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8 février 2010 1 08 /02 /février /2010 22:10
articlechristian-sonia-039
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4 février 2010 4 04 /02 /février /2010 11:23
Tempus fugit 2)

Dopo l'incidente di percorso (vedi il post tempus fugit) che ha soltanto rimandato l'appuntamento a piazza Farnese dinanzi all'ambasciata francese per consegnare la Lettera aperta al presidente della Repubblica contro
il decreto d'estradizione di Sonja Suder e Christian Gauger, ecco una lunga lettera di Oreste (mai pubblicata a causa del suo ricovero in ospedale) per riprendere il filo del discorso...
L'avventura continua!


Amici, amiche, compagni, &ventualmente Complici, intimi complici oppure no, e anche all'occorrenza conoscenti o sconosciuti...,*
 [* ...mi si consentirà, in questa lettera  al solito intempestiva, intempestivissima..., di non aprire, per scrupolo, per tentare disperatamente di prevenire il malinteso sempre in agguato, spesso pregiudizialmente, con tutto il     connesso e conseguente scatenarsi di un concatenamento di corollarî, 'scambî di persona', scandali, lamentele, querimonie, interrogazioni, interrogatorî, processi alle intenzioni e meta-ritorsioni, e dunque relativa coazione a rimandi, rinvii, ricominciamenti da pre-premesse meta-discorsive, ex-cursus, ramificazioni, incisi parentetiche sub-digressioni... stop...
     La desinenza al maschile è, in assenza in italiano di neutro, di casi, di parole differenti per il <generale-astratto », per il maschile, per il femminile, è usata, appunto, nel senso del generale-astratto che sussume come « specie »-- certo la cosa non è neutra,''innocente'', non carica di sottintesi e gravida di conseguenze d'ogni tipo ; ma comunque, tanto, ormai anche la binarietà della « sessuazione delle desinenze » (peraltro affermata in modo tanto normativo, inquisitorio, « essenzialista » e moralizzatoresu base di legittimismo vittimistico/colpevolizzante sulla questione in oggetto, quanto trasgredita, oggetto di déroga, dunque applicata in modo aleatorio e alterno – valga l'esempio del demos e dell'Uomo dei corrispondenti « Diritti »). Dunque, volendo, per essere davvero trendy dovrei scrivere « Compagn*, amic*,.... », magari per esser meno enfatico e autoironico mettendo come esponenziale un #, o un @...
 Diciamo anche che il Compagni, è un po' nel senso del Compagnivirgola ...PotereOperaio... ]

...questa è una lettera spedita « en nombre », come se fosse una « circolare », ma questo solo per un'impossibilità, come dire...assoluta, ''fisico-logica''di poter singolarmente scrivere a ciascun* (!!)una lettera che, beninteso, per altro contiene, 'va a parare a...' un 'denominatore comune'in qualche modo di carattere per cosi' dire, « pubblico » – e tagliamo ex-meta-di peraltro necessarie precisazioni semantiche [...]
(ma « pubblico », non posso non precisare, non solo perché la si « pubblica » sulla rete, o tela, o com'altro si voglia dire...; ma anche quanto ad alcuni  argomenti, seppur, per intanto, appena sfiorati, allusi, addirittura messi ''in ellissi'', come dicono nel cinema dei sott'intesi, dati come impliciti, o avendo in testa, senza avere tempo modo e spazio neanche di annunciarli, il fatto che ci si riserva appena possibile di farli seguire ; e nella fattispecie anche quanto a una proposta – com'è nel caso di appelli, o inviti);
...resta pero'che questa lettera, per altro verso, è davvero anche ad personam, pensata avendo in testa echi, voci diventate come 'di dentro', facce, situazioni, déjà vureali o immaginati, diretti o analoghi, che si affollano, intimano risposte, chiederebbero di spiegar, a volte come, quasi, di dis-col-par-si, chiarificare, controbattere, contro-... [...].
    Costituisce evidentemente un' equazione impossibile, a incognite crescentemente crescenti, è fisicamenteimpossibile, continuare a ricadere dentro un dispositivo quasi 'borgesiano', finire come la tartaruga di Zenone che in un circuito alternativamente  insegua la propria ombra tentando di 'doppiarla', o ne sia inseguita tentando di 'staccarla'... la tartaruga o anche Achille, « Achille e il suo doppio »...; o come un cane che si attorcigli fino a circolo vizioso tentando di mordere la sua propria coda, o un toro della festa di Pamplona a cui hanno legato un'assicella con uno straccio rosso per definizione irdavanti agli occhi... 
(taglio le altre similitudini disperatamente cercate... lo zero oltre l'infinito, la carta dei cartografi del Celeste impero..., la memoria infinita uguale al niente..., l' incaprettantesi o chi si agita in sabbie mobili..., la Biblioteca di Babele e l'Aleph..., Tristram Shandy di Sterne..., Buster Keaton che pianta una quercia per ricavarne uno stecchino..., la tela di Penelope..., Paul Valery « mi scuso del fatto che questa lettera è mostruosamente lunga, ma mi è mancato il tempo per 'far breve' »..., il nodo 'scorsoio di nodi di doppi vincoli e paradossi ingiuntivi del « subito, breve, conciso, semplice, chiaro, sensato, e nel linguaggio corrente... »[quale, in Babele di idioletti ciascuno volentesi come minimo L'esperanto...], gli effetti catastrofici che puo' avere il malintendere il polisenso che puo' avere la parola « fuoco »...  E 'taglio' soprattutto comunicazione di ricerche su eziopatogenesi, percorsi anamnestici – a rischio di psicanalis...etta, che rimontano – anzi, ridiscendono, tentando di approssimare la radice, almeno specifica – a onto-, poi a filo-genesi..., che andi/rivengono fra per cosi' dire endo- e -reattivo...
[°°°]

 Cio' detto (anche solo accennato – la solita questione del 'troppo etroppo poco'...),torno a precisare che questa lettera, che anticipa  un invito, ma non ansiogeno, perentorio (per cosi' dire, senza impegno...) è anche   personale, singolare, persino anche intima...
Se  sarà possibile – lo dico per me, foss'anche solo... --, tutto quando ero andato cominciando e ricominciando da un mese in qua, resta solo 'congelato', con la riserva di farlo seguire, come « le motivazioni » di una sentenza seguono (che paragone sinistro!!!) la stesura, annuncio, lettura del « dispositivo ».
 Comunque, ormai, il tempo è fuggito, la clessidra è quasi al limite, e se voglio, un annunci-invito, farlo passare da tardivo, intempestivo, in posticipato, 'devo' amputare quasi ''tutto'', e venire al punto da
anticipare .

     Dunque, vediamo. Martedi' 26 gennaio (giorno del mio 63esimo compleanno – vedete  come si intrecciano e mischiano i piani ?...) staro' a Roma : 'scendo' sabato 23 a Napoli, dove tra le 10 e le 16, in una sala del chiostro di SanLorenzoMaggiore, si svolgerà la presentazione del libro di Roberto Silvi – pubblicato postumo a cura di Ermanno Gallo, Ada Negroni, Janie Lacoste, gli editori di Colibri -- « La memoria e l'oblio ». Lunedi' 25, alle 18 alla libreria Odradek, si terrà la presentazione a Roma (e poi il 27 sarà il turno della Calusca City Light di Milano.
    Vorrei invitare chi – alcun ''obbligo'..., alcun ricatto morale larvato tipo « Non puoi  », « Non puoi non esserci....proprio ... », alcuna pressione surrettizia e ansiogena, querimoniale e pre-– avesse 'voglia', piacere, e anche condizioni di ''fattibilità'' senza ''salti mortali'' a venire il pomeriggio del 26 ad una sequenza che si concluderà con una torta e lo spaegnere le candeline, a piazza Farnese, a Roma (diciamo alle 18, ma lo precisero' by e-mail).
    Sul piano, diciamo,affettivo/
sentimentale, la cosa potrebbere essere l'occasione... non già di una « cerimonia degli addii », ma di una di quelle feste tra lacrime e sorrisi  che si facevano la sera prima di una partenza per un periodo relativamente lungo. Certo, cerimonie a tratti dall'allegria sforzata, e col magone un po' come a un funerale. Questo, non tanto negli ''addii a celibati e nubilati'', dove c'era dell'allegrezza e al limite si faceva dell'humour sinistro un po' iperrealista, almeno in intenzioni speranze e/o illusioni; quanto , per esempio, alla vigilia della partenza di uno per diciotto mesi secchi (ventiquattro se era un metalmeccanico buono, come quelli della Putilov, per la « Marina ») di « ferma » militare – salvo l'autentico coraggio di renitenzao diserzione, o emigrazione, che all'epoca era l'unica 'linea di fuga', e comportava l'invio per alcuni anni, rinnovabiliperché si ritornava all'uscita alla casella di partenza, e al dilemma se mangiar quella minestra o saltare da finestra..., rinnovabili fino ad aver passato l'età --  barra del tipo di quella « sinodale », di non ricordo quanti anni, certo ben sopra i trenta...Naturalmente, questo in ''tempo-di-pace'', che poi se...., quando... 
    Un altro esempio di questo tipo di convivii, riguarda le vigilie dei giorni in cui dovevano ''partire i bastimenti/pe' terre assai luntane''...
    In effetti,come si dice, « partire è un po' morire »...
 (certo, nel caso di vigilia d'arresto o di fuga, non è pensabile che ci siano convivii* 
[* questo computer non mi sincronizza, né accenti su i e o, né circonflessi, dunque, se non voglio addirittura arcaicamente metter j, devo raddoppiare]
...convivii, dicevo, 'a scopo di esorcizzare la tristezza, elaborare il lutto, consolarsi, reciproco e anche riflessivo.
Non si poteva fare come scriveva Carmelo Bene : « Ma fatemi il funerale da vivo!! »).

Insomma : una festa di compleanno un po' speciale. Nel senso 'buono' , allegro, anche perché il szottoscritto è diventato nonno-bis, una seconda volta, e a Fabio « il Pirata » si è aggiunta una Maïa, splendore che fa un mese oggi, raggio-di-sole (Fabio continua a dire a RossaLinda : « Ma glie l'hai detto che sono son grand frère... Glielo dici? »).
Poi sono diventato anche una sorta di pro-zio di Nilo, altra meraviglia arrivata (una certa romanitudine romanesca direbbe « A la faccia de chi ce vo' male! ») a casa di Paolo (Persichetti) e Valentina. Ero già parrain di una ormai quasi grande Emma, che ha l'età  in cui io nel luglio sessanta mi ero tuffato nella Fgci... quello passava a Terni il convento, eppoi nessuno è perfetto...

Poi c'è il fatto che, dopo quattro anni quattro di « oggi no, ma domani si... », come i negozianti sul credito o Togliatti & C. sulla rivoluzione, all'unisono i medici mi ingiungono di cominciare la bi- (o, se mi mettono in una « coorte » sperimentale ma ormai proprio agli ultimi riscontri, tri- terapia, contro un'epatite « C » che data da una trasfusione dell'Ottanta a Rebibbia. Altrimenti preconizzano (certo, le cifre sono apprezzate coi criteri dell'epidemiologia...) una sorta di roulette russa rispetto non solo ad una cirrotizzazione che è già tra latenza e inizio, ma soprattutto un cancro al fegato, che [scusate la crudezza un po' brutale dell'argomento] una ulteriore degenerazione della cirrosi come credevo io, dunque cullandomi sulla relativa lentezza dell'incedere della fibrosi ; ma che è una reazione per certi versi opposta : una sorta di ''impazzamento'' dell'ordine dei dispositivi anti-immunitari che ad un certo punto provoca un'inflazuione crescente, proliferante, di nuove cellule di sostituzione di quelle che muoiono ai ritmi segnalate dalle transaminasi... dunque una sur-produzione superfetativa neoplastica.

 Credo proprio che (anche se 'con la morte nel cuore', un po' di crepacuore, angosce per l'inevaso, le inadempienze, i 'lavor'in corso', i rimorsi per la risultante che equivale a « errore d'omissione » dovuta al non aver saputo tradurre in praticaz la vecchia massima che « il meglio è nemico del bene », anzi, del fatto...)al massimo alla fine di marzo dovro' cominciare.
 Non serve andare a leggere in quella – tra l'altro – vera e propria fabbrica, ricettacolo e dispositivo di riproduzione allargata di deliri e loro « razionalizzazioni » e ''pubblic/azioni'' (nella fattispecie deliri d'ipocondria, con premesse, corollari, trasferimenti metaforici su altri piani...) che, anche, è Internet ; io ho anche dei riscontri testimoniali di un certo numero di amici, per sapere che bisogna attendersi il peggio : e comunque, mettere nel conto come ad altissima probabilità il fatto di essere fuori-gioco per un anno e più.
     Aggiungo che, in effetti (e questa è – in sinergismo con tutte le altre, le costanti e le variabili, le ''strutturali'' e le aleatorie, come il traffico e gli ingorghi – ragione più 'surdeterminante' di quanto il sottoscritto volesse pensare dell record di intempestività, di ritardo, di 'riduzione all'in extremis dell'invio di questa lettera), lo stato di salute presente, e del sottoscritto e di Lucia, è alquanto andato degradandosi negli ultimi tempi, e non si puo' più di tanto continuare a procrastinare, chè l'ultima contingenza, l'ultima perentoria urgenza  passi sempre, come assurdamente i telefonini rispetto al filo-del-discorso e in genere al resto della vita, come '' più prioritaria delle altre priorità'', con precedenza assoluta...


     Bon : finis sul punto. Vengo alla parte ''pubblica''. Chiarendo – certo al momento unilateralmente – che i due moventi e relativi caratteri non sono 'strumentali' e 'tirati per i capelli', né in un senso, né nell'altro, né nei due.
    Il 26 gennaio del 2008, compagne e compagne di Napoli & dintorni organizzarono una bellissima cena e festa di compleanno nell'ex-tabacchificio di Gianturco occupato per bloccare i camion che avrebbero dovuto trasformarlo in immensa discarica di 
munnezza [&tc. : 'taglio' relativa « bibliografia » anche solo « essenziale », che posso comunicare a richiesta]. C'erano Daniele Sepe & C., Luciano Russo & Contrabbanda, un po' di Zezi, fisarmoniche e musicanti vari, persino un illusionista (mago, magician).
    E che? Forse che era fare un private joke di un'occupazione? O usare i circenses per fare dell' acchiappanza proselitistico-agitatoria?
[°°° : data l'ora dell'ultimo ''tempo utile'' ultimo, i ... e °°° diventeranno sempre » più... Cosi' refusi, ed errori peggiori, dato che non ci sarà manco il 'respiro di tempo' per rileggere...]

    Qualche settimana dopo quel compleanno a Gianturco, si fece a Roma un'iniziativa  ( annunciata anche li' in extremis in una diretta a « Radi'Onda Rossa ») contro la minaccia di estradizione dalla Francia di Marina Petrella : un (piccolo) 'presidio', con striscione, fisarmonica, megafono, un po' di ''Compagneria'' svariata e diversa, con ''i soliti Miliucci, Oreste, Salvatore, e un po' d'altri''.
 Cos`i come per un intervento dello stesso tipo in chiusura del Festival di Venezia il settembre precedente , e al Ministero di « Grazia & Giustizia » di via Arenula, ci fu un 'rimbvalzo', come si dice, mass-mediatico (ci fu anche qualche rappresaglia fortunatamente 'rientrata' contro qualche presente che era in libertà condizionale, e qualche denuncia d'ordinanza per pinzillacchere varie, che non si negano a nessuno come una volta era delle sigarette).

 Questa volta, l'invito è ad accompagnare il sottoscritto a recare alla porta dell'Ambassade de France in Palazzo Farnese, una lettera al Presidente della corrispondente République in cui si risponde ad una risposta data da un « Consigliere Tecnico » (che si deve esser sbagliato di formulario, perché in punto di diritto è inequivocabilmente una castroneria [cfr. Dossier  che seguirà domenica], e rilancia una richiesta di report, vale a dire di dichiarazione di caducità, di un decreto d'estradizione di Sonja Suder e Christian Gauger (''tutti i particolari in cronaca'' – come sul dirsi –per intanto : andare al sito www.http//stopextraditions.info
     Della LETTERA APERTA AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA FRANCESE..., dovrebb'essrci anche la versione italiana.
     Giacché ci sto, altri ''per intanto'':
non ho più il tempo anche solo per riassumere 'per titoli' l'argomentario a voi rivolto per proporre un punto di vista che spieghi come e perché (beninteso, ''a torto o...,che poi è piuttosto : e, o e/o... a ragione',offerto a prova di confutazione)per il sottoscritto e qualche altra persona, la cosa non cade come ''un capello nella minestra'', ''un dentifricio nel deserto'', un « anacronismo aneddotico, microcorporativo fino al privato ; che provi ad argomentare come e perché questa micro-azione che ricorre ad un gesto riconducibile all'arsenale dell' azione diretta non-violenta, questo momento inscrivibile in una « pratica di solidarietà concreta » nel senso di Deleuze & Guattari, e in una « micropolitica » in senso foucauldiano, non è tutt'altra cosa, tutt'altr'ove... rispetto al modo, all'approccio con cui vogliamo vedere, per cosi' dire, ''Rosarno'', e ''viaCorelli'', e ''Vincennes'', e ''San Vittore'', e tutti annessi, connessi, contesti,connessi e meta-connessi e relativi.... [°°°]. Anzi !
    In attesa del complemento di questa lettera che mandero' entro domenica, chi volesse informarsene e intendesse il francese potrebbe cercare un'emissione che ho fatto ieri in diretta in proposito, 1. sullo streaming (si dice cosi', no ?)in Internet, di FPP, Radio Frequence Paris Plurielle ; 2. si spera da domani, nel Black-Blog di Oreste Scalzone &  C...omplices [http://over-blogcom].

(Comunque, si puo' cercare tutto su Google..., no?. Ecco, per ora devo smettere, un po' come una « puntata » di una Radi'Oreste, giornale immaginario intempestivo e per ora senza fissa dimora...,
saluto con la viva speranza di avere cenni di ricevuto, e non di non ricevuto da « Mailer Daymon » e simili...
        Un abbraccio, Oreste

Qualche segnalazione di appuntamenti:
allego – per gli italofoni di Parigi eventualmente interessati – in attachement il programma di una serata di omaggio per Carole Roussopulous 

Saluti, Salut ! Oreste


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2 février 2010 2 02 /02 /février /2010 12:05
Il Quotidiano della Calabria 24/01/2010
Rosarno l'alibi del razzismo e della 'Ndrangheta
di ELISABETTA DELLA CORTE e FRANCO PIPERNO

Sono trascorse alcune settimane dai fatti di Rosarno, ricostruiti ormai con dettaglio e commentati con dovizia, sui mezzi d'informazione; sicché è possibile fare il punto, per quanto provvisorio, su quel che è accaduto e sulle cause congetturali. Diciamo subito che, per noi, i moti di Rosarno, sono un segnale precursore dello scenario, inedito e maligno, che sembra aprirsi per l'agricoltura meridionale, in particolare per quella delle grandi piane. Invece, su quei fatti, gli opinionisti dei giornali del Nord hanno, di preferenza, cercato la genesi nella pulsione xenofoba, se non propriamente razzista, che abita l'anima calabrese; mentre i commentatori dei giornali del Sud hanno, per la gran parte, sposato la tesi secondo la quale tutto ha origine dalle cosche della 'ndrangheta: sono i boss che hanno fomentato la rivolta tanto tra i braccianti neri quanto tra i cittadini italiani della Piana. Noi riteniamo che entrambe queste spiegazioni finiscano col rendere ancor più confuso ciò che, in principio, avrebbero dovuto chiarire; e tutte e due approdano alla invocazione insana: più stato nel Meridione; come se, a datare dall'Unità d'Italia e per centocinquanta anni questa strategia non avesse procurato abbastanza danni.

Vediamo le cose più da vicino. Fuor di retorica, tanto la xenofobia, ovvero la paura del forestiero, quanto il razzismo, cioè il disconoscimento della comune natura per colui che ha caratteri somatici diversi, entrambi i sentimenti o i risentimenti, essendo, purtroppo, generalmente umani, si ritrovano certo tra gli abitanti di Rosarno, come a Treviso, a Biella o nel Cantone dei Grigioni. Ma sostenere che questi deplorevoli pregiudizi siano talmente egemoni da determinare la sentimentalità dei calabresi è contrario ad ogni evidenza da secoli, nella nostra regione, distribuite a macchia di leopardo, convivono con successo minoranze diverse per etnia, lingua o religione; nel recente passato, cioè negli ultimi venti anni, si sono verificati rari casi d'intolleranza verso i forestieri, certo molti di meno di quanto sia accaduto nel resto d'Europa; e, viceversa, tanto a Rosarno quanto a Badolato, a Riace come a Soverato non sono mancate esemplari occasioni d'accoglienza e di solidarietà verso i migranti, come ben mostra l'ultimo film di Wenders. Possiamo ragionevolmente concludere che il razzismo come chiave esplicativa risulta di una vaghezza frettolosa e frustrante. Quanto alla 'ndrangheta, l'attribuzione di responsabilità nei fatti di Rosarno non proviene da inchieste o ricostruzioni o studi documentati; piuttosto è una assunzione congetturale, anzi mitica; argomentata, grosso modo, così: data l'onnipotenza demoniaca della 'ndrangheta, sia quel che accade sia quel che non accade a Rosarno è riconducibile, in ultima analisi, alla strategia malavitosa; i criminali non possono non sapere, quindi tirano le file del gioco. Qui, la 'ndrangheta è divenuta una sorta di ³causa assoluta²; v'è all'opera, in questo modo di ragionare, uno sprovveduto rovesciamento cognitivo che scambia gli effetti con le cause: non sono le condizioni socio-culturali delle città della piana a generare e rigenerare la 'ndrangheta ma, viceversa, è la criminalità stessa a produrre quelle condizioni. Si noti che l'individuazione della 'ndrangheta come causa assoluta gode di particolare favore tra i professionisti dell'antimafia, per dirla con Sciascia.

Questi, così, oltre ad assicurasi quattro paghe per il lesso, finiscono con l'assolvere dalle responsabilità specifiche in ordine alla degradazione della vita civile calabrese, i politici nazionali e locali, nonché tutto il ceto dirigente della regione, imprenditori, giornalisti e universitari compresi. Val la pena sottolineare l'intrinseca inconsistenza di questa spiegazione: da una parte, la cattiva potenza della 'ndrangheta viene amplificata oltre ogni misura, attribuendole, nella rappresentazione, una strategia assai astuta ed un'efficacia paranoica; dall'altra le vengono addebitate azioni e gesti che si rivelano idioti, inconcludenti e suicidi, ancora prima che criminali. Infatti, per dirne una, che tornaconto potrebbe mai avere la 'ndrangheta a fomentare rivolte nei territori che controlla? Stante la dimensione internazionale delle sue imprese, essa, con ogni evidenza, è interessata a svolgere i propri affari nella quiete sociale; quiete che, certo, non desidera l'arrivo massiccio di magistrati, forze dell'ordine, giornalisti e studiosi della domenica.  Il miracolo economico dei giardini e la condizione di vita del migrante  Per noi, la genesi dei fatti di Rosarno va, di sicuro, cercata localmente; ma non già nella malavita piuttosto nella struttura economico-sociale del luogo. Per ricostruire, per l'essenziale, questa struttura ci serviremo liberamente delle ricerche dei sociologi dell'Università della Calabria, in particolare cfr. Tesi di Antonio Sanguinetti, La resistenza dei migranti: il caso Rosarno, 2009, Unical). Rosarno, cinquemila famiglie, ha da lungo tempo una economia incentrata sulla produzione agricola, in particolare oliveti ed agrumeti. La proprietà della terra, decisamente frantumata, è distribuita tra poco meno di duemila famiglie, ciascuna delle quali possiede in media un ettaro o poco più; insomma ad ognuna un ³giardino², come dicono a Rosarno. Fino a qualche hanno fa, vi erano oltre mille e seicento aziende agricole, quasi una a famiglia, che davano lavoro, più o meno continuativo, a circa tremila braccianti rosarnesi, poco meno di due per azienda. A partire dagli anni Novanta e fino al 2008, i contributi finanziari europei per l'agricoltura meridionale venivano concessi in proporzione alla quantità di agrumi prodotta; questo faceva sì che per ogni ettaro il proprietario percepisse una sorta di rendita fondiaria annua, garantita dalla burocrazia europea, nella misura di circa ottomila euro per ettaro. Per i tremila braccianti v'era la protezione previdenziale dell'Inps: bastava lavorare cinquantuno giorni, cinque in caso di calamità naturali, per aver poi diritto ad un assegno di disoccupazione per tutto l'anno. In effetti, molti tra i braccianti rosarnesi preferiscono, oggi come allora, percepire l'indennità di disoccupazione e svolgere altri lavori; dal momento che, negli agrumeti, a raccogliere le arance, basta ed avanza la fatica penosa dei migranti stranieri, totalmente flessibile ed a costi irrisori. Così, gli agrumi di Rosarno erano competitivi sul mercato delle derrate alimentari, data la stabilità del prezzo di vendita. Anzi di più: per oltre un decennio la produzione dei giardini è costantemente cresciuta; e la città ha vissuto un generale aumento del reddito monetario. A vero dire, questo incremento della quantità di arance, realizzato con continuità senza alcuna miglioria nelle tecniche agricole, aveva qualcosa che sembrava venire dal nulla, un atto creativo. Ma nessuna autorità nazionale o locale appariva inquieta per quella stranezza, non uno tra i numerosi ³predicatori di legalitಠne era turbato, non un solo studioso si mostrava incuriosito; e perfino tra i giovani cronisti a caccia di ³scoop² non se ne trovava uno che prestasse attenzione a quella bizzarria. Infatti, il miracolo economico nella piana tirrenica si basava sulla frode e la pubblica menzogna; come per altro accadeva in quegli stessi anni alla produzione lattiera nell'Italia del Nord, o, globalmente, alla finanza creativa. La cosa funzionava così: le cooperative dei piccoli proprietari, raccoglievano le arance per poi smerciarle verso i grandi mercati ortofrutticoli e le industrie alimentari del Nord.

Queste stesse associazioni, dirette da un personale proveniente equamente dal ceto politico di centrosinistra e di centrodestra, gestivano i contributi europei. Poiché questi ultimi erano proporzionali alle quantità di agrumi conferiti dai contadini alle cooperative, Rosarno produceva una sterminata quantità di arance, molte sugli alberi, ma molte di più sulla carta. Se il contadino portava un certo ammontare di agrumi, l'associazione, nella fattura, ne dichiarava tre, cinque, perfino dieci volte tanto. I proprietari degli agrumeti incassavano così dei contributi finanziari gonfiati, che, in misura assai modesta, stornavano ai contadini per assicurarsi, a buon mercato, la complicità collettiva per quella dei disoccupati rosarnesi ci pensava, come abbiamo notato, l'Inps con i suoi elenchi falsi e senza fine di braccianti agricoli per i quali non veniva versato quanto dovuto alla previdenza. Attorno a questa truffa di massa, ne erano sbocciate poi svariate altre, sempre sui fondi europei; in particolare erano sorte numerose industrie che trasformavano le arance di carta in succhi di carta, come è giusto che sia.

A Rosarno, dagli anni Novanta e fino a poco fa, s'è venuto così delineando un insolito modo di produzione che intreccia tra loro epoche o meglio temporalità diverse; temporalità che, nella storia dell'occidente, s'erano snodate secondo un prima ed un poi, appaiono nella Piana tutte insieme contemporaneamente. Intanto, v'è una temporalità protocapitalistica, quella dell'accumulazione primitiva. Di questa temporalità partecipano tanto i proprietari dei giardini quanto i migranti che lavorano come stagionali in quegli agrumeti. I primi, ³capitalisti pezzenti², posseduti dal funesto desiderio di arricchirsi in fretta, non vanno tanto per il sottile; e manifestano senza ritegno quella ferocia sociale, quello spirito animale proprio del capitalismo nella fase nascente. Essi esercitano la loro egemonia sui braccianti agricoli rosarnesi attraverso la pratica del tutto discrezionale delle assunzioni, tanto di quelle vere quanto, e soprattutto, di quelle false. Gli altri, i migranti, in maggioranza africani, sono, come al tempo della manifattura nell'Inghilterra dell'inizio Ottocento, nuda forza-lavoro, priva di mutua, contratto e protezione sindacale. Non solo lavorano al nero, come del resto accade frequentemente e più in generale nell'economia calabrese anche per i cittadini italiani; ma percepiscono un salario nero che è meno della metà di quello, pur sempre nero, corrisposto al bracciante indigeno. V'è poi l'intrico della previdenza sociale, dove il bizantinismo delle regole riporta alla politica agraria corporativa, al tempo di Bonomi, al regime democristiano nel secondo Dopoguerra. Infine, v'è la temporalità post-moderna, quella propria alla burocrazia europea che nella sua illuminata astrazione finisce col favorire l'agricoltura creativa, di carta; così come ha reso possibile la finanza creativa, quella appunto di carta. Questo improbabile assetto economico ha retto bene per quasi un ventennio; ma, ecco che, pochi anni fa, si sono avvertiti i primi scricchiolii; qualcuno tra i magistrati assopiti nella lotta alla mafia si è come destato, sono partite le prime inchieste, qualche truffa particolarmente clamorosa è venuta alla luce; perfino l'Inps è sembrata uscire dal letargo per rivedere l'elenco dei braccianti registrati e sfoltirlo di quasi la metà. Poi, nel 2008, si sono aggiunti, buon ultimi, i burocrati di Bruxelles: allarmati dalla scoperta delle truffe, hanno bruscamente deciso di mutare il criterio d'erogazione dei contributi, legandolo agli ettari e non più alla produzione. Questo ha comportato che laddove, prima, il proprietario di un giardino riceveva ottomila euro ad ettaro, ora riesce ad ottenerne un po' meno di millecinquecento. Tanto è bastato perché ci fosse una severa ed immediata contrazione del numero delle aziende in agricoltura ed ancor più nella trasformazione e nel commercio.

La crisi globale e la lotta di classe nella Piana tirrenica  Così stavano le cose a Rosarno, quando, l'anno scorso, la crisi finanziaria globale è arrivata anche nella piana: il prezzo delle arance è crollato sul mercato internazionale mentre giungevano circa un migliaio in più di migranti, licenziati dalle fabbriche del Centro-Nord e presi dal tentativo di ottenere reddito, sia pure minimo ed al nero, nelle campagne del Sud. A questo punto, a Rosarno, ci si è trovati a dover far fronte contemporaneamente a tre difficoltà: riduzione drastica dei contributi finanziari europei all'agricoltura, caduta globale della domanda di derrate alimentari, aumento della concentrazione locale di migranti in cerca di lavoro. L'interferenza di questi fattori ha innescato uno scontro di classe tra, da una parte, il blocco sociale aggregato attorno ai piccoli proprietari; dall'altra, migliaia di migranti che da decenni usano lavorare come stagionali in quei giardini. Per riassumere la situazione con una immagine: a Rosarno, quest'anno, gran parte delle arance sono restate sugli alberi, il loro prezzo di vendita non copre neppure il costo di produzione. Laddove qualche anno fa occorrevano, per il lavoro di raccolta, oltre duemila migranti quest'anno ne bastavano meno di duecento; mentre la crisi economica ne ha portato nella Piana quasi tremila. Si sono create le condizioni per uno scontro sociale: il diritto al profitto del ³capitalista pezzente² contro la consuetudine dei ³migrante moro² di trarre, ogni anno, a Rosarno, un reddito di sopravvivenza.

Già a dicembre scorso, nel giro di poche settimane, l'aria era cambiata. I rosarnesi, egemonizzati dai proprietari degli agrumeti, hanno cominciato ad avvertire la presenza dei migranti come eccedente ed inutile; prima erano braccia che lavoravano per loro, poi sono divenuti vagabondi stranieri da rinviare a casa loro; in fretta, talmente in fretta da lasciarli creditori, da non aver tempo per pagare loro quel lavoro al nero che alcuni avevano comunque compiuto. Nella totale incapacità di mediazione politica da parte della regione o della prefettura di Reggio,è venuto così montando un disagio anzi una sorta di odio di classe tra rosarnesi e migranti, quando non una vera e propria ostilità fisica. In queste circostanze è bastato un gesto irresponsabile o forse una consapevole provocazione, la cui gravità è stata ingigantita dalle voci, dai rumori, per accendere la miccia della esplosione sociale ma, sia ripetuto qui per inciso, il razzismo ha avuto un ruolo meramente folklorico: fossero stati, i migranti, tutti alti e biondi e con gli occhi azzurri, l'antagonismo e lo scontro sociale, tra imprenditori e salariati giornalieri, nelle condizioni date, si sarebbero svolti, più o meno, allo stesso modo.  Imparare dai fatti  Certo, i tumulti di Rosarno sono gravi, non già per quel che è accaduto, ma piuttosto per la situazione socio-culturale che hanno svelato preesistere; e che riguarda sì la Piana tirrenica ma anche quella jonica e molti altri luoghi di sviluppo, diciamo così, della agricoltura meridionale. Questa situazione è caratterizzata dalla pubblica ipocrisia. Si badi, quel che qui è in gioco non è il comportamento fraudolento, sempre possibile perché la carne è fragile; e nemmeno la dimensione collettiva di quel comportamento che anzi testimonia una certa potenza cooperativa; piuttosto, l'aspetto maligno sta in quel pubblico omaggio che in Calabria le autorità tutte, locali e nazionali, i giornali, i vescovi, i presidi delle scuole, giù giù fino a qualche noto ladro rendono alla legalità, invocata ossessivamente come uno scongiuro, malgrado che il comune sentire ben sappia di quanta banale e sistematica violazione di ogni buona abitudine sia intrisa quella legalità di cui si declamano le lodi. L'ipocrisia pubblica ha consentito che, per anni, giunte e consiglieri, regionali, provinciali, comunali, commissari prefettizi, Protezione civile, magistrati e poliziotti, deputati e senatori ignorassero le condizioni subumane, oltreché illegali, nelle quali vivevano e vivono migliaia di migranti costretti al lavoro nero nelle campagne meridionali. Come in un tic nevrotico collettivo, tutti rimuovevano e quindi non v'erano responsabili; così, in venti anni, nessuna, tra le variegate autorità ha avuto modo di promuovere una azione d'emergenza per garantire ai migranti alloggi, acqua, luce e servizi igienici, come era possibile e come per altro è avvenuto in altre regioni. Di passaggio, val la pena notare come l'assenza di responsabilità, conseguenza della pubblica ipocrisia, spieghi un particolare insolito che ha connotato quegli eventi: malgrado il tradizionale presenzialismo della rappresentanza meridionale, nessuno dei leader politici regionali si è visto nelle piazze di Rosarno durante i moti e questo con ragione dal momento che i migranti non votano. Ma l'ipocrisia non riguarda solo le autorità locali, anche i sindacati ne sono interamente coinvolti. Come abbiamo già osservato, gran parte del lavoro dipendente, nel settore privato, si svolge al nero in Calabria; i grandi sindacati niente fanno per far valere nel Meridione la legislazione sociale, i contratti nazionali non sono applicati, e forse sono inapplicabili; eppure è proprio la contrattazione centralizzata a fornire vuoi la giustificazione ideologica dell'esistenza vuoi l'autoconservazione materiale della burocrazia sindacale. Questa è l'ipocrisia storica che segna la vita sindacale calabrese da mezzo secolo. Poi, ve n'è un'altra, bruciante, offensiva, subentrata nell'ultimo decennio, che può essere descritta così: la massa di lavoro vivo che valorizza l'agricoltura calabrese è pressoché tutta concentrata nei corpi dei migranti neri, ma la trimurti sindacale, costipata dai pensionati, non riesce neppure a parlare con quei giornalieri dalle mani callose. Insomma, i soli lavoratori che popolano le nostre campagne sono degli sconosciuti per il sindacato dei lavoratori, forse per scelta forse per incapacità. Tuttavia, sarebbe certo omissivo non ricordare che la partecipazione alla pubblica ipocrisia va ben oltre il ceto politico e sindacale. Quel triste sentimento ha fatto nido nell'anima di molti di noi, di quasi tutti noi calabresi. Gli unici ad esserne sostanzialmente restati immuni sono coloro che appartengono al mondo delle libere associazioni, al volontariato cattolico, ai centri sociali. E dobbiamo ringraziare i migranti di Rosarno se questo scenario è affiorato con chiarezza alla coscienza comune.  Qualche modesta proposta per agire qui ed ora  Il mondo delle associazioni, queste comunità agenti, è l'unico interlocutore autentico dei migranti, l'unico che possa chiedere loro scusa per ciò che è avvenuto ed avviene, a nome e per conto di tutti noi. Va da sé che, in casi come questo, le scuse non si declinano con le parole ma con gesti ed azioni. Per esempio, promuovere una campagna d'accusa contro la regione per costringerla immediatamente ad un programma d'edilizia d'emergenza nelle piane e nelle zone agricole frequentate dai migranti. Una gesto analogo si potrebbe agire contro i tre Atenei calabresi perché offrano accessi gratuiti e borse di studio non tanto a caso, come già fanno per spagnoli e cinesi; ma piuttosto a quei giovani migranti istruiti che, lavorando già nelle nostre piane, intendano completare la loro formazione con un curriculum accademico.

Ma non v'è dubbio che, per il mondo delle associazioni, l'obiettivo principale da perseguire, la via maestra per offrire solidarietà ai migranti, non sta nel rivendicare al posto loro bensì nel promuoverne l'autonomia sociale, nell'aiutarli ad auto-organizzarsi. Infatti, la garanzia per assicurare dignità al lavoro nero non sta nella legge, regionale o nazionale che sia, ma nell'organizzazione consapevole degli stessi migranti in grado di rovesciare il rapporto di forza oggi a loro decisamente sfavorevole. Per far questo, occorre nell'immediato, conoscere per agire: bisogna aprire, usando lo spazio della rete, una grande inchiesta di massa documentando, con filmati ed interviste, storie e condizioni di vita e di lavoro dei migranti nelle campagne calabresi. La ricerca dovrebbe ricalcare il metodo delle inchieste operaie degli anni Settanta, che erano, ad un tempo, strumenti di conoscenza e stimoli esterni, qualche volta giacobini, verso l'auto-organizzazione. A questo proposito, se l'inchiesta parte subito, v'è una fortunata occasione per convertire conoscenza in azione e viceversa. Da qualche settimana, circola tra i migranti di tutta Italia la bella idea di una giornata di sciopero generale; per le calende di marzo, organizzata autonomamente, prescindendo da sindacati e partiti, come accadeva all'origine del capitalismo. A noi sembra che contribuire al successo di questo sciopero sia un adeguato gesto risarcitorio per quel che è accaduto durante i moti di Rosarno. Infatti, non c'è chi non veda quale salto di consapevolezza provocherebbe il successo dell'iniziativa, facendo emergere, in un solo giorno, come in un lampo, nella comune coscienza, la potenza cooperativa dei migranti; senza i quali, non solo l'economia, ma la stessa vita civile della nazione appare messa a rischio.   
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27 janvier 2010 3 27 /01 /janvier /2010 02:03

Cera stato, ricorderete, un invito di Oreste, ma non siamo padroni di noi stessi e facciamo i conti col caso e con l’imponderabile. Anche di questo vive a volte la vita, ed è giusto informarvi: occorre rimandare.


Come avete letto sull’invito, il 23 si presentava a Napoli La memoria e l’oblio di Roberto Silvi, compagno prezioso che se n’è andato via l’anno scorso (una presentazione s’è tenuta ieri poi a Roma e un’altra si farà a Milano il 29 nella sala delle Calusca). Oreste ce lo siamo visti arrivare quando era appena terminato l’intervento suo filmato per l’occasione; s’era pensato di far così, nel caso non ce la facesse a venire di persona, perché si sapeva che si portava appresso uno stillicidio di sanguinamento d’origine gastrica.


Che non stesse bene era chiaro, ma quando l’abbiamo visto, come al solito più ossa che carne, ci ha spaventato per il colorito - era quello d’un lenzuolo fresco di bucato - e l’affanno micidiale che lo prendeva appena si provava a camminare. Stavolta, insomma, non era come al solito. C’era qualcosa di veramente preoccupante e l’abitudine “tattica” di Oreste, che minimizza per non farsi “mettere a riposo”, ha funzionato solo per un poco. Presto s’è capito che non c’era da scherzare.


Ricoverato d’urgenza, è risultata un’anemia micidiale con emoglobina appena superiore al 5 % e i medici hanno avviato un programma di trasfusioni, terapie e accertamenti che costringe Oreste, noi e chiunque tra i compagni volesse partecipare, a soprassedere.


Com’era scritto nell’invito, la festa prevedeva che i convitati accompagnassero Oreste all'Ambassade de France in Palazzo Farnese, dove intendeva consegnare una lettera indirizzata al Presidente della Repubblica francese, Nicolas Sarkozy, al fine di rilanciare la richiesta (rivoltagli due mesi fa da un gruppo di persone nella forma di una lettera aperta) di ritornare sulla decisione di estradare Sonia Suder e Christian Gauger.


Non stiamo qui a farvi il riassunto d’una vicenda che già conoscete e che, ad ogni buon conto, potete trovare nei particolari al sito http//stopextraditions.info. Vale la pena, se mai, che chi ne abbia voglia vada a rileggersi la lettera indirizzata a Nicolas Sarkozy, pubblicata peraltro su “Le Monde” il 16 novembre del 2009 e della quale dovrebb'esserci anche la versione italiana. Sinora era pervenuta ai firmatari una risposta del Consigliere Tecnico delle Presidenza della Repubblica francese della quale, con tutta la buona volontà, non si può fare  a meno di rilevare un dato incontrovertibile: non c’è alcun elemento di pertinenza con la vicenda di cui si parlava nella lettera-appello.

Si tratta, piuttosto, di un formulario standard, usato in altra fattispecie e fatto pervenire per errore di natura evidentemente burocratica. Con buona pace di Brecht e della lode al dubbio, stavolta la certezza è legittima: la risposta richiama il noto dialogo: « Dove vai? », « Porto pesci ». E non perché così ci piaccia di pensare, ma concretamente e in punto di diritto. La risposta, infatti, con formula di rito, assicura la presa d’atto e la dovuta attenzione da parte del Presidente della Repubblica francese alla lettera-appello, che gli chiede di tornare sulla decisione di firmare un decreto d’estradizione. E, afferma che il Presidente, per il suo ruolo di garante della separazione dei poteri, non può interferire in alcun modo sul corso della giustizia.


Questa risposta – davvero non c’è dubbio – gira su se stessa: non è, infatti, la Chambre d’accusation che firma i decreti d’estradizione. Essi, per loro natura, sono firmati dal Primo ministro e, d’altra parte, che c’entra con tutto questo la separazione dei poteri? E’ fissato in diritto costituzionale che la Chambre de l’instruction e la Cassazione esprimono giudizi di conformità, ma che la decisione sull’estradizione - che si materializza nella firma di un decreto - è facoltà esclusiva dell’Esecutivo. Potremmo aggiungere, ad abundatiam: il ricorso al Consiglio di Stato contro il decreto è ricorso a un Tribunale amministrativo. Lo dicono i casi Stéefan (1991) e Petrella (2008): revocare un decreto d’estradizione è decisione motu proprio dell’autorità sovrana che l’ha presa, e non comporta nessun conflitto di poteri: semplicemente, viene meno la materia del ricorso.


Con la lentezza dei tempi che l’estrema povertà dei mezzi comporta, i compagni che a Parigi si stanno battendo per Sonia e Christian sulla base di una pratica di solidarietà concreta che rientra nel principio dell’asilo “uno, indivisibile, indiscriminato, per tutti e ciascuno”, stanno rimettendo in moto una campagna a partire dalle necessità di una contro-risposta a quella risposta. L’argomento è incontrovertibile, ma la nostra voce è fragile. La questione centrale posta nella lettera aperta non è eludibile. Un Presidente della Repubblica dichiara « Non è una buona concezione della Giustizia giudicare 32 anni dopo i fatti, una persona che ne ha 76 ». (“Le Figaro” del 15. 10. 2009), Ed è così vero che, al di là di tutto ci chiediamo: come non può non vedere un attentato grave alla sua credibilità il fatto che, in una fattispecie identica (due ultra settantenni ricercati per fatti accaduti 34 anni fa) possano essere estradati per una decisione che, in ultima analisi, è sua? La cosa può anche passare all’inizio sotto silenzio, ma, alla lunga, questa incoerenza non rafforzerà la credibilità di un uomo pubblico.


Il problema è, però, che i Capi di Stato sono per definizione “inaccessibili” rispetto a voci come le nostre e, per questo, Oreste ed alcuni tra noi si era pensato di rendere a Roberto Silvi l’omaggio di “utilizzare” queste presentazioni del suo libro in Italia, costruendo un piccolo “evento” che potesse consentirci di far arrivare al Presidente della repubblica Francese la riproposizione identica della lettera originale, perché senza alcuna possibilità di confutazione si può dire che non è stata data ancora una risposta e che dunque l’attendiamo.


Oreste e alcuni suoi “complici” napoletani vi scrivono per dirvi che naturalmente un compleanno si può rinviare e, perché no?, facciamo la scommessa di festeggiarlo assieme dove meglio si potrà l’anno prossimo. Quanto alla “risposta alla risposta”, essa potrà essere fatta singolarmente o collettivamente. E poiché la lettera inviata a “Le Monde” terminava dicendo che le 22 persone, (“gens sans qualités ni titres particuliers”), erano solo gli iniziatori e che essa restava aperta a chi volesse sottoscriverla, noi proponiamo che chiunque condivida questa battaglia contribuisca a rilanciarla in tutte le forme che saranno possibili e, intanto, aderisca scrivendo al sito http://stopextraditions.info/index.htm, perché la lettera non ha avuto ancora una risposta.


Tempus fugit…

Saluti da Oreste e dai suoi complici napoletani

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3 décembre 2009 4 03 /12 /décembre /2009 00:49
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20 novembre 2009 5 20 /11 /novembre /2009 01:17


17 novembre 2009: nuovo processo contro gli immigrati di via
Corelli  Non lasciamoli soli!
A fianco dei detenuti, per rivendicarne la piena e incondizionata liberta’, per rafforzare il contatto solidale coi prigionieri e respingere il tentativo di isolamento. La questione sta tutta nei numeri

MARTEDI’ 17 NOVEMBRE ORE 9,30: PRESENZA IN TRIBUNALE

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13 novembre 2009 5 13 /11 /novembre /2009 13:05


Frigolandia, 11 novembre 2009
 
Care amiche e amici, concittadine e concittadini immaginari,
abbiamo ricevuto l'ultima comunicazione giudiziaria del Comune che ci intima di lasciare i locali di Frigolandia il 26 novembre.

Vi chiediamo pertanto, con la massima urgenza:
1) di aderire subito all'appello per la raccolta di firme contro lo sfratto che presenteremo al giudice titolare del nostro ricorso legale. Inviate a frigilandia@gmail.com una mail di adesione con il vostro nome, cognome, indirizzo e attività.
2) di venire a Frigolandia il 26 (chi può già dal 25) per un'assemblea di resistenza e progetto e per impedire che Frigolandia venga distrutta.
3) di sottoscrivere prima possibile, anche qui a Frigolandia il 26, la quota per il Passaporto 2010, indispensabile a pagare il nuovo canone di 6000 euro in scadenza a fine mese, che potrebbe essere, dopo i 9000 euro già pagati a ottobre, un altro motivo di conflitto giudiziario con i bulldog comunali.
 
Chi è davvero interessato a difendere Frigolandia si dia una svegliata!

Altre info sul nostro sito http://www.frigolandia.eu

--

Repubblica di Frigolandia
Località La Colonia/Montecerreto
Giano dell'Umbria (PG) - 06030 - Italia

Per informazioni:
Telefono 0742 90570
e-mail: frigilandia@gmail.com
sito: http://www.frigolandia.eu




Tutte le riviste e le pubblicazioni che hanno fatto la nostra storia:
Frigidaire, Cannibale, Il Male, Frìzzer, Vomito, Tempi Supplementari, Il Lunedì della Repubblica, Il Nuovo Male, La Piccola Unità, gli Albi, e inoltre le T-shirt e i Poster storici.
Una guida completa per chi vuole acquistare e leggere i reportage, i fumetti e i racconti, della più rivoluzionaria rivista d'arte del mondo.
 

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30 octobre 2009 5 30 /10 /octobre /2009 10:11
Le Monde Mercredi 28 octobre 2009 Isabelle Mandraud
Deux Allemands de 76 et 68 ans menacés d’extradition Sonja Suder et Christian Gauger, qui ont vécu 31 ans en France, sont soupconnés d’avoir fait partie d’une organisation proche de la « bande à Baader »

 

Le 15 octobre, les Allemands Sonja Suder, 76 ans, et Chris- tian Gauger, 68 ans, se sont vu notifier le décret d’extradition les concernant, signé quatre mois plus tôt, en juillet, par le premier minis- tre François Fillon. L’Allemagne a réclamé l’extradition de ce couple réfugié en France depuis 31 ans, qu’elle soupçonne d’avoir fait par- tie des « Cellules révolutionnai- res », une organisation proche de la Fraction armée rouge, ou « bande à Baader ». Mais en France, fait inha- bituel, Sonja Suder et Christian Gau- ger ont été jugés deux fois en sens opposé. Ils ont été interpellés une pre- mière fois par les renseignements généraux dans le 11 e arrondisse- ment de Paris, le 16 janvier 2000. Le sort du couple, placé sous écrou extraditionnel le 18 janvier 2000, et libéré trois jours plus tard sous contrôle judiciaire, est alors exa- miné par la cour d’appel de Paris, qui conclut, le 28 février 2001, à l’ir- recevabilité de la demande d’extra- dition. Les faits qui leur sont repro- chés remontent à plus de trente ans et sont, en France, prescrits. Les autorités allemandes soup- çonnent Sonja Suder, sur la foi de déclarations de repentis, d’avoir participé indirectement à l’attentat contre les participants d’une confé- rence de l’OPEP à Vienne le 21 sep- tembre 1975. Attentat orchestré par Illich Ramirez Sanchez, alias Carlos, lors duquel trois personnes avaient été tuées. Selon la police alleman- de, Sonja Suder aurait participé au recrutement du terroriste Hans-Joa- chim Klein, l’un des repentis, et aurait remis, la veille, les armes au commando. Prescription Elle et son compagnon sont aus- si soupçonnés par la police alleman- de d’avoir commis trois attentats à l’explosif ou tentatives d’attentats contre le château d’Heidelberg, deux sociétés, KSB à Frankenthal et MAN à Nuremberg, entre 1977 et 1978. Le rôle de Christian Gauger, décrit par la police allemande, aurait été de fournir les matériaux nécessaires et de gérer les caches. Remis en liberté, le couple sort de la clandestinité, quitte Lille où il résidait et s’installe à Saint-Denis, en région parisienne. Ils ont vécu toutes ces années chichement du produit de la vente de vide-gre- niers, réparant quand ils le pou- vaient du petit matériel électromé- nager. Victime d’un accident cardia- que en 1997, Christian Gauger souf- fre de graves séquelles. Il n’a plus la même assurance et a perdu une par- tie de sa mémoire. Pour ces raisons, il dépend de plus en plus de sa com- pagne. Mais le 30 octobre 2007, le couple est de nouveau interpellé, cette fois à la sortie de son domicile. De nouveau placés sous écrou extraditionnel, Sonja Suder et Christian Gauger sont libérés le 28 novembre 2007. Le Land de Hes- se est en effet revenu à la charge sur sa demande d’extradition en met- tant en avant la convention de Dublin de 1996, qui lie les Etats membres de l’Union européenne, et stipule, article 8, que « l’extradi- tion ne peut être refusée au motif qu’il y a prescription de l’action ou de la peine, selon la législation de l’Etat membre requis ».


« Lettre ouverte au président de la République » Lui-même ancien activiste italien réfugié en France pendant vingt- sept ans, bénéficiant d’une pres- cription depuis 2007, Oreste Scalzone peaufine, avec un grou- pe de sympathisants, une « lettre ouverte au président de la Répu- blique » en faveur des Allemands Sonja Suder et Christian Gauger, menacés d’extradition. « La jus- tice pénale ne peut pas être infi- nie », estime M. Scalzone, qui milite contre toutes les extradi- tions, et fut le fondateur, avec Toni Negri, du groupe Potere Operaio avant de devenir, dans les années 1970, le leader du mouvement de l’autonomie ita- lienne. Dans cette lettre, les sou- tiens du couple Suder-Gauger rappellent au président français ses déclarations plus clémentes sur la situation du cinéaste Roman Polanski, 76 ans.


Cette convention est entrée en applica- tion en France en juin 2005. Du coup, la cour d’appel de Paris s’est prononcée, le 25 février dernier, en faveur de l’extradition des deux Allemands, – en totale contradic- tion avec son premier arrêt. Cheveux blancs pour lui, poivre et sel pour elle, le couple aux allures de retraités dissimule son inquiétu- de sous la sobriété de son propos. « C’est un peu étonnant de changer d’avis », dit Sonja Suder. Christian Gauger hoche la tête. « Cette convention de Dublin n’est jamais entrée en vigueur en France, s’indigne leur avocate, Irè- ne Terrel. Et en droit français, les seuls faits imprescriptibles sont les crimes contre l’humanité. » La situa- tion de Sonja Suder et Christian Gauger, membres supposés d’une organisation aujourd’hui disparue, – ce qu’ils n’ont jamais confirmé ni formellement nié –, apparaît, de fait, assez inédite. « On est au degré zéro du droit, poursuit M me Terrel. Le procès équitable, 35 ans après, est tout simplement impossible, il n’y a plus de notion de délai raisonnable, la plupart des témoins sont morts, les preuves n’existent plus... » L’avocate, qui espère une abroga- tion du décret, compte mettre en avant l’autorité de la chose déjà jugée, l’âge et les problèmes de san- té de ses clients. Surtout, M me Terrel, tout comme les soutiens du couple qui se mettent en place rappellent le commentaire de Nicolas Sarko- zy, à propos du cinéaste Roman Polanski, poursuivi pour actes sexuels sur une mineure aux Etats- Unis en 1977, interpellé le 27 sep- tembre en Suisse, et menacé d’ex- tradition. Dans un entretien au Figaro, le 16 octobre, le président de la République déclarait : « Je com- prends que l’on soit choqué par la gravité des accusations contre Roman Polanski. Mais j’ajoute que ce n’est pas une bonne administra- tion de la justice que de se pronon- cer trente-deux ans après les faits, alors que l’intéressé a aujourd’hui 76 ans. » L’affaire Suder-Gauger est aujourd’hui devant le Conseil d’Etat.

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15 octobre 2009 4 15 /10 /octobre /2009 13:49
S'è chiuso martedì 13 ottobre, con la sentenza di primo grado, il processo ai ribelli di
Corelli, arrestati la notte del 13 agosto dopo le proteste che fecero seguito all’entrata
in vigore del pacchetto sicurezza.
 
A fronte delle pesanti richieste di condanna avanzate dal p.m. (per tutti/e pene dai due
anni ai due anni e mezzo, con una sola assoluzione) il giudice, dopo ben sei udienze,
ha deciso di suffragare la tesi della colpevolezza sostenuta dalla polizia e dalla croce
rossa, condannando tutti/e, ma con pene di molto inferiori, che vanno dai sei ai nove
mesi, senza in ogni caso concedere a nessuno la sospensione della pena.
Avrà inoltre seguito la vicenda “specifica” di Joy, emersa con nettezza durante il
processo. 
Da una parte è certo che verrà denunciata per calunnia nei confronti di Vittorio
Addesso, l’ispettore-capo di polizia che ha esercitato violenze sessuali su di lei;
dall’altra è altrettanto certa la denuncia di Joy  nei confronti di Addesso.  In altre
parole: il processo Corelli continua.
 
In sintesi possiamo dire che l’esito del processo non fa che confermare il carattere
“partigiano” della giustizia borghese, come sempre incapace di contraddire le scelte
del potere politico e dei suoi apparati repressivi, decidendo quindi di colpire
comunque, nonostante nel corso del processo siano emerse palesi contraddizioni
nell’impianto accusatorio, sia in merito ai fatti accaduti, sia in merito
all’identificazione dei presunti responsabili.
 
L’unico elemento politicamente positivo e significativo è stata la concessione a tutti/e
delle attenuanti generiche, cosa che spiega il forte ridimensionamento dell’entità delle
condanne rispetto alle richieste del p.m. In attesa che il giudice depositi le
motivazioni della sentenza è lecito pensare che tali attenuanti siano esattamente
legate al contesto in cui tali “reati” sarebbero avvenuti (la natura dei CIE e del loro
funzionamento), riconoscendo implicitamente come il carattere politico che i
detenuti, insieme con gli antirazzisti intervenuti a loro sostegno, hanno cercato di
imprimere al processo, abbia comunque ottenuto un risultato importante, per quanto
insoddisfacente di fronte alla repressione che, anche questa volta, l’ha fatta franca.
 
Resta il fatto che le lotte nei CIE continuano (e  continueranno) come dimostrano gli
scioperi proclamati nei CIE di Gradisca e Milano, proprio in solidarietà con gli
immigrati processati oggi.
Resta quindi il fatto che è necessario e doveroso rilanciare l’impegno per la loro
chiusura definitiva e, con essa, l’abbattimento definitivo di ogni legge razziale.
Come comitato antirazzista ci faremo carico di indire a breve un’assemblea pubblica,
con la presenza degli avvocati che hanno condotto la battaglia difensiva, per
sviluppare un bilancio politico pubblico e collettivo del processo e soprattutto per
decidere il rilancio di una  lotta imprescindibile per le libertà di tutti/e.
 
Comitato antirazzista milanese
Milano, 13 ottobre 2009
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19 septembre 2009 6 19 /09 /septembre /2009 13:40
«Collaborazionista» (lo dice persino Bifo), «venduto», addirittura «trasandato», scrive una lettrice chic appena uscita dalla boutique di Prada col manifesto sotto il braccio. Contro Sansonetti si rincorrono nel web epiteti e improperi pieni di livore dopo la sua partecipazione alla puntata di Porta a porta con Berlusconi protagonista, boicottata dall’opposizione Repubblica in testa e tutti gli altri dietro. I più scatenati sono però i lettori del manifesto. Otto pagine d’insulti a corredo di un’invettiva di Tommaso Di Francesco e una vignetta del laido Vauro sul Sansonetto di peluche. Ma Vauro l’ha mai fatta una vignetta contro Di Pietro? E come ha fatto a frequentare Anno zero senza aver mai detto una parola su un personaggio come Travaglio? «Barbuto e capelluto (troppo capelluto)», aggiunge un altro lettore che forse vuole insinuare una complicità tricologia (di trapianti) tra Berlusconi e Sansonetti. Più sotto, «A questo punto nessuno mi toglie dalla testa che Piero per fare il suo L’Altro si sia fatto aiutare da quell'altro», e vai con il comprato più ancora del venduto. E poi «Comunista civilizzato», «salottiero», «spalla di Berlusconi», «disertore», «trasformista», «voltagabbana». Dulcis in fundo: «Affossatore dell’Unità e di Liberazione» (sic). Ma non basta, il povero Piero è da esecrare perché ha osato attaccare «Ballarò di Floris, trasmissione del Pd». Capito? Leggono il manifesto, guardano Ballarò, ascoltano Sabina Guzzanti, adorano Anno zero, ridono con Vauro, votano Di Pietro e pensano d’essere pure comunisti. Tutto si tiene nonostante le stridenti contraddizioni. Ma chi sono i lettori del manifesto? La domanda è molto seria perché in genere uno compra il giornale nel quale si riconosce. Insomma se questo tipo di lettori si rispecchia nel manifesto, che cosa è mai quel giornale che ancora porta sotto la testata quotidiano comunista? Ma a pensarci bene la domanda va estesa a tutta la sinistra cosiddetta radicale, insomma quella a sinistra del Pd, perché contraddizioni del genere si registrano tranquillamente tra i lettori di Liberazione e anche de L’Altro. Anzi, su queste stesse pagine capita di leggere interventi di Maurizio Zipponi (entrato nell’Idv) e commenti, ultimo quello di Nanni Riccobono, che delineano positivamente la svolta «operista di Di Pietro» (così è stata definita), come se non si trattasse dell’ultimo e forse definitivo colpo mortale inferto a quel che resta dei ruderi della sinistra. Il populismo penale, la ferocia sicuritaria dell’Idv, si concilierebbero con un discorso attento ai ceti sociali più deboli, anzi ne rappresenterebbero la svolta progressista. Nemmeno ci si accorge dell’impasto peronista che una linea politica del genere riassume. Una specie di leghismo di sinistra. Quello che altrove chiamano l’alleanza rouge-brun. Siamo al grado zero della chiarezza ideologica. Lasciamo stare la teoria sociale e politica che ormai trovano cittadinanza solo nei tink tank della destra. Siamo al patchwork insulso, ad una melassa confusa. Ci si scanna reciprocamente travolti da risentimenti, alla ricerca di un colpevole, di un capro espiatorio su cui far ricadere la colpa, il tradimento della causa, senza accorgersi che alla fine questo popolo diviso, e sempre più residuo, s’assomiglia terribilmente. Quanto a Sansonetti, forse ha sbagliato ad andare a Porta a porta sopravvalutando le sue forze. Cosa mai poteva fare in un programma dove sono ammessi due soli brevi interventi, quando al premier veniva concessa la parola per ore? Forse togliersi le scarpe e tirargliele, come qualcuno ha suggerito. Ma a parte che era in collegamento, ognuno ha il suo stile. E quello di Piero – chi lo conosce lo sa – è da scuola del vecchio Pci. Compassato ed elegante. Tuttavia questo tipo di perplessità non va confusa con le accuse di collaborazionismo lanciate nei suoi confronti. Possibile che non si riesca a concepire un’azione autonoma della sinistra, ma si debba sempre finire col rincorre gli ordini che vengono da certi salotti della borghesia ostili al blocco di potere berlusconiano? Non si va a Porta a porta perché l’hanno deciso loro? E chi se ne frega! Chi parla di alleanze è velleitario, in realtà la sua è solo sudditanza. Oggi che la sinistra è invisibile, appiattirsi vuol dire scomparire definitivamente. Ci si allea quando si è forti e si ha potere di condizionamento, altrimenti ci si accoda soltanto. Sansonetti ha agito facendo leva su un’idea forte di autonomia politica e culturale che nella sinistra è smarrita. Autonomia, ricerca indipendente di una via che non passi per De Benedetti, Agnelli e compagnia. I quotidiani della sinistra comunista e radicale sono morti quando sono diventati degli inserti di Repubblica.
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