliaia di posti di lavoro che se ne vanno, i redditi delle famiglie ridotti dalla perdita del potere d’acquisto, dalla messa in cassa integrazione, dal licenziamento, sono dovuti a “superiori ragioni” del calcolo economico.
Lo si è visto per esempio nel caso alle latitudini in cui viviamo abbastanza estremo degli “esodati” : gli occhi, a cominciare da quelli di pietra della Fornero, si son tenuti asciutti.
“Dura lex [concedono, bontà loro], sed Lex!”, i cuori sanno essere di pietra, anzi, affiora un fiele, un rancore – solo in apparenza paradossale – un risentimento profondo di ricchi, di sovrastanti, contro poveri, sottoposti… Una sorta di misantropìa, come un’esportazione di eventuale traccia di disagio, da parte del “Vampiro” su quelli a cui succhia il sangue ; un brivido d’indignazione, un “Ma che cazzo vogliono questi straccioni? E come si permettono di volersi ingerire, a rischio di sporcare i nostri libri mastri con le loro manacce ?”.
Qui, invece, tutti esibivano preoccupato cordoglio. Perché è il Lavoro che gli sta a cuore, non il posto. Perché è il capitale fisso, il macchinario, la Fabbrica, e il Lavoro che possono spremere dalla forza-lavoro pagata sempre e comunque assai meno, per regola, per definizione, che il Valore che crea nel tempo di vita sospeso, alienato della giornata lavorativa, in cui essa, questa merce particolare, è <capitale variabile>, appendice della macchina, e la sua utilità specifica, <valore d’uso>, è secernere, produttivamente, <Valore>, nella forma di merci d’ogni tipo, forma, colore, utilità o disutilità, delle quali si realizzi profitto…
E abbiamo potuto e dovuto vedere Sindacati, nel ruolo di “sensali” al peggior livello della forza-lavoro, intruparsi dietro ai primi, facendosi cinghia di trasmissione, megafono dell’illusionismo demagogico del ricatto padronale.
E anche uomini e donne che nella morsa di questo ricatto si riducono ad una sola dimensione, risultante di una schisi, dimentichi della loro complessa interezza umana, sono ridotti ad avvitare la morsa che li schiaccia, come costretti a scegliere tra il pane e il respiro…
Di fronte, abbiamo visto AnimeBelle, compassionevolmente piegate su un’altra riduzione brutale, sui <lavoratori> come <cittadini>, sostenere le – per altro fondatissime – ragioni della difesa della salute di tutti, dell’ambiente, della respirabilità, della speranza di vita e della sua qualità, sostenere una chiusura più che sensata e urgente di una fabbrica di veleno e morte anche oltre la misura “normale”, senza fare lo sforzo di pensare come, contestualmente, andava studiata una modalità adeguata al problema “sociale”, al concretissimo, corporale problema dei mezzi di sostentamento per un’esistenza che non sia funestata dall’incubo, dal dover maledire il fatto d’esser nati.
In mezzo, stolti o furbastri che strombettavano di <angoscioso dilemma>, di vero rompicapo, di tragica contrapposizione d’interessi tra gente comune…
Ma, è possibile subire il ricatto assurdo di chi è come se ti dicesse, “Sei libero di scegliere : o mangi, o respiri. O il pane, o la salute – tua, dei figli tuoi e degli altri, della terra dove vivi…” ?
Ci pare di dover dire che non si è sentita abbastanza, e comunque non abbastanza netta, chiara, nitida, senza sbavature, una parola d’ordine immediata, che potrebb’essere un manifesto di lotta :
Operai in libertà dal lavoro, a salario pieno a tempo indeterminato.
La chiusura immediata di quella fabbrica particolarmente nociva, fabbrica di morte, per quanto riguarda gli uomini e le donne <operai>, <lavoratori>, <salariati> è perfettamente, immediatamente fattibile.
Questa è, chiaramente, una forma di rivendicazione che reclama mezzi d’esistenza, nella forma oggi immediatamente configurabile di un reddito legato alla vita, ad un elementare primum, vivere! che non accetta di essere subordinato, piegato, reso compatibile col primato di altre ‘ragioni’, logiche, calcoli, interessi, strategie, <economie>.
Naturalmente, tutto ciò rinvia a contesti – innanzitutto di senso --, a presupposti, a conseguenze, che vanno ben oltre e che continueranno a fare oggetto di controversie d’ogni tipo, “fra tutti e tutti” ; nonché di scontro, di organizzazione d’interessi, su quello che è il terreno della molteplicità di conflitti, e anche d’inimicizie e guerre.
Intanto però, ci sembra a noi che questa, come dire, idea-forza, così, ‘nuda e cruda’, detta in modo brutalmente semplificato, in parole povere, sia il solo “realismo”, oltretutto, possibile : al di là di ogni giudizio, innanzitutto, reclamare
<lavoro> in nome di un illusorio <diritto al posto di lavoro> significa subire un mostruoso ricatto, illudersi che una sorta di servitù possa almeno salvare le briciole, e destinarsi a perdere, oltretutto, anche quelle.
(Lettera aperta, primo capitolo, CONTINUA )
Cantata anti-Marchionne a Pomigliano
La rivolta e la festa… La rivolta è la festa, la festa è – può essere –rivoltosa
“Fuori la fabbrica”, oggi le “tute bianche” in entrata e in
uscita hanno manifestamente rialzato la testa, sentendosi rincuorati.
C’erano degli amici, che alzavano la loro voce e i loro strumenti
nel contrappunto di un canto, ai cancelli della sempre più spettrale
carcassa semivuota dell’Alfa di Pomigliano (fabbrica, sempre più
“dissanguata” di operai, mandati ai reparti-confino come Nola,
cassintegrati, licenziati, minacciati del peggio, epperò che continua
a produrre Panda alla stessa norma, dunque spremendo i pochi che
restano, costretti dal dispotismo padronale a mezzo di sbirraglia di
capi e guardioni a Lavorare ognuno per tre, cioè a produttività
crescente – che vuol dire “jettà ‘o sang’…”).
Tra gli uomini e donne che entravano e uscivano, non un rifiuto del
volantino/lettera aperta dei “tendisti” di Pomigliano ai compagni di
Taranto e dell’ILVA (“Operai, l’Ilva è veleno/ via dalle officine
/liberi dal lavoro/e a salario pieno !” ). E non un volantino per
terra
La musica, le facce fraterne dei musicanti (Daniele Sepe, Enzo
Gragnaniello, James Senese, Toni Cercola, e operai vecchi del “Gruppo
operaio”, de “ ‘e Zezi”), la magìa del contrappunto del jazz
improvvisato, e i canti, evidentemente facevano sentire gli operai
meno soli, dimenticati e amari.
All’ uomm’e mmerda Marchionne (così definito da un artista, con
espressione sottolineata da applausi), Marchionne che è venuto solo,
con ministro Clini e altri tecnocrati al seguito ; venuto
all’improvviso, furtivo come un rapace, a spacciare a partners
brasiliani il suo know-how , il suo sapere e saper fare di mmerda --
il nuovo dispotismo postmoderno in fabbrica e nel mercato del lavoro
--, hanno risposto i canti, la vita, i pugni levati, gli interventi a
visom aperto.
Citazione di Modugno rivisitato (“Ti lamenti, ma che ti lamenti! /
piglia lu bastone e tira fora li denti !”), della canzone de ‘E Zezi
“Posa ‘e sord’ ”, de L’Internazionale riscritta da Franco Fortini, di
Nostra patria è il mondo intero…
Nelle stesse ore, a Napoli, gli operatori e operatrici sociali che
avevano imbandito una tavola con piatti vuoti, alla Miseria e nobiltà,
chiedevano non già ‘a fatica, ma reddito… Persino le suore mo’ si
incatenano per protestare.
Sintetizzando diverse voci di operai e altri compagni che hanno
preso la parola, ne esce un filo di discorso : <<
Noi vorremmo un’altra umanità, e la teniamo come orizzonte,
praticandola con forme di vita e di rivolta. Vogliamo un’umanità, per
cui aria, acqua, terra, frutti della terra, pane e rose siano sì beni
comuni. E la capacità, la potenza creativa dell’intelligenza di
ciascuno e tutti, sprigionata e non più mortificata nella forma del
lavoro , sfruttato, alienato, sotto comando, è pensabile. La forma,
invece, del lavoro e del consumo, che produce una sorta di umanità
tossicomane e frustrata, è quanto dobbiamo costantemente criticare e
praticamente smantellare.
Comunque, in questa società di mmerda, regolata, comandata
dalla logica del profitto, dunque della merce e del denaro, non
mendichiamo il lavoro fisso (cosa, per di più, velleitaria come non
mai, quando, come ora, viene occultata la massa crescente di lavoro
precario e al nero…).
Dobbiamo reagire, in controffensiva,
cominciando col rivendicare soldi, beni e servizi, cioè i mezzi
materiali per campare, mezzi di base per un’esistenza che non faccia
rimpiangere d’esser nati! Questo, qui, ora, su questo riunificando
lotte per la riduzione dell’orario e dei ritmi, contro la precarietà,
le divisioni e l’atomizzazione, la concorrenza fra noi imposta per
dominare. Su questo si può costruire una persistenza di scontro, che
non subisca il sopravvento delle logiche capitalistico-statali, ma
faccia vivere un bagliore di libertà, d’indipendenza, di capacità di
autonomia in comune, di comunanza>>.
All’iniziativa della “cantata” hanno partecipato anche altri
lavoratori, gruppi di precari, disoccupati e studenti, che tornavano
da blocchi stradali organizzati dagli operai in lotta dell’Ergom,
fabbrica in dismissione dell’indotto-Fiat.
Confederazione del lavoro privato COBAS, licenziati e cassintegrati
Fiat,Cobas Astir,
Lavoratori Bacini Napoli e Caserta, Area antagonista campana,
..&compagnìa cantando…
da Pomigliano, il 17 ottobre 2012