Overblog
Suivre ce blog Administration + Créer mon blog
14 janvier 2009 3 14 /01 /janvier /2009 16:22
    Quest'intervento pubblicato ieri in una prima stesura provvisoria, sarà riproposto domani venerdì 16 gennaio nella sua versione completa e definitiva.
Non faccio a tempo ad esprimere la felicità fisica che provo ogniqualvolta una vita, un destino, viene salvato, portato fuori dal cono d'ombra, dall'ombra lunga di un orizzonte di galera, specie quando essa è "a vita", cioè a morte (e questo vissuto, poi, quest'emozione con una intensità comprensibilmente accresciuta quando si tratta di persone che son state compagne di destino) che mi arrivano gli echi delle dichiarazioni aspre e recriminatorie provenienti dall'Italia.

    Si mescolano assieme le voci dei politici, degli opinion makers, degli uomini pubblici delle istituzioni, e quelle dei "familiari delle vittime" riuniti nelle corrispondenti associazioni.
Devo dire che i secondi – quelli tra loro che non sono cooptati nel mercato politico-istituzionale – sono concretamente, al presente, vittime dei primi. I politici dovrebbero sapere che stanno violentando queste figure vittimarie mandandole allo sbaraglio, esponendole a laceranti frustrazioni quando dànno corda ad una sorta di idolatria dell'identità di vittima, ad una sua totalizzazione ed eternizzazione, ad una sua pretesa di costituirsi in "fonte di diritto", sorgente e legittimazione di norma, e di prassi ../...

Partager cet article
Repost0
13 janvier 2009 2 13 /01 /janvier /2009 01:03
Quello che segue è il tentativo di "condensare" e "stralciare" un filo-di-discorso, per arrivare ad un testo nato da uno 'spunto'd'occasione: quella che chiamerei la piccola Controriforma che - quel ch'è peggio prendendosi per dimolto radicalmente antagonisti  - i dirigenti di Rifondazione comunista hanno scatenato contro la redazione e il direttore del quotidiano "Liberazione".
Qualche estratto di questo testo (che pare a chi scrive, magari a torto, vada al di là dell'occasione che è servita da spunto) è uscito su "Liberazione" di domenica 11 gennaio.



LA RIVOLUZIONE NON È AFFARE DI PARTITO


PREAMBOLO
    Poi che bisogna soprattutto evitare toni da necrologio, stile "Ciao, Piero!" col groppo alla gola (questo, poi, vale soprattutto per chi, come il sottoscritto, sia risolutamente fuori, da Rifondazione e dalle sue convulsioni attuali, e più in generale dalla forma della politica in cui comunque il PdRC  è stato sempre inscritto).  
    Poi che si può perdere "tutto", cioè ancora qualcosa di quel che resta, fuorché il 'potere di' accanirsi con disperata speranza e pessimistica volontà a tentar di capire, capirsi e capire come - come si possa ricominciare sempre la risata che seppellisce 'poteri su altrui'.
    Poi che per ripercorrere concetti argomenti e passioni aggrumati nella parola comunismo - nome, e rosa - chi vi scrive ha riempito nell'ultimo mese qualche centinaio di pagine restate anacolùte, e adesso c'è più o meno un'ora di tempo, o il silenzio.
    Poi che molto d'altro ci sarebbe da dire, per cominciare (e sempre a rischio del 'troppo e troppo poco'), vorrei solo - senza speranza, senza speranza di convincere alcuno - comunicare qualche sovrappensiero, con al massimo l'ambizione, neanche di esporre delle congetture al fine che siano prese in esame e all'occorrenza confutate, ma - ancor più modestamente - di "mettere qualche pulce in qualche orecchio", perché magari ci si applichi a vedere se mai certe tracce di riflessione possano esser considerate <non  manifestamente infondate> : niente di più, ma neanche di meno.

ANCORA PROLOGO

    Due sole premesse, neanche <metodologiche>, ma semplicemente date come un "codice tipografico", una "lista delle abbreviazioni", un cifrario, un'autocertificazione d'intenzioni (che comunque testimonia quantomeno dell'imago sui  che si coltiva e si propone, che si vorrebbe fosse percepita), per evitare almeno qualche malinteso, che poi - proiettato al limite - impedisce ogni possibilità di capirsi.
    Primo: di tutti i difetti che il sottoscritto può avere, che senz'altro ha ed ancora di più, non fa certo parte la sicumèra. Non per virtù, pregio - l' umiltà 'segno di sapienza e grandezza d'animo'... -, ma per cognizione lancinante del proprio non sapere, non-sapere ad oltranza, non-sapere specifico, singolare, ulteriore rispetto alla loro accecante ignoranza che è ricordata agli umani (<esseri parlanti>, gente di specie <specializzata nella parola> epperciostesso <pericolosa>, chè la parola ha 'tirato' con sé l'inferenza, il pensiero, l'astrazione, il concepirsi, la cognizione della mortalità, gli enigmi su inizio fine fini senso e no, la "maledizione del Due", la croc'&delizia dell'alterità della riflessività della conoscenza) - ... la propria ignoranza ricordata, dicevamo, a questa specie p[a]roletaria dall'inscrizione del frontone del tempio di Apollo a Delfo, <so di non sapere>.
    Secondo : anche qui non per un qualche pregio - forse solo, al fondo, per "empatismo parossistico" come proprio della <strutturazione nevrotica della personalità> (ciascun la propria, e guai a chi se le disconosca o presuma che sia <materialista> tener questo campo in non cale...a rischio poi di finir in braccio ai peggio guru), il sottoscritto sistematicamente rifiuta il terreno di processi e giudizî portati sulle intenzioni. Non per una sorta di angelistico eudaimonismo che rischia di scivolare a Panglosse, ma, primo, perché in buona filosofia elementare le intenzioni ultime, cioè prime, sia altrui che proprie sono in ultim'analisi inattingibili, salvo prendersi per il Sig.Dio o un suo interprete autorizzato ; e secondo, perché è assai più operativo, e introduce ad una critica assai più radicale, andare a vedere le buonefedi e buon'intenzioni di cui è lastricata la famosa "strada per l'inferno"...
    E dunque, facciamo conto che le economie - utilitaristiche o libidinali ; le competizioni - spesso e volentieri 'a morte' ; le concorrenze -più o meno mimetiche ; le fiere e mercati delle vanità, i giochi di rappresentazioni, le cupidigie di accumulazione di potere, gli argomenti di propaganda, le <passioni tristi> - rancori, figure varie del risentimento... facciamo conto che tutto questo non sia in gioco (e che comunque non sia significativo) : e che sia esclusivamente questione di malintesi, di equivoci di senso, ed eventualmente di <razionalizzazioni> - nel senso stretto che il termine ha nel campo psicoterapeutico - di qualcosa che s'agita sotto, sottofondo, e - più che inconfessato - insospettato.

Comunismo e identità
    [...] La maledizione del Due (<reductio ad...Duos>, e binarizzazione, dicotomizzazione, dialettiche, dilemmi morali correlati) ha colpito ancora!
    A costo  di esser accusato di fare dello psico-socio-culturalismo da giornalisti (o comunque dello "psicologismo sociale", o della "psicanalis...etta"), mi sembra di poter dire che spesso, nei territorî esistenziali di quelle che il sottoscritto definisce - con termine approssimativo, confidenziale e senza pretese di fondamento, per così dire, critico-razionale - "le Compagnerìe", giochino due fondamentali opzioni di valore, che cristallizzano in legittimità, in identità, e che a chi scrive sembrano riconducibili piuttosto ad un gioco di rappresentazioni ed auto-rappresentazioni : questione, insomma, d'imago, di auto-valorizzazioni ed etero-svalorizzazioni. Questione di 'fiere&mercati', più ancora e prima che coscientemente utilitaristici, riconducibili piuttosto ad economie narcisistiche.
    
    Potremmo tracciare delle serie, su due colonne. Da un lato, viene posto a fondamento di legittimità e pregio tutto ciò che è dell'ordine dell'originario, del 'classico', e - nella fattispecie che ci riguarda - del (supposto, preteso) concreto materiale, dello "scientificamente esatto", nell'accezione ormai classica propria della modernità industriale.
    Dall'altro lato, tutto ciò che è dell'ordine del "nuovo" vedi "nôvissimo", dell'inedito, dell'originale - e anche del leggero, dell'immateriale, del "neo-" & del "post" - neo- e post- questo...quello..."tutto"...
    Qualche elemento di una appena rapsodica casistica : Togliatti, per esempio, abusava con voluttà del termine autodefinitorio di <nuovo> (<Partito nuovo>, <nuova maggioranza>...). Al contempo, con una bulimia, una pulsione onnivora in materia di legittimità che per un verso traduce uno spasmodico egemonismo, e per l'altro comporta un' auto-diluizione (di questa sindrome - voler recuperare, coprire, sussumere, indossare "tutto", al contempo perciostesso perdendovisi, diventando un po' Zelig un po' un 'doppio', un mero 'calco' del reale, una superfetazione, come la carta del Celeste Impero della novella di Borges - un Veltroni, tanto per stare alla cronaca, rappresenta la degenerazione ultima - o magari, solo penultima : al peggio non c'è limite, ancorché....), il "togliattismo" pretendeva di detenere anche la legittimazione - nonché le chiavi del fonte battesimale che la legittimità dispensa - rappresentata dall'altro polo della coppia oppositiva : la detenzione dell'ortodossìa, dell'interpretazione autentica, fuori della quale c'è solo caos, follìa, perdizione nonché, se non a monte a valle, abiezione morale - <Veniamo di lontano, andiamo lontano>...

    Ora, le vicissitudini dell'opportunismo evidente, esplicito, integrazionista - leggi, la socialdemocrazia (tedesca & filiazioni), il democraticismo, il "citoyennisme" repubblican-nazionale, il sub-liberalismo e altre ideologie da parvenus anelanti alla tavola dei ricchi, non ci interessano più di tanto. Anche se sono delle derivazioni di una storia che ci riguarda - quella dei movimenti operai e dintorni - si presentano ormai agli occhî anche i più sprovveduti come una variante, una sfaccettatura dell'ordine sociale, mentale, morale costituito, che ci è evidentemente nemico.
    Ci interessa invece, come più carico d'insidia per noi, perché male nostro, il carattere altrettanto subalterno, integrato ed effettualmente contro-rivoluzionario, anti-sovversivo, di rappresentazioni e auto-rappresentazioni che si pongano come (e tanto peggio quando in perfetta buonafede, dunque in modo tanto più incrollabile si prendano) sovversive, come radicalissime, come intellettualmente ed eticamente audaci, quando invece sono tutt'altro. Qui entriamo nel merito di quello che ci appare come un colossale, e disperante, malinteso. [Beninteso, diagnosticare malinteso - così come leggere sintomi,
diagnosticare resistenze, così come <razionalizzazioni> nel léssico psicoterapeutico in senso molteplice e largo - è inevitabilmente pratica di un giudizio, che può essere a buon titolo sentito come prevaricatorio, autoritario, violento : ma crediamo che il punto vero sia di merito, sia stabilire con scrupolo se si ritiene che questo giudizio sia nel merito fondato. ]
Ora, una cosa è certa : se è incontrovertibilmente dimostrabile che delle conseguenze sono contraddittorie con le loro stesse premesse, è chiaro che la confutazione appare incontestabile. Sarà dunque a qualche esempio di questo tipo che ci terremo, ancorché non siano necessariamente le questioni in sé più importanti.
    Se si irride alle pretese "novistiche", giudicandole delle vanitas, fatue, frivole, eventualmente mosse da più o meno confessabili ragioni (la corsa alla moda, il conformarsi all'air du temps, il voler "montrer patte blanche", far professione di ravveduto realismo, avere le carte in regola per essere riaccolti...),  e si afferma come un valore in sé la "fedeltà al proprio passato", una sorta di pervicacia che definisce <coerenza> quella che appare come identi[ci]tà rispetto a se stessi, che senso ha un attaccamento a ciò a cui rinvia il raccapricciante, revisionistico neologismo <marxismo-leninismo>?
    Già nell'auto-denominazione, il pastiche costituito da questa "filosofia del trattino" (che con civetteria tace il terzo autore, il filosofo pratico di una specifica filosofia della Storia - dunque, in quanto tale, sempre perfettamente idealistica, come diceva Atlan - il demiurgo Joseph Vissarionovich Djugasvilhi, detto Acciaio o Koba, come dire batjuska, papà) non è forse un'ibridazione degna del kitsch post-moderno in architettura?
    Se si considera come valore legittimante l'originarietà, perché mai si lega ciò che si chiama <comunismo> ad una narrazione novecentesca, ad un'epopea che (a parte un proemio sul 1905, coi suoi binarî di tram e le figure di folla che corre e cade a San Pietroburgo) comincia soltanto con la fine della colossale macelleria della Grande guerra che apre il <secolo breve>, con un treno di Finlandia e correlata iconografia...la chapka di Lenin che si sporge dalle tavole di un rustico podio...il tutto che si confonde con i fotogrammi di Eisenstein, la carrozzina giù dalla scalinata, i marinai - operai-soldati - dell'Aurora... E poi i disegni di El Lisitskij, le foto di Rodcenko, i fucili bolscevichi e <la guardia è stanca!>...?
    Come mai non si comincia - tanto per dire - da quel <1848, mille volte maledetto dai borghesi> ; non si comincia dall'Associazione internazionale degli operai (quella che i suoi affossatori etichetteranno postumamente "Prima", cioè proto, nel caso migliore come la preistoria...) ; non si comincia dalla Comune di Parigi, la <forma finalmente scoperta che mostra come il proletariato non possa liberarsi che da sé> (per dirla con Marx, non foss'altro che in questa fase esplicitamente teorico della reciproca consustanzialità di comunanza e autonomia, cioè comun'autonomizzazione; Marx, come scrive con chiaroveggente verve provocatoria Maximilian Rubel, <teorico dell'anarchia>)?
    Ma, già, così come per la socialdemocrazia che finirà al "macellaio Noske", anche per la filiazione bolscevica (la branca "di sinistra" della socialdemocrazia "post-kautskiana" che aveva rotto la socialdemocrazia russa dopo aver conquistato la maggioranza nel Partito, e aveva ripreso a proprio conto - apponendovi un rigido copy-right depositato all'anagrafe della Storia: copyright esclusivo, sempre più sigillato col sangue dei supposti/pretesi "eretici" - la definizione di <comunista>), anche per l'autodecretata ortodossia kominternista la Comune è una specie di embrionale, imperfetta preistoria : <Non siam più la Comune di Parigi/che tu, borghese, schiacciasti nel sangue. Non più plebi umiliate e derise, ma la gran massa dei lavorator...>. Insomma, la Comune, epperchénno' Marx, tra gli altri, come il révenant anarchico, perduto nei fumi dei passati e sperduto nel presente, di <San Michele aveva un gallo> dei F.lli Taviani... [...]

    [...] In una lettera ad Engels (ricordata da Foucault in Difendere la società), Marx dice grosso modo <Chi per attaccarci, chi per lodarci, ci attribuiscono la paternità delle cose più diverse : la concettualizzazione della lotta di classe, la legge del valore...Ma la legge del valore non l'abbiamo inventata noi, è Ricardo... E la lotta di classe, l'abbiamo identificata andando a frugare nei testi degli storici francesi, che descrivevano la lotta dei popoli, delle etnìe... Se un concetto noi abbiamo "fabbricato", esso è quello di <plusvalore>.
    Ecco : per chi si richiami, voglia richiamarsi a Marx, è concetto centrale quello di estrazione del plusvalore. Ora, che parentela può mai avere con Marx un comunismo che, non si dice prescinda, ma anche solo ponga questo concetto in secondo piano, in seconda linea?
Senza dubbio, qualcuno dirà, "Ma chi ti dice, come ti permetti di affermare che noi prescindiamo ?". Bé, siamo costretti - solo per alludere 'a sorvolo' alla questione - ad una digressione. Estrazione del plusvalore, capitale, accumulazione del capitale, merce, denaro, lavoro, mercato del lavoro, non sono evidenze epifenomeniche. Si tratta di <astrazioni concrete>, operatori identificabili per via concettuale.  Essi sono delle costanti, sono operatori - più o meno visibili 'ad occhio nudo' - che vigono come agenti, che agiscono, sotto, nella stiva del reale.
    Ora, ci sono due modi - che obiettivamente si coalizzano contro la teoria critica, la critica dell'economia politica - di disconoscere il concetto di plusvalore e la sua estrazione. L'uno è (e poco importa se, o in che misura, "in buona fede" oppure no, e per interesse privato : in ogni caso tra i due estremi si inserisce come operatore interpretativo il concetto di <falsa coscienza> ), ...l'uno - dicevamo - è l'ideologia cosiddetta post-, ultra- modernistica - che risulta perfettamente adeguata alle esigenze del capitale - che prende la scomparsa di alcune forme, o comunque la loro metamorfosi, il loro carattere mutante, per mutamento di natura : nella fattispecie, l'occultamento, per via di diffusione, come di propagazione microfisica, una sorta di "nebulizzazione", una deterritorializzazione ; la scomparsa delle forme evidenti, "territorializzate" della produzione, la fine del tempo di lavoro individuale dell'operaio come base della valorizzazione, innanzitutto (per dirla con la frase-chiave del Frammento sulle macchine  dei Grundrisse in cui si definisce il concetto di <General intellect> e quello di <sussunzione reale>  [...] ), vengono presi, vengono scambiati per fine del rapporto sociale di capitale, del concetto di plusvalore e di sua estrazione. Un esempio di questo abbagliamento sono i "nuovi filosofi", intesi in senso lato - insomma, i neofiti e parvenus dell'ideologia capitalistica più volgare, quelli <passati dal collo alla Mao al Rotary club>, come scriveva più di vent'anni fa Guy Hoquengheim.
    L'altro modo - l'altra ganascia della medesima tenaglia - è un'ideologia, diciamo,  tradizionalista, 'classicista' (dove la "tradizione" e la "classicità" si fondano sull'industrialismo del <moderno>) che deve negare le modificazioni epifenomenali, della forma - delle forme del lavoro, dell'attività produttiva, delle forme di organizzazione statuale-sociale - condannandosi così a subire un vertiginoso incessante restringimento del proprio referente. (E consolandosi e 'rifacendosi' poi con una piroetta, un cambio di messa a fuoco che - con una carrellata che si allarga ad una panoramica che comprende la carta del globo terracqueo -, vede come il lavoro produttivo - nella sua forma a questo punto definibile classicamente, tradizionalmente industriale, all'occorrenza tayloristica, con la corrispondente centralità della figura dell'operaio-massa - cresca nei paesi di recente sviluppo...).
    Così come, negli anni in cui la figura dell'operaio-massa diventava centrale, questa posizione arricciava il naso e trascinava una rappresentazione dell'operaio calcata sul modello dell'operaio professionale dell'atelier manchesteriano, oggi essa inalbera la bandiera dell'<operaio massa> contro quello che è stato definito <operaio sociale>...
    Il primo risultato di questa posizione, è sviluppare un discorso  in perfetta "oggettiva" sintonia con la propaganda ideologica, con l'ideologia/propaganda del sistema, che punta ad occultare la funzione di produzione, la condizione di sfruttati di una serie di figure e strati, per consegnarli ad un'autoidentificazione come ceti medî... Cui prodest questo schematismo a base identitaria ? [...]

Il comunismo non può essere affare di partito...
[...]Il tempo, com'è noto, ci uccide - la parte superiore della clessidra è quasi vuota, e sono appena a mezzo del cammino di questa "scaletta", che è sempre 'troppo e troppo poco. Ricorro dunque ad un espediente, un marchingegno retorico per rendere almeno l'idea di qualcosa...
[...]Ve la vedete la faccia che avrebbe fatto Marx, non so, a leggere la frase con cui il Segretario generale dell'Unione degli scrittori della DDR commentò i moti operai del '53 a Berlino-Est : <La classe operaia di Berlino ha tradito la fiducia che il Partito aveva riposto in essa: ora dovrà lavorare duro per riguadagnarsela!> (è la frase che Brecht aveva parafrasato col celebre <Il Comitato Centrale ha deciso : poi che il popolo non è d'accordo, si tratta di nominare un nuovo popolo>).
    Ve la vedete la faccia di Marx, di fronte alla vista dell' <economia socialista di mercato>, ai livelli salariali nella Cina popolare (per non parlare del resto, dagli OGM alla pena di morte, e così via) ? Ve la vedete la faccia di un tipo come Marx, a sentire, se non una sorta d'identificazione, di affetto per  "la Compagna Cina!", quantomeno un silenzio imbarazzato, una sospensione delle categorie critiche, di analisi e giudizio sulla natura di una società, una certa corrività, non foss'altro che "per tattica", perché "il nemico del nemico (<principale>) è nostro <amico>"...?
    Ve la vedete la faccia di Marx, a sentir dire - e  da qualcuno professantesi "comunista" ! -  che <La legalità è il potere dei senza potere> ?
    Ve la vedete la faccia di Marx, a sentir parlare di "identità comunista" ? Il <movimento reale che... hebt auf [distrugge, oltrepassa, abolisce, deborda, esorbita da - come un'eruzione vulcanica rispetto al cratere - da Aufheben...] lo stato di cose presente> ridotto a identità, dunque a patrimonio, a qualcosa che rinvia ad "assi ereditarî", cioè a qualcosa di proprietario ?
    Ridotta a "brand", a segno distintivo, a "logotipo", a qualcosa che - sostenuto dalla pubblicità/propaganda - è messo sul mercato (mercato politico, stricto sensu weberiano, mercato della rappresentanza, col gioco di domanda e offerta relative...)?
    Credo si possa pensare, e debba dire, che <identità>, nelle sue due fondamentali accezioni - quella di identicità, e quella di distinzione, di identificazione per differenza - è opposto a comune. Nel primo significato, identità richiama la serialità, come nella produzione di serie, nell'astratta egalizzazione [n.d.s. : la diavolerìa del correttore automatico, non richiesto, del computer, sistematicamente corregge - astuzia inconsapevole! - in legalizzazione...] dei soggetti, come nel caso del cittadino, dell'elettore... Nel secondo, richiama l'astrazione dell'individuo, distinto, differenziato dagli altri e contrassegnato in modo corrispondente, come col numero di serie. Comunismo, comunanza, comunità, messa-in-comune, è altra cosa rispetto ad entrambi i termini : dovrebbe designare il <denominator comune>, gli elementi comuni, fra singolarità concrete.
    Ve la vedete, Compagnivirgola (declinato quanto si vuole e può...), ve la vedete la faccia di Marx, al sentir dire che la liberazione del proletariato - e in generale  liberazione sociale, o umana, come dir si voglia, dalle logiche di utilizzazione strumentale, di dominazione, di assoggettamento, possesso, distruzione -, può esser realizzata dall'alto, a mezzo di governo, cioè nelle relazioni di statalità, nel quadro e ad opera di una qualsivoglia forma di Stato?
    Ve la vedete dunque la faccia di Marx, che scrive quello che scrive nella Critica del programma di Gotha contro lo statalismo di Lassalle e dei lassalliani (a proposito : sarebbe divertente far rileggere a tanti che si son detti, o si credono, comunisti, alcuni passi a proposito della "educazione pubblica, gratuita e gestita dallo Stato"!...), leggere i delirî statolatrici delle più diverse correnti, spesso definentisi <comuniste> ?
    I kautsko-lassalliani inconfessati (e, probabilmente, insospettati) che poi si chiameranno marxisti-leninisti - hanno messo sugli altari la Critica del programma di Gotha, brandendola contro la socialdemocrazia ma solamente contro di essa ; mentre quella radente critica della contradictio in adjecto dello statalismo ha forza di presagio se la si mette a riscontro con lo statalismo del "socialismo reale". Statalismo, se possibile, ancor più mortale antidoto della rivoluzione - perché dotato di più forte potere di mistificazione, potere di attrazione di moltitudini di gente autenticamente sovversiva - che quello delle correnti riformiste, socialdemocratiche, delle derive "destrorse" che sono incitate nei movimenti...
    Non avendo visto la natura dei rapporti sociali nelle società "post-rivoluzionarie", questi rivoluzionarî immaginarî/portatori di controrivoluzione reale, nel caso migliore hanno incessantemente finito per tentar di applicare la "nefasta utopia" del programma di Gotha ! [...].
    Continuiamo ancora un po', con qualche altro 'test'. Ve la vedete la faccia di Marx, a sentirsi dire che il comunismo è morto, è  mezzo morto, è nato, sta di casa..., e roba simile? A sentir parlare di un <comunismo> patriottico, o penale ?
 [...] Ve la vedete, compagne e compagni, la faccia di Marx, a vedere che una serie di "fronti" di lotta - lotta a fascismi, a colonialismi, imperialismi, a dominazioni e oppressioni d'ogni tipo, antiche e moderne, locali e globali ; a logiche misogine, omòfobe, etnocentriste, a dispotismi dai più diversi caratteri - divengono alternativi alla lotta per oltrepassare, abolire, esorbitare, fuoriuscire dal sistema integrato capitalistico-statale che è la tendenza dominante dalla modernità in qua ?
    Ve la vedete la faccia di Marx, di fronte a discorsi, ideologie e pratiche che  hanno assolutizzato questi temi e ambiti di lotta fino a considerarli non già, in alcuni casi estensioni e corollarî del <comunismo>, in altri terreni primordiali che si condividono anche con altri ; ma a considerarli piuttosto come ragione sociale e come appannaggio di una "identità comunista" (talché divengono delle vere e proprie "culture e ideologie di sostituzione" della pratica teorica e pratica della critica radicale, della sovversione)?
    Ve la vedete la faccia di Marx  difronte ai laceranti psicodrammi e alle vociferazioni che alimentano inestricabili irresolubili <dilemmi morali> del tipo di quello che, all'epoca della guerra delle Malvine, lacerava singoli e gruppi : dilemma assurdo, tra il doversi, per ant'imperialismo, schierare col regime di Videla, oppure, per antifascismo, con l'imperialismo occidentale, predatore planetario, incarnato dalla flotta tatcheriana...

    Purtroppo, ormai non ora non qui  (ma certo altroquando e altr'ove, una buona volta!...) il sottoscritto si propone di fornire un catalogo quanto più completo possibile dell'assurdo, della condizione di irrimediabile subalternità omologica portata al parossismo di una specularità da <concorrenza mimetica>, a cui questa logica sembra proprio condurre.
    Professarsi <marxisti> prendendosi per marxiani, quando si sia sostituita l' accanita centralità di una critica delle relazioni con una sorta di "gioco della torre" fra <soggetti> (con la conseguenza di un comparatismo ossessivo fra entità statali, di una moralizzazione della geo-politica, e quant'altro va assieme, compresi ideologia "lavorista", erranza fra subalternità a critiche demo-liberali di fascismi, clericalismi e dispotismi locali, e subalternità a critiche all'occorrenza fascistiche, clericali etcetera di modernità, universalismi, modernismi, scientismi ed altre alienazioni societali ), è veramente assegnarsi un ben triste destino...
    Per non parlare del diffondersi di spiegazioni perfettamente paranoiche dei processi sociali (le "teorie del complotto", le non-congetture sofistiche, dunque mai suscettibili di confutazione ; l'adesione a forme di razionalizzazione pubblica di delirî identitaristici, vittimarî, di figure e varianti, variazioni-su-tema della <passione triste> del risentimento : razionalizzazione, innanzitutto, in termini di alienazione giustizierista, concime per il montante populismo penale degli Stati), e al contempo di una riduzione del pensiero a propaganda, in ultima analisi a proprio uso, consumo e autodistruzione mentale... [...]

[...] Siamo nel mezzo di convulsioni immani, che aprono degli squarci in cui non sappiamo se sapremo infilarci, perché non sappiamo se ci saremo dati in tempo la capacità e la potenza di un rilancio della pratica teorica sovversiva, rivoluzionaria. Forse, la forma dell'azione rivoluzionaria oggi è quella di movimenti, "asintotici", in qualche modo oltre le "grandi Rivoluzioni" per così dire 'classiche'. In un certo senso, l'espressione <il fine è nulla, il movimento è tutto>, era sì inaccettabile perché il suo coniatore per movimento intendeva più o meno le cooperative ; però, posta in tutt'altro contesto di senso, essa può ben interpretarer la frase marxiana su ciò che "chiamiamo comunismo", e restituirci il senso di una scommessa sempre riaperta e sempre in corso.
    Certo però che, di fronte a queste sfide enormi, i piccoli legittimismi identitarî suonano davvero derisorî. [...]

    Tornando al nostro "mondo piccolo" : la fine di un laboratorio aperto qual è stato in questi anni "Liberazione  di Piero Sansonetti", è una ragione seppur piccola di disperare un po' più.
    <La rivoluzione - scriveva Otto Ruhle - non è 'affare di Partito'>. Non avrebbe dovuto mai esserlo -affare di Partito e di Stato - quello che abbiamo chiamato <comunismo>. Forse per questo questa parola è stata semanticamente violentata. Al punto che, nell'autismo comunicativo a cui si è arrivati in materia, bisogna procedere ad un'autoriforma terminologica: noi parleremmo di <comun'autonomia>... [...]

Paris, 10 gennaio 2009                                  
Oreste Scalzone

Partager cet article
Repost0
13 décembre 2008 6 13 /12 /décembre /2008 12:34

Partager cet article
Repost0
24 novembre 2008 1 24 /11 /novembre /2008 03:04














































 
“Quando ‘LorSignori’ – quelli che decidono,  accumulano,
comandano, utilizzano, giudicano,
puniscono, escludono, recludono –
parlano di umanità, ne stanno tracciando il perimetro,
ne stanno escludendo qualcuno…”


VOGLIONO CHIUDERE L’AMBULATORIO MEDICO POPOLARE IN  VIA DEI TRANSITI

Vengono addotti motivi di ordine proprietario : affar loro !  Ma c’è anche altro.

Addirittura non si tratta, questa volta, di un luogo di azione culturale, di socialità alternativa, di ricerca-azione militante, la cui funzione sia oggetto delle ordinarie controversie.

È un luogo di cura. Luogo di esercizio di pratiche mediche, volontarie e gratuite.

VOGLIONO TRASFORMARE UOMINI IN BESTIE

Al “sistema” e ai suoi servopadroni, funzionarî di esso, non piace quella cura dei corpi, quel ‘volontario’, quel ‘gratuito’, quel rispetto delle differenze.

Il “sistema” (sistema tecno-economico-politico che non possiamo che definire “capitalistico-statale” ) ha bisogno di una massa umana composta da gente sfruttabile ad arbitrio. Così, si intona il canto delle sirene che attrae migranti, per poi, come nel mito, trasformarli in “porci”. Cioè si opera per trasmutare uomini e donne in “bestie, o macchine da lavoro”, e al contempo li si utilizza come massa di manovra per esercitare un ricatto sul mercato del lavoro, per scatenare guerre fra poveri.

PRIMA LI FANNO VENIRE, POI LI CRIMINALIZZANO
Incessantemente, irresistibilmente, il ‘sistema dei sistemi’ che informa la dinamica della fabbrica-Mondo, della “Cosmomacchina”, proietta sull’immaginario delle genti che vivono nei suoi estremi margini, nelle “periferie”, uno spettacolo che ipnotizza e attira: così moltitudini umane crescenti si mettono in viaggio,  a rischio della vita, verso questo Eldorado, per poi vedersi recludere, ghettizzare, rigettare.

La logica utilitarista impone in tal modo il modello non solo del “libero&bello&felice”, ma anche del Vincente e del Predatore.
Lanciano il loro canto delle sirene e poi criminalizzano chi, per forza d’attrazione, ci casca.
Certo, “in questa follia c’è del senso…”. La ragione è l’accumulo incessante di profitti su tutti i tavoli di tutte le economie. C’è l’utilità delle merci e del denaro, l’utilizzazione dello sfruttamento, l’affermazione del comando, delle relazioni gerarchiche, del possesso, il dominio della vita, dei corpi, delle passioni e delle idee degli altri.

LE MIGRAZIONI SONO DESTINATE A CRESCERE
Ne siano coscienti o meno i politicanti, ovvero questi “mercanti di umanità” che sfruttano nel mercato politico la questione delle migranze, creando con l’ossessione della sicurezza il brodo di cultura per razzismi e abiezioni correlate, gli spostamenti di popolazioni sono un fenomeno non reversibile e crescente.

In un “centro” sempre più ubiquo, disseminato a macchia di leopardo, la sfera della produzione ingoia tutte le forme di attività, d’interazione, di vita,  cresce una immensa moltitudine di proletari che non si riconoscono più come tali.

Ma questa moltitudine di proletari “interni” al sistema non basta:  lo stesso “sistema” secerne anche un’altra massa umana che qualcuno definisce come una “sottoclasse”: quasi un ibrido, una massa di semi-operai/semi schiavi.

Costoro sono appena fuori dalla soglia del cosiddetto consorzio civile, del territorio della sedicente democrazia. In definitiva posti fuori del perimetro dell’umano.

Non sono né riconosciuti come inscritti nell’universo sociale, né definitivamente esclusi da esso. Così è più facile esercitare su questa fascia sociale un dominio incontrollabile.

Si manifesta così, sommandosi alle crisi catastrofiche sempre più frequenti, una doppia forza – di spinta dalla periferia, di attrazione dal centro – che produce e produrrà in misura crescente dislocazioni e migrazioni di intere popolazioni.

E’ NECESSARIA UNA NUOVA COMUNITA’ UMANA
Solo la radicale fuoriuscita dai fondamenti e dalle forme della società attuale, ovvero della civiltà capitalistico-statale, nella direzione della costruzione di una nuova comunità umana, una comunanza fra tutte e tutti i componenti della specie, potrebbe arrestare questo flusso crescente di “fuggiaschi”.

Al contrario, nelle condizioni, nelle forme del divenire sociale mondiale nel drittofilo delle tendenze dominanti, la migranza aumenterà, con progressione ineguale, ma continua.
E allora, a questo punto, abbiamo qualcosa da dire ai “sovrastanti”…

LE VOSTRE PERSECUZIONI SONO INUTILI E CRUDELI

Signori delle ‘cabine di comando’, politicanti, governanti : le vostre politiche di controllo, segregazione, espulsione, sono solo una specie di preventiva e inutile rappresaglia, una crudeltà senza senso.

I poliziotti, i soldati, i vigili-sceriffi, le ronde, perfino il terrore, non fermeranno nessuno. Perché le genti arrivano, spinte dal bisogno e richiamate dalle Sirene, attirate dal loro canto.

Tutti i marchingegni repressivi – burocratico-amministrativi, polizieschi, ‘culturali’, sociali in genere – sono come uno scoglio che volesse arginare il mare…

Certo i singoli immigrati sono deboli, spesso inermi, “vittimizzabili”.

Ma la migranza, l’insieme dei movimenti migratorî, è infinitamente più forte di tutte le ridicole barriere e trappole poliziesche, di tutti i Maroni e LaRussa e chi ci si provi…

Ecco la fragile forza, ecco la fragile potenza dei migranti: la loro disperata vitalità, la loro volontà di persistere nel proprio essere, è più forte…

Dunque, tutti i dispositivi ‘di contrasto’ sono, “più ancora che un crimine, un errore”.

Tutto l’armamentario messo in campo – dai CPT agli accordi con l’uno o l’altro despota per bloccare il flusso delle migrazioni, fino allo scatenamento di un “razzismo sicuritario/punitivo” – sono delle crudeltà inutili, perché – al di là di ogni condanna morale – incapaci di attingere il fine che avevano sbandierato.

ATTENTI: CHI SEMINA VENTO RACCOGLIE TEMPESTA
Il tentativo di sgomberare l’Ambulatorio Medico Popolare è esemplare.

Alle pubbliche autorità diciamo:  quando si vuole stravincere, spesso si fa il passo falso decisivo, chi semina vento raccoglie tempesta.

Volete attaccare la nuda vita di uomini, donne, bambini che in quel luogo hanno una piccola zattera di salvataggio.

Adesso volete inseguirli fin lì, asfissiarli un po’ più, togliergli anche questo.
Ebbene, non avrete una vittoria‘a buon mercato’.

Non foss’altro che per ‘evidente povertà dei mezzi’, non disponiamo che dei nostri corpi,  delle nostre mani nude. Ma con esse, se ci provate, dimostreremo che il Re è nudo, che la vostra legalità, la vostra Legge,  la vostra Giustizia ha gli occhi pieni di vermi, che è criminale e criminogena.

Se agirete con la forza vi costringeremo a sfoderare tutta l’abiezione di cui potete esser capaci. Se vincerete “militarmente”, sarà una vittoria di Pirro.

E non è detto che questo non chiami anche la forza che un giorno potrebbe abbattersi sul vostro capo come un maglio. Ma sarebbe un discorso ancora inadeguato.

Ciò che è infinitamente stupido da parte vostra, è chiuder gli occhi di fronte a ben altro che noi. E’ voler tirar profitto per l’oggi da politiche, che sono forme di inutile crudeltà.

Così facendo un gigantesco movimento di moltitudini umane, comunque ineluttabile, si caricherà di un immenso risentimento.

A questo state consegnando, destinando, i vostri figli, e i figli dei figli.
Questo è il punto estremo del vostro accecamento.

CONSORTERIA ATTACCHINI INDIPENDENTI

Partager cet article
Repost0
14 novembre 2008 5 14 /11 /novembre /2008 10:04
l' E-mail del lunedì, prima puntata - n° 0.1 (in anticipo)
Paris 10 novembre 2008

'Pulci nell'orecchio'
Qualche riflessione su alcuni nodi del movimento in corso, e in particolare sulla questione Onda anomala e fascisterìa, e su comeaffrontarla

'Chiamiamo movimento...'

"Sapienti" in niente (pluralis...d'imbarazzo), ci occupiamopiùcchealtro di movimenti. Di quelle confluenze, o per meglio direcoalescenze, che si determinano quando avviene il riconoscersi digenti - quantità di persone singolari, ciascuna con la propria nascitae morte, tracciati, territorî esistenziali, dolori, affanni,necessità, passioni, testa - in un denominatore comune, in unacomunanza che non ne annulla, come accade nell'effetto di branco del"cameratismo", la singolarità, ma le dà uno spazio di respirazione. Movimenti moltitudinarî, moltitudini umane, di classe e a volte dilingua, di genere; movimenti di chi sente la propria potenza di vita,la forza di forme d'esistenza, di bisogni, di ciò che si chiama (eaccantoniamo la controversia) passioni o desiderî, e al contempo senteil corsetto, il 'letto di Procuste' dell'organizzazione sociale, delleNorme, delle logiche materiali - a cominciare dall'economia - controquesta possibilità di 'sbocciare' ed espandersi. Movimenti di lotta, dei "chi", di quanti sentono passare il propriotempo di vita, la propria esistenza come utilizzata, amministrata,decisa, comandata e stroppiata da altrui; e soprattutto da anonime ecogenti forze (nel senso che la parola ha in fisica), da implacabililogiche e ragioni, che come dispositivo di produzione di infelicitàd'ogni tipo si aggiungono al male di vivere costitutivo, ai dubbi eassilli e sospetti di nonsenso connessi con la cognizione dellamortalità, e avvelenano ogni scorcio di vita, già impossibilitato ascacciare come un cattivo pensiero l' idea di essere comunque acredito, provvisorio come la luce della fiamma di una candela - sola,'prima e ultima'.

Movimento, è quando si aggregano larghi insiemi di soggetti di questaspecie "anomala" - sapentesi - definita <specializzata nella parola> epercio', essendosi affrancata dalla regolazione dell'istinto di suaconservazione e sportasi fuori dell'essere, nel tempo, nel conoscersi,nel percepire l'alterità ; è quando gruppi che riconoscono bisogni,passioni e sogni, comuni, si mettono in moto contro l'inerzia dellostato di cose e esistente e delle dinamiche che scaturiscono da unacontinuità dei suoi principî attivi.       Movimenti, che noi abbiamo colto soprattutto nel loro denominatoresociale, cosiddetto <di classe>. Se questo non è esaustivo di tutti imovimenti possibili, il pensare di andar cercando tutto il restofuorché questo, è senz'altro senza lume.       E in effetti, i momenti di grande crisi sono anche momenti dellaverità che a quel punto di vista riconducono: non perché ci sia unagerarchia che renda più "reale" o "importante" quel rapporto e quellacontraddizione rispetto, che so, a quella 'di genere', o di altriinsiemi definiti da discrimini particolari ; oppure rispetto a quellache incombe su tutti e ciascuno - catastrofi del mondo, diciamo,"psicofisico" - sul piano delle diverse ecologie.È piuttosto che il contrasto, l'ostilità, la contrapposizione dilogiche rispetto a funzioni e caratteri sociali permette un approccioimmediatamente attivo, senza differimenti e tra[n]sferimenti nel tempoe nello spazio. 'All'osso', proletariato sovversivo è questo...

"Ci dicono dalla regìa..." : il pensiero bifido

Incessantemente ci dicono dalla regia, 'al dritto' che questo èl'unico mondo pensabile, e che proseguendo nella sua autodinamicaandrà ad essere 'il migliore dei mondi possibile' ; e 'al rovescio',con un sistematico contrappunto, che questo mondo corre allacatastrofe.       Non sono più 'voci dal sottosuolo', di risentiti, iper-critici,millenaristi apocalittici...; piuttosto - appunto - voci dall'alto, dai"piani alti", a cominciare dalla pletora di organismi onusiani, cheprofetizzano ecocatastrofi (e catastrofe demo-sociale) incombenti.       Al limite, poco importa qui il se, o l' in che misura, tutto ciò siamaterialmente concreto, o se, e in qual misura, possa esserci - per lepiù svariate sinergie di moventi, ragioni e sragioni - suggestione,estrapolazione al limite che non tiene conto dei dispositiviautocorrettivi, di feed-back: nell'uno, come nell'altro caso (e intutte le possibili comunicazioni e sfumature) anche "semplicemente"questo messaggio - con tutti, poi, quelli correlati - provoca nelleteste  la vertigine d'angoscia del "No future".       Non solo : l'effetto di "ossimoro prescrittivo, normativo, coatto"dei messaggi ingiuntivi bifidi, autocontraddittorî a getto continuo,di cui parlavamo ; il divenire - il fatto che il Discorso divenga unmartellante double bind, ingiunzione sistematicamente contraddittoria; l'inflazione esponenziale continua di informazioni, e contro-, emeta- ; il moltiplicarsi di incertezza di vero, falso, simulato ; lapermutabilità di ogni asserto nel comune sospetto di inautenticità ;la 'Babele di ritorno' di egotismi egolatrici, di particolarismiciascuno volentesi assoluto, di conati eguali e contrarî di Totalità[...] tutto questo non può che scatenare uno sfacelo catastrofico piùveloce e - per la specie - decisivo : quello (nella fiera della Doxa edello Spettacolo che prende il sopravvento sull'appercezione di unreale) del senso - una crisi della semiosfera e della logosfera :crisi catastrofica del 'mentale'. Psico-, e dunque eto-,antropo-catastrofe... [...].       Si tratta a nostro modesto avviso - avviso offerto a contraddittorio,a confutazione a contestazione -, di cominciare (non cadendo nellatrappola dei "due tempi", o di una distinzione di "piani", per esempiotra azione e riflessione, tra azione e riflessività critica, tendenteall'auto-modificazione) a vedere in che misura il logos dei movimentisia perfettamente dentro questa deriva e vertigine : variamenteomologico, e - nelle sue componenti soggettivamente, intenzionalmentepiù radicalizzate (che ci stanno particolarmente a cuore perchéesistenzialmente, sentimentalmente, nella quotidianità di tutta lanostra vita, sono le nostre) - condannato a nutrire di continuo questaomologia per l'effetto di coazione alla mimesi che la ritorsionecomporta - così cadendo in quella che René Girard definisce<concorrenza mimetica>, tra "eguali e contrarî", speculari,epperciòstesso dannati al circolo vizioso : "quanto più identitàidentiche, tanto più 'all'ultimo sangue', con un bisogno reciproco diannichilirsi, come due nazionalisti l'uno in faccia all'altro, urlantiall'unisono nelle rispettive lingue il medesimo grido patriottico...

Movimento della critica sovversiva radicale,o catastrofi

Dato il  sovraccumulo di crisi catastrofiche in corso e annunciate,occorrerebbe che fosse già avvenuta una mutazione irreparabiledell'umano perché non si sviluppasse rivolta, perché tutto continuassein una sostanziale acquiescenza rotta da pochi punti di resistenza eda ancor meno di controffensive e offensive. Occorrerebbe che fossegià passata una domesticazione robotizzante, capace di aver inoculatoil virus decisivo di acquiescenza, che poi si fa connivenza, e infine<servitù volontaria>.       Innanzitutto per ipotesi, non lo crediamo. Non lo crediamo, malgradol'effetto d'ipnosi che - a livello di 'grandi numeri' - può spingere,e vediamo spingere, a danzare come sul ponte del Titanic, tradisperazione rassegnata, conseguente forma angosciata di 'carpe diem',e (ben più diffusa) incredulità che la tragedia si compia davvero, chetocchi noi, noialtri, o comunque anche noi ; e ancora, dannata ideache, in fondo, "trover...anno, risolver...anno" (chi? in qualche modoLoro, i gestori del <sistema>, e in ogni caso una razionalità'sistemica'...).       Ma - e pensiamo che questa non sia la proiezione di un desiderio, nonsia previsione "wishful thinking" (in ogni caso, poi, c'è sempre unpo' da contare sull'effetto di "profezia autorealizzantesi"..., ocomunque costituente un elemento attivo) - nonostante tutto questo, larivolta si riprodurrà, già comincia e ricomincia.Qualche appunto, più che sommario,sul "teatro-Italia"       Ora, scendendo ad uno scenario 'meso-locale', al teatro-Italia :possiamo definire, adesso sì, dopo tanti "Al lupo!"  che hannoinflazionato l'allarme [*Cfr. seguiti], possiamo definire lamaggioranza di governo e il Governo come "liberalfascisti". Questa èuna definizione inevitabilmente approssimata, se si vuole provvisoria,(ripeschiamo, ridefinendolo, questo vecchio termine, diciamo da PaeseSera: non si deve aver paura del gioco stolido degli appiattimentianalogici, e si ha da cercare armi, in questo caso attrezziterminologici, dappertutto... Ci viene in mente - un 'ripescaggio' tiral'altro, come le ciliegie - il termine coevo <clerico-fascismo> : maquesto elemento e aspetto ci pare, francamente, anche se presente,decisamente secondario rispetto al primo).       Ora, il nostro problema è quello di non lasciarci ipnotizzare dallafenomenologia, il più spesso "orrifica", di questa cultura e delledecisioni a cui dà luogo, e finisce ad operare una continuasineddoche, che ha carattere di diversione. Si tratta di vedere comequest'azione si inscriva in tendenze ben più generali, che - anchesolo per tenerci all'Europa - hanno marciato da qualche anno a questaparte come tendenze 'pesanti'.

La questione : fascisterie e "onda anomala"

Qui, ora, però, in queste note "a braccio" e "a caldo", vogliamosoffermarci su un punto drammatizzato dalla recentissima attualità :la questione  fascisti e "onda anomala".
Nella prossima puntata di questa lettera del lunedì che comincerà aduscire sul Black-Blog, vogliamo sviluppare un ragionamento, che quidiamo 'per punti'.•       C'è, da parte dell' antifascismo in corso (anche di quello<militante> e <antagonista>) il rischio, questa volta, di unasottovalutazione della pericolosità di questa 'poussée' di"fascisterìa".       Altroquando, noi di Potere Operaio & séguiti - venendo a volte, da'addetti ai lavori', tacciati di una sorta di "neo-bordighismo" [*] inmateria - avevamo visto nell'antifascismo, nella sua superfetazioneideologica (così come nell'anti-golpismo) una sopravvalutazione delpeso, dell'importanza dell' elemento fascistico in un territorio'socio-culturale' come quello del caso-Italia. E avevamo messo inguardia dal rischio connesso di far derivare da questasopravvalutazione una conseguenza "frontista" e subalterna, nel sensodi reagire un po' come il toro difronte alla muleta... [...].       Oggi il quadro è diverso. Nel clima - comunque mentale - dicatastrofi in corso, incombenti e imminenti, la rivolta dovrebbe averedentro almeno una 'spina', un focolaio di motivazioni, di formed'esistenza e di pratica, di critica radicale adeguate (Rispetto allavexata quæstio di teoria&prassi, l'importante, intanto, è guardarsi dauna "teoria" definentesi come assenza/incapacità di prassi, e da una"pratica" definibile come scevra di teoria...).       Noi continuiamo a pensare che il punto di vista teorico adeguato,intanto, è esattamente quel "bambino" che è stato gettato con l'acquasporca (...neanche la sua, ma quella di una mostruosa contraffazione,che è stata la contradictio in adjecto ¬-"lassalliana" [*], trasmessada Kautskij sub specie di <Marxismo>, Canone e Vulgata ¬- di un"comunismo di Stato" : economico, 'lavorista', statale, ideologico,'penale'). Il "bambino" è ¬- per dirla in breve ¬- la critica teorico-pratica radicale, marxiana del capitale, anarchica dello Stato: puntidi vista critici che, pur tumultuosamente, si articolavano, tra il1848 e il '71, nell'Association Internationale des Travailleurs, lacosiddetta "Prima Internazionale".

A partire da questo punto di vista, dalle esperienze organizzative incui si è svolto (l'A.I.T., la Comune di Parigi), è oggi possibileaprire una 'scommessa' nel senso di un concatenamento di movimentiradicali, portatori della prospettiva di comun'autonomizzazione, comemessa in opera di un principio risolutamente diverso da tutti quelliche hanno avuto il sopravvento nel corso della cosiddetta Storia ,come storia di una continua guerra "dall'alto in basso" tendente aconfiscare, anzi ad inibire, un principio attivo di comunanza edautonomia, insito nell'elemento primordiale di una potenza-di-vita,nel senso spinoziano della persistenza nel proprio essere.       Se questo, questa traccia, non riesce a vivere "nel flusso deimovimenti" (e non in chiuse torri d'avorio di custodia di unaradicalità d'élite), la rivolta sociale contro questa forma italianache abbiamo, con approssimazione, definito "liberalfascista" digoverno dello "Stato penale"[cf*], potrebbe, derisoriamente finire adessere, se non egemonizzato, largamente innervato da correnti di"fascismo populistico-sociale".       Questo è pericolo ben più grave, e merita riflessione e scontro, chenon l'idea - minata dallo sprezzo che, inevitabilmente sottovalutandouna forza che è nemica, finisce per sviare l'azione - di una specie di"uscita dalle fogne di figuri 'di manovalanza' "...       Quest'idea che comunque si tratti, o di "sottosiluppati mentali", odi "loschi figuri" che coscientemente si infiltrano per provocare, èuna favoletta idiota. Intanto sottovaluta quello che oggi torna adessere un <Nemico>, e  proprio perché non è (o comunque, certo, nontutti e non solo, non quelli meno spregevoli e - anche per questo -più pericolosi) la "bassa forza" di "utili idioti", provocatori,briseurs de grève  [la funzione crumira di rompere i picchetti]. Lacosa, per il nostro punto di vista, grave è che si è in presenza diuna cultura strutturata, di un'ideologia con tutte le sue fonti, che èideologia gerarchica, con risvolti "razzialisti", con un 'basamento'di antimodernismo antiglobalismo anti- "Droits-de-l'Hommisme"anti-universalismodemocrato-cittadinista,/anti-modernizzazionismo/tecnoscientismo che,tra l'altro, rischia di sovrapporsi per interi 'pezzi' a tematiche epassioni "di Compagnerìa" (il che, in sé, non deve turbare : nelpieno, di discorso, fino all'effetto-Babele e overload, sono infinitii casi di possibili sovrapposizioni di segmenti e 'pieghe' e termini :chi lo utilizza in modo terroristico si scava la fossa, perché unsimile metodo e simili "rivelazioni" sono ritorcibili tra tutti etutti, all'infinito...).

Piuttosto, è bene esser coscienti che, non solo dei discorsi che siappuntano alla parte per il tutto (fino a borghesia o proprietàprivata o mercato o finanza o imperialismo in luogo di capitalismo;oppure di governo per Stato, e così via) ; ma anche un discorsoanti-capitalistico, possono essere fatti da tanti punti di vista :esiste un anticapitalismo di tipo tradizionalista, uno di tipospiritualista e religioso): la prima 'mossa' antifascista sarebbeevitare di brandire proposizioni che hanno radici, nel modo di porle,in presupposti e conseguenze, che spesso sono "non a caso" coincidenticon spezzoni di discorso fascistico. Il misto di essenzialismo, disospetto dietrologico, di risentimento moralista che circola - non giàinconfessato, ma, in settori di compagnerìa, veramente insospettato -in tanta pubblicistica piena di buonintenzioni e che si consideraradicale e antagonista a proposito di "amerikani & sionisti", rischiadi essere oggettivamente subalterno a certe tematiche che nei fascisti sono perfettamente coscienti. Senza una chiarificazione nettissima suquesti punti, anche le più 'gridate' rivendicazioni identitarie,nonché lo scontro anche fisico, rischiano di non essere adeguate allagravità della questa questione.Ma c'è una questione essenziale, che ci sembra dirimente. Alcuni deigruppi di cui stiamo parlando (intendiamo quelli « puri », integristi,non mischiati con le anticamere e le periferie del settore che abbiamodefinito pittosto « liberal-fascista », o « fascistoide », dellasocietà politica e in particolare del ceto di governo), noicontinuiamo un po' impropriamente - a rischio di sciattezza - achiamarli « fascisti », quando sostrato culturale, riferimentidottrinali, mitologia e mistica fanno piuttosto riferimento alnazionalsocialismo. (Chi, tra i compagni, cominciasse ad agitarsisulla sedia perché ritiene questa distinzione tabù, dato che la usanoanche in tutt'altri contesti, e per tutt'altri fini, anche quelli chevogliono addossare tutto il demoniaco da crepuscolo degli dei alnazismo e recuperare un fascismo casereccio, flessibile, da "italianobrava gente ", conviene che si metta tranquillo. Se infatti nonpotessimo usare parole o concetti, che per singole parti, siano menoanaloghi fossanche a quelli dei nostri peggiori nemici, lasceremmo aquesti ultimi il monopolio del vocabolario e finiremmo all'afasia).Queste correnti di fascismo - per esempio evoliano - di ascendenza edi sguardo rivolto piuttosto al nazismo, hanno dei precedenti precisi: nel libro « I redenti », di Mirella Serri, si documenta come unaserie di esponenti della dissidenza fascistica, di un certo frondismosviluppatosi all'inizio degli  anni 40, e poi dopo la liberazionetransistati nell'antifascismo facessero riferimento ad un approccio"nazistico".Nel fascismo c'è un elemento di ordinario razzismo coloniale europeo,in  questo caso da parvenus del colonialismo, tra mitologiapaternalistica da « faccetta nera » e realtà della guerra di sterminiocondotta in Abissinia, e delle leggi contro il meticciato.L'antisemitismo, irriso da Mussolini nelle conversazioni con VonLudwig, compare per adeguamento servile, per real politik, con leleggi razziali del '38: È vero altresì che l'iconografia memorialedella guerra e della repubblica di Salò è influenzata da unaprevalenza del riferimento al nazismo.Ora, il nazismo ha avuto un intreccio di moventi e di esiti. Tra imoventi, il parossistico vittimismo, con cortège di risentimento,rancori e deliri paranoici di vario genere ; nonché la mortale esanguinosa competitività concorrenziale col bolscevismo.Ma il "cuore del cuore", il collante passionale, il nocciolo intimoultimo, il "cuore di tenebra" dell'antropologia nazista, leggibile giànel "Mein Kampf" e già lungo Weimar, in particolare in tutta la storiadelle SA di Rohm, leggibile negli slogan ossessivi, nel crescendodelle pratiche, questo cuore è l'antisemitismo, e specificamente lagiudeofobia.

Quest'ultima copre territorî esistenziali più ampi chel'antisemitismo "sociobiologico", forma classicamente razzista. C'èinfatti la presenza di una paranoia del complotto, l'attribuzione diuna cospirazione per dominare il mondo, che appartiene alle ossessionidietrologiche, non necessariamente razziali stricto sensu. Il grido"morte agli ebrei!" martella le strade delle città tedesche e diventafragore ossessivo nel crepuscolo di Weimar, nel '32 -'33. Come si vedecon tutta evidenza, già ben prima della "soluzione finale" e di tuttoquanto è evocato dalla parola Auschwitz, questo è punto assolutamentequalificante: non già accessorio rispetto al nazionalismo revanchista,all'anticomunismo, alla lotta contro le demoplutocrazie occidentali,alla conquista dei grandi spazi, a quello che viene chiamatototalitarismo autoritario, come altri ingredienti dello "specificonazista".Questi settori, che si pongono diciamo come "fascisti puri,rivoluzionari, sociali, antimperialisti, antiglobalisti,antisocietali", su questo punto rompono in modo violento con settorimagari di loro ex camerati, divenuti governativi, "imborghesiti",liberalfascisti. È sintomatico che l'insulto estremo dedicato al"traditore Alemanno" sia "sionista!" (che sembra il corrispettivodegli anatemi di Vishinskij su rettili, topi lubrichihitlero-trotzisti"....).Ma riprendiamo il ragionamento che riguarda noialtri. Se ¬¬- per unamalintesa traduzione di ragioni "sacrosante", come l'anticolonialismoa fronte delle politiche dello Stato d'Israele, come la critica delsionismo (legittima a patto di non estrapolare lo stesso dal mazzo deinazionalismi statali come se fosse una assoluta eccezione); se - peril sovraccumularsi su questo di cascami sottoculturali, pescati adestra e a manca - si finisce ad esprimere in modo appena velato unapregiudiziale antiebraica che sembra tradurre tutto l'armamentariobuio dell'identificazione dell'Ebreo coll'usuraio, il finanziere, colmembro di una criptocrazia, è evidente che per quanto ci si agiti, adonta del più scatenato antifascismo delle parole e delle mani si staoggettivamente "sotto la loro cappella". Si sta sotto, perché loroconoscono e rivendicano fonti precise del loro discorso, mentresettori interi di generosa e sprovveduta compagneria radicalizzatanell'antimperialismo è ignara dei contesti epistemici e storici, delleradici e della portata di spezzoni di discorso che veicola.Questo nodo non si può non affrontarlo perché "scomodo". Esso è unacartina di tornasole estremamente rivelatrice. Né sarà il sangueversato, altrui o proprio, a poterci salvare da questo punto cieco.

Sbagliano quelli che pensano ¬- che so - che Lucio Dalla siadiventato "di destra" perché dice che è un errore pensare che ifascisti siano necessariamente "incolti" (sarebbe come pensare chedevono esser brutti...), e che non si devono dimenticare i Céline, iPound (e bisognerebbe aggiungere, Heidegger, Karl Schmitt, JulienFreund, Evola...). Osserverei che; primo, è errore gravissimo confondereil concetto di nemico, e l'inimicizia anche come passione, con unaspecie di "razzismo morale" che è grave di per sé, perché ci rendeersatz speculari a chi concepisce l'orrido concetto di<unter-Menschen> ; secondo, sottovalutare il nemico caricaturandolo, èveramente disperante, tragico per noi!Le cose sono ben più gravi. Almeno alcune di queste fascisterie, sipensano, si vedono, si concepiscono come "rivoluzionarî". Anzi, comequelli veri, i più rivoluzionarî, rivoluzionarissimi... Altro che "bassamanovalanza"... Si pensi - in tempi di grandi cataclismi sociali - allagenesi del nazismo dentro Weimar, a cominciare dal terreno preparatoda quella feroce controrivoluzione antispartachista giocata dagliEbert e dai Noske, socialdemocratici derivati dal socialismonazionale, 'statale', etico ed etnico erede del lassalliano programmadi Gotha.Sul piano "antropologico-culturale", il terreno fu preparato da queiFrëie Korps che per conto della socialdemocrazia schiacciarono nelsangue gli spartachisti, assassinarono Rosa e Karl, e che sono statidavvero come delle SA ante litteram.In Italia, come figura "noskiana" abbiamo avuto tanta e decisiva partedella 'cosa'-Pci, dintorni e seguiti. E dunque, senza voler "tirareper i capelli" alcuna analogia, ecco un'altra tessera di questa'stretta' terribile in cui ci muoviamo.Solo una grandissima capacità d'indipendenza, di autonomia, puòconsentire un carattere potente, "positivo", ai movimenti: la cuicorrente è ostacolata da soggetti agenti svariati, dal"liberal-fascismo" a un ammasso di niente veltroniano, che ibrida inun'autoproposizione autoreferenziale ideologismi e pratiche impregnatedi tanti elementi del "peggio", e le gestisce nel modo più integratoalle logiche del dominio; fino a populismi diversi, da quellolegalitarista/colpevolista/penale a quello 'classicamente' diascendenza ideologica nazifascista.


Non è certo chiudendo il cerchio di una contrapposizione che finiscea restringersi, con una intensiva territorializzazione, ad una baseidentitaria, che si può contrastare quel tentativo di spezzonifascistici di prendere il sopravvento...       Lo scontro fisico diventa perduto in anticipo, se manca il nocciolovivente profondo di un 'fare comunismo' (che poi, dato il veleno dicontraffazioni che hanno finito per uccidere la parola - accade!- ,dovremmo ridefinire piuttosto "comun'autonomizzazione"): qualcosa chenon è da inventare, ma che è presente, come istanza, nelle pieghedell'esistenza umana, presente da sempre, e da render dispiegata eaffermatesi nell'autodeterminazione dei destini delle genti...       Antifascismi, antimperialismi ed altri anti- e contro-, separati daquesto nocciolo di potenza e critica vivente, possono essere branditidalle più diverse prospettive : noidobbiamo innanzitutto non restare subalterni all'una o all'altra.

Ora, ci sembra di dover osservare che l'antifascismo in corso, l'antifascismo esistente è fondamentalmente inadeguato, anche solo aquelle che sono le necessità di scontro con un'iniziativa fascistaemergente.       Un esempio, coi limiti che sempre hanno le analogie. Marx vede l'odiodi classe - odio, non solo per il padrone, ma, prim'ancora, contro unrapporto sociale, contro le relazioni che comporta, contro lasottomissione, il ruolo e la condizione della propria parte - comepunto di partenza (se si vuole, nel senso nietschiano del rapporto fraodio e conoscenza. Così come la rivolta, la stessa ribellione, è'materiale di base' per una "ragione sovversiva", rivoluzionaria.       Ora, questo odio non lo trasforma in lamentela, e/o in bercio, inmaledizione contro una sorta di maleficio, contro una "maleficità'personale' ", per essenza e/o per colpa : comincia con l'applicarsi -con l'occhio alle lotte, ai movimenti, "....che valgono una mezzadozzina di programmi" -  alla critica dell'economia politica !       La critica dell'economia politica ha come oggetto le dinamichedell'utilità. Quando si passa a parlare di soggetti umani costitutividi tendenze, logiche, movimenti storici, ecco, è altrettantonecessario affiancare questa critica con una "critica dell'economiapolitica dei <beneficî secondarî>, libidinali" (la 'licenza' all'usoallargato  del termine <economia>  è stata conquistata a suo tempo da<Critica dell'economia politica del segno>, e dunque è entratanell'uso, non è una stravaganza terminologico-concettuale).

Questo (ce lo dicono in modo pregnante Deleuze e Guattari, in<Capitalismo e schizofrenia> 1 e 2, L'anti-Edipo e Mille piani) ètutt'altro che 'psicologismo', che "psicanalis...etta".Tutto questo, come direbbe Sun-Tse ne l'arte della guerra, è necessitàelementare, per combattere.Nel seguito di questo testo, vorrei inserire alcune citazioni diSebastian Haffner, <Storia di un tedesco>, per osservare le mutazioniper "spostamenti progressivi" che hanno permesso, come dice Haffnercon altre parole, all'abietto nazionalismo tedesco di divorare l'"anima" dell' Homo allemanicus, come un microrganismo divora unaconchiglia...


Si tratterà probabilmente di battersi, anche fisicamente, con un<nemico> in senso proprio. Occultarsene la vista, per procedere con"demonizzazioni" o "bestializzazioni", tutte impertinenti per lacritica e inutilizzabili per la battaglia (che si fa contro <nemici>,non contro "Mostri e démoni" ) è errore imperdonabile.       L'altro argomento che svilupperemo è quello che vede non solo imovimenti generali, ma anche noi, noialtri, completamente "disarmati"ed esposti -peggio che a sconfitta - ad egemonizzazione e obiettivasussunzione , se non [ri]prendiamo in mano un'arma, un arsenaleteorico innanzitutto, di tipo indipendente e radicale.<Antifascismo>, <antimperialismo>, non sono autodefinizionisufficienti : sconnessi da un fondamento che chiameremmo comunista (epoiché il nome è stato semanticamente violentato e contraffatto,chiamiamo "comun'autonomo", o se si vuole "comunardo"), essi possonodiventare, oltreché impotenti, subalterni.D'altronde - riscontro empirico - esistono ant'imperialismi fascisti eantifascismi ant'imperialisti [*].Le cose, insomma, rischiano di essere ben più vaste, profonde,terribili - ma anche entusiasmanti.

Chiudiamo qui per ora, appuntamento al prossimo lunedì                            

Oreste Scalzone
Partager cet article
Repost0
11 novembre 2008 2 11 /11 /novembre /2008 18:46
Non si dovrebbe mai dar corso all'ansia come di afferrare una tempestività che insegua - inafferrabile inattingibile come l'ubiquità - la contemporaneità, l'essere (o quasi) "in tempo reale" : ne deriva una precipitazione irta di rischi.

I testi non riletti sono, più che una mina vagante, un intero campo minato: occasione di cardiopalmi, e crepacuori... Le "bruttecopie" però, presentano altri inconvenienti : le versioni in progress, andrebbero gettate, senza cedere a riflessi maniacali d'archivismo, nel timore di trovarsi nella deperdizione di "tutto"... Se non lo si fa, degli scambî catastrofici per la comunicazione, sono sempre in agguato.

Il testo pulci nell'orecchio che - col concorso maligno del computer sbagliandomi di versione nella serie delle stesse, successive, via via corrette e ricorrette, sempre 'di corsa' - era un cimitero di errori: anacoluti, omissione o eccesso di segni di punteggiatura (e, come diceva qualcuno che ora non ricordiamo "la virgola è il senso"), refusi (alcuni di questi, particolarmente comici - valga per tutti "semisfera" invece che semiosfera - sono, per sovrammercato, effetto della diavoleria della correzione automatica: quella che per più di un anno ha fatto sì che ogni volta che si scriveva il nome Petrella, inesorabilmente e proditoriamente veniva trasformato in "putrella").
Questa lettera del lunedì la rimettiamo dunque in linea domani (cosicché tutto rientra nell'ordine, essa uscirà con due giorni di ritardo). Preghiamo eventuali lettori e lettrici, senz'altro rimasti perplessi, di voler rileggere: anche perché abbiamo approfittato dell'occasione per aggiungere un punto sul nodo dirimente di antisemitismo, e giudeofobia.
*   *   *   *   *
Gli stimoli a scrivere si moltiplicano, sempre più spesso anche per motivi assai tristi : per oggi mettiamo intanto in linea un ricordo di un'amica e compagna appena scomparsa, Carla Casalini, "ragazza Carla". 

Carla's song un sorriso per Carla (Casalini)

L'una a Terni accanto a genitori vecchî e malati ; l'altro 'artigliato', 'al chiodo' a Parigi, preso dentro i postumi della battaglia per salvare Marina dalla crudeltà di una « macchina del tempo » che avrebbe voluto come cancellare  vent'anni di vita e riportarla alla casella di partenza, lontana quasi – per darne una misura – il tempo della durata del regime mussoliniano, o quello intercorso tra il 25 aprile del '45 e quello del '68 (pòstumi, in cui ci si confronta con l'emergere di un populismo penale come forma di Governo, con «  la Politica » che produce passioni che, cosa assai rivelatrice, scoppiano in ritardo e vanno 'in crescendo' -- contro ogni esperienza umana sui tempi dell'oblìo, o di una memoria rivisitata elaborando i lutti) – Lucia ed io veniamo a sapere della morte di Carla solo oggi.  Lo leggo sul numero del manifesto arrivato al solito in gruppo con altri con qualche giorno di ritardo, e la prima reazione è, come spesso in questi casi, lo sbigottimento, il « no !, non può essere… ».

Nel caso di Carla, il de mortuis nisi bene  non costa alcuna fatica, sgorga 'di sorgente'. Bisogna dire, che il buco esistenziale è nostro, anche di chi la vedeva una volta ogni qualche anno, e significativamente per caso  (e dirò quali, e la dicono lunga…).  Si sapeva che Carla c'era, ed è sempre questo che conta. Così come il fatto che, in casi così, è su noi, è di noi che piangiamo, chè ci sentiamo, e siamo, un po' più soli :  lei, Carla, quali che siano le ipotesi che si fanno sul cosiddetto « al di là », in tutti i casi di figura piangere…no, 'su questo non ci piove'.

L'avevamo conosciuta a Milano, epicentro-Alfa, sere di discussioni accanite fumose affollate nel bar del flipper di Umberto eco, bar-Oreste di piazzaMirabello. Conosciuta all'epoca del fidanzamento, un po' reciprocamente furbesco un po' interessante (come la vita nella maledizione hjddish che la augura tale), fra Potere Operaio e il gruppo il manifesto : fidanzamento celebrato in tendoni di circhi, con grandi speranze accese da Comitati politici  operai, e poi infrantosi, come l'amore per Majakowskij nell'ultimo poema a Lily Brik, sugli scogli della vita, intesi come 'dissapori'  , ad esser eufemistici, a proposito di « Champagne-molotov, per l'insurrezione », per cominciare ; e in particolare d'un grappolo di ''bocce '' poteroperaiste che avevano messo in fuga fino a piazza Colonna cordoni di polizia che avevano osato voler interdire a un corteo del movimento l'entrata in via del Corso…

Con quella sua mascheratura  'vaporosa' ridente e in apparenza spensierata, che prendeva al laccio la 'fessaggine' di chi ci cascava credendola 'svampita', la ragazza-Carla (ho letto col nodo alla gola la poesia di Tommaso Di Francesco : col quale, da Szbrenjca in giù, ho incrociato a sua insaputa armi mentali – chissà se gli sono telepaticamente ''fischiate le orecchie''… --, combattendo tenzoni neanche logomachiche perché restate in testa prim'ancora che 'nel calamo', come sovrappensieri ; e forse, ora, dopo quella canzone prima o poi gli scriverò) -- la ragazza-Carla, dicevo, era animata non solo da un autentico pathos, da un'empatìa con la lotta, per cominciare operaia, ma da una feroce azpplicazione a pensare e ripensare, a capire, capire per farne qualcosa, di questa intelligenza di fatti e cose.

Aggiungo qui ora solo una cosa, che penso dover dire. Dopo non esserci visti per anni, Carla era  ricomparsa, in un passaggio assai drammatico della nostra vita, e – con la solita aria lieve e come niente fosse, ci aveva dato un aiuto non comune  per la nostra fuga, che credevamo allora più « senza fine » di quanto poi la « zattera » francese a quel momento inimmaginabile abbia permesso. Conserviamo, di quel suo aiuto, da qualche parte – del cuore, del cervello…-- un ricordo.

Della sua pratica, di quell'etica di donna, compagna si riparlerà, tornerà spesso in mente ; Lucia soprattutto potrebbe parlare meglio, anche a moi nome.  Carla l'avevo rivista negli ultimi tempi due volte : alla stazione di Nizza dopo le giornate di scontri dell'inizio-dicembre 2000 contro la fortezza-Europa , e alla stazione di Vicenza alla grande manifestazione sul « Dalmolin » del marzo 2007.  Come sempre con quell'entusiasmo ridente e fuggitivo. Appunto : nel tempo di nostra vita mortale.

Parigi, 9 Novembre,                                        Oreste con Lucia

Partager cet article
Repost0
5 novembre 2008 3 05 /11 /novembre /2008 23:30

A caldo, un biglietto, per intanto

(ah, dimenticavo : è a margine dell'elezione di Barack Obama...)


Non siamo  di quelli che pensano che ciò che chiamiamo Storia sia affare di Angeli e Démoni, e che dunque si pongono come spettatori di Grandi Narrazioni leggendarie, piene di sortilegi, maleficî e miracoli, stelle filanti e mostri, Demiurghi  del Bene o del  Male.    Non siamo dunque, e non vogliamo essere, né di quelli che, installati nell'Opinione e guardando lo Spettacolo come tifosi, osannano un Salvatore, Uomo-della-Provvidenza , né di quelli che esibiscono un'eterna smorfia atrabiliare, sfoggiano un ostentato disincanto che finisce per sfociare nel cinismo, e nuotano in una Filosofia della Storia all'incontrario, in cui il fiele del risentimento annega la critica, e una sorta di rancore imbelle che si nutre della voluttà del « tanto peggio » sembra realizzarsi solo nella denuncia del maleficio e dei Colpevoli, oscillando tra querimonie e palinodìe e trasudando dispetto quando il corso delle cose non offre materia per questa forma, che in realtà – nutrita com'è di legittimismo vittimistico come mortifera identificazione ''identitaria'' --  una sorta di « quietismo » al negativo.

Quale che sia la forma che prendono lo stato e il moto del sistema, l'unica intelligenza è l'azione di lotta, l'azione insorgente per il rivoluzionamento delle logiche, dei rapporti sociali, il rovesciamento delle gerarchìe, l'appropriazione umana sociale delle decisioni, dell'esperienza della propria vita, singolarmente in comune.

Ci viene da osservare, da esporre qualcosa  (affinché esaminino queste osservazioni)  a tanti compagni e compagne che hanno perseguito -- anche credendo che il loro <antagonismo> non fosse come quello tra i muscoli omonimi e i piatti della bilancia, ma bensì sovversivo --, quella che per noi è una <sineddoche>, scambiare la parte  per il tutto : vale a dire, che hanno individuato come bersaglio polemico il neoliberalismo o la finanza, l'imperialismo o i fascismi, la corruzione, le forme di colonialismo, i dispotismi più oppressivi, lasciando in ombra (non dico che, « a domanda », non avrebbero risposto che, « beninteso, quello resta il punto di partenza e l'orizzonte », ma, intanto…) una sempre rinnovata critica teorica e pratica dei fondamenti  di quella che si puo' definire 'la storia in corso', 'la civilizzazione attuale', il sistema integrato, mondiale e mentale, capitalistico-statale, nonché ogni sua variante, sotto-sistema o antecedente.

Permetteteci, compagni e compagne accampati su posizioni ''terzomondiste'' e/o  ''etnoculturaliste'', e più in generale ''identitarie'',  di dire, che se la questione centrale fosse quella identitaria, e si trattasse semplicemente di riscossa dei colonizzati, dei ''terzomondizzati'', delle nazionalità conculcate, di questo o quel gruppo umano (come, in altri scenarî, 'di genere'), dovremmo oggi concludere che – su di un piano che manifestamente non potrà restare solo ''simbolico'' – abbiamo 'incassato' la notte scorsa un tale 'strappo', che potremmo anche riposare un po'… 

 In realtà per mettere e rimettere al centro come necessitante un punto di vista di lotta, e di lotta radicale, «  rivoluzionaria ». non abbiamo bisogno di dover dire che tutto è assolutamente equivalente nell'inautenticità, che anzi si va ogni volta nell'ancor peggio (per un motivo e un ordine d'argomentazioni o per quello opposto : per esempio, lamentarsi una volta dell'arroganza sfrontata, un'altra dell'ipocrisia mistificatrice) ; nè sperare in una qualche 'miracolistica…

    La questione si propone in modo sempre più acuto : come uscire dalle forme più diverse di ordine costituito, uscire in particolare dal sistema, dalla dinamica che ha dominato i cinque secoli scorsi detti « della modernità » ; come uscire, decostruendolo, dal sistema capitalistico-statale innanzitutto, passare dalla storia dell'incessante eteronomizzazione e atomizzazione/serializzazione umana, a quella dell'autonomizzazione-comunizzazione. Cioé dell'inveramento della potenza di vita, <potenza di persistere nel proprio essere>, in capacità di autodeterminazione, in comunanza di autonomie. Comun'autonomizzazione. Autonomia comune.

            Paris, 6 novembre 2008                                                                                 OresteScalzone

Partager cet article
Repost0
21 octobre 2008 2 21 /10 /octobre /2008 15:46
ILS SONT 97 DERRIERE LES BARREAUX.  PARMI EUX LES BRIGADISTES ARRETES EN 2003 ET EN 2007. MAIS 26 D'ENTRE EUX SORTENT LA JOURNEE

Années de plomb, la sortie judiciaire

Liberté avec sursis pour les ex terroristes noirs et rouges. Des 6000 entrés en prison, 71 sont détenus à temps plein

Pour la liberté avec sursis concédée à Francesca Mambro, l'ex terroriste noire condamnée plusieurs fois à perpétuité, il y en a qui ont crié au scandale. Pareillement pour la décision française de ne pas extrader la brigadiste rouge Marina Petrella, condamnée à perpétuité elle aussi, réfugiée en France depuis 1993. A propos de Mambro, deux importants députés du Parti démocrate ont même déposé une question au Parlement, pour apprendre du Garde des Sceaux les raisons de la décision prise par le tribunal de surveillance de Rome.

Naturellement, le Garde des Sceaux ne pourra que répéter les motivations des juges. Lesquels, pour  concéder le bénéfice à l'ex terroriste également coupable officiellement du massacre de 1980 à la gare de Bologne (85 morts et 200 blessés, une tuerie dont la condamnée continue à se proclamer  innocente) ont suivi la jurisprudence qui depuis quelque temps a avalisé cette particulière clôture des comptes avec la justice (pas encore définitive, d'ailleurs) pour des dizaines d'ex militants du parti armé, dont quelques brigadistes auteurs de l'enlèvement et du meurtre d'Aldo Moro – Barbara Balzerani, Anna Laura Braghetti, Raffaele Fiore, Bruno Seghetti – et d'autres crimes, ou les adhérents à différents sigles de la galaxie éversive des années Soixante-dix.

Francesca Mambro – qui aura 50 ans en 2009, arrêtée quand elle en avait 23, sortie de prison depuis une décennie pour son "travail à l'extérieur" et sa maternité – n'est que la dernière à être sortie par la porte prévue par l'article 176 du code pénal. Et ce sera une des dernières parce que la plupart des ex terroristes y est déjà passée. Il y a quatre ans ce fût le tour de son mari, Valerio Fioravanti, qui se trouve dans la même situation juridico judiciaire que sa femme, sans trop de clameur. Pour les condamnés à perpétuité la norme prévoit la possibilité de bénéficier du "sursis" après avoir purgé 26 ans de leur peine (qui deviennent 22 avec la "bonne conduite" grâce au rabais prévu par une autre loi) et comme la grande majorité des terroristes a été arrêtée au début des années 1980, depuis le début des années 2000 les tribunaux de surveillance sont en train d'évaluer les instances des condamnés à perpétuité. Le résultat est que les prisonniers dits politiques qui restent en prison sont de moins en moins nombreux.

La comptabilité mise à jour des "détenus appartenant à des mouvements subversifs" offre des chiffres très bas par rapport aux 6 000 environ qui sont passés par les prisons italiennes pendant et après les "années de plomb". Ils sont aujourd'hui moins de cent, très exactement 97, répartis par aire d'appartenance de la manière suivante: 70 de gauche, 21 de droite et 6 définis comme anarchistes. Mais 26 de ces prisonniers sont en "semi-liberté" , c'est-à-dire qu' ils sortent de la prison tous les matins pour travailler dehors et rentrent le soir: 23 de gauche (le dernier en date est Paolo Persichetti, ex militant de l'Union des communistes combattants, le seul à avoir été extradé par la France en 2002) et 3 de droite. Tôt ou  tard, ils devraient eux aussi pouvoir profiter du "sursis".

Et donc, ceux qui ne mettent pas encore le nez hors de leur cellule ne sont que 71. Mais ce chiffre aussi doit être décomposé pour découvrir que tous les détenus à "temps plein" ne sont pas des terroristes encore "en service". En se concentrant, par exemple, sur le groupe plus consistant des militants des Brigades rouges et des sigles qui lui sont proches, les prisonniers qui ne profitent d'aucun bénéfice restent 47. Mais de ce chiffre font partie les néo brigadistes arrêtés après 2003 (dont les responsables des meurtres de D'Antona et Biagi) et les aspirants combattants du Parti communiste politico militaire, arrêtés en 2007. Et donc ceux de la "vieille garde" sont une trentaine, y compris des autonomistes sardes et des ex détenus communs "politisés" en prison, sans plus de velléités. Seule la moitié de cette patrouille continue à lancer des proclamations de guerre contre l'Etat et peut être définie comme "irréductible", tandis que les autres n'ont plus rien à faire avec la lutte armée.

Comme Cristoforo Piancone, un brigadiste rouge arrêté en 1978 après le meurtre d'un gardien de prison, admis à la semi-liberté en 2004 mais surpris il y a un an pendant un hold-up dans une banque: pas un "autofinancement" selon le modèle des temps passés, mais une tentative de gain personnel qui lui a coûté la révocation des bénéfices. Avant lui avaient emprunté le même chemin Giorgio Panizzari (ex des Noyaux armés prolétaires, gracié même par Oscar Luigi Scalfaro en 1998) et un ancien appartenant à l'Union des communistes combattants.

Parmi les femmes il y a Rita Algranati, brigadiste de la "colonne romaine" qui quitta en 1979 les Brigades rouges et l'Italie, se réfugia d'abord au Nicaragua et ensuite en Algérie. Elle ne fût arrêtée qu'en 2004 grâce à une "livraison" concordée entre les Services secrets italiens et les autorités algériennes, qui la fit retrouver du soir au matin en Egypte, où quelques fonctionnaires de police arrivés de Rome l'ont prise et conduite en prison. Depuis, alors que son histoire avec les Brigades rouges s'était achevée depuis un quart de siècle,  elle a commencé à purger les cinq condamnations à perpétuité qui lui ont été infligées.

Du côté du terrorisme noir, parmi les détenus sans bénéfices il y a Pierluigi Concutelli, qui s'est vu révoquer il y a un mois la semi-liberté parce qu'on a trouvé sur lui quelques grammes de haschisch, sûrement pas parce qu'il a recommencé à soutenir les idées "révolutionnaires" et meurtrières de jadis. On comptabilise dans la même catégorie l'ex "repenti" Angelo Izzo, qui a commis pendant ses précédentes permissions  des crimes affreux qui n'avaient rien à voir avec la politique.

Tout compte fait, des milliers de personnes qui sont passées par les prisons pour des délits  de nature politique, quelques dizaines à peine y restent  et seulement en partie avec les mêmes idées qui les y ont amenés. Tous les autres ont obtenu depuis longtemps les bénéfices ou la liberté conditionnelle et le pourcentage de ceux qui ont commis à nouveau des délits (qui ne sont plus de nature politique) pèse très peu. Cela démontre que, comme il y a vingt-cinq ans la magistrature se chargea de la répression du phénomène subversif, grâce aux "repentis" et aux lois spéciales, aujourd'hui on a confié à la même magistrature la tâche de clore cette saison en faisant rentrer dans la société des personnes qui ont tiré  et tué au nom d'une idéologie. Tout est délégué au moment judiciaire, avec des évaluations au cas par cas, à la discrétion de chaque juge (qui suivent des orientations différentes, par exemple entre Milan et Rome, la ville où la plupart des bénéfices a été concédée). Sans aucun acte politique scellant ces évènements.

Par cette "délégation" non déclarée les magistrats se sont chargés de restituer à la collectivité les protagonistes de l'enlèvement et du meurtre de Moro, mais aussi le fondateur du sanguinaire Parti Guérilla Giovanni Senzani – condamné, entre autre, pour l'affreux meurtre de Roberto Peci, frère du repenti Patrizio -, un frère et l'ex mari de Marina Petrella (condamnés à vie eux aussi) et d'autres encore. Habituellement dans l'inattention générale, par des décisions confirmées par la Cassation quand le procureur a fait appel, sans trop de protestations ou de cris au scandale.

Pour la libération conditionnelle, la loi prescrit un "comportement de nature à faire penser que le repentir du condamné est chose sûre". Et, selon les dernières décisions des juges, "la certitude ou au moins la probabilité élevée et qualifiée" de ce repentir ne passe plus seulement par la "révision critique" de son passé violent, mais aussi par la réconciliation (au moins  tentée, à travers des contacts épistolaires) avec les victimes des crimes commis. Un parcours difficile, accidenté et à l'issue très incertaine. Au fond duquel l'Italie a peut-être commencé à entrevoir – sans s'en rendre compte et se livrant aux verdicts aléatoires des juges qui varient selon les tribunaux – la fin du tunnel des "années de plomb".



Giovanni Bianconi
Corriere della Sera du 15 octobre 2008
Traduit de l'italien par Karl & Rosa
Partager cet article
Repost0
2 octobre 2008 4 02 /10 /octobre /2008 12:55
Da Liberazione 2-10-08

Un ex dell'Autonomia scrive all'intellettuale dopo le sue dichiarazioni sull'uccisione di Calabresi. Fu giustizialismo politico

Caro Sofri, non ci sono atti armati che siano moralmente superiori

L'incontro patrocinato dal segretario dell'Onu in occasione del Memory day in favore delle «vittime del terrorismo» ha fatto saltare i nervi ad Adriano Sofri. In nome di una indistinta nozione della figura di vittima si è tenuta nelle scorse settimane una cerimonia attorno alla quale sono state raccolte vicende molto diverse tra loro, distanti e persino opposte nello spazio, nel tempo, financo nella loro fenomenologia, morfologia e eziogenesi, come i morti delle Twin Towers, gli scolari trucidati a Beslan, i morti delle stragi di piazza Fontana o l'uccisione del commissario di polizia Luigi Calabresi, per fare solo alcuni esempi.
Condannato per quest'ultimo episodio, ma da sempre proclamatosi innocente, Sofri non ha sopportato l'accostamento. "Io terrorista, alla stregua dei sequestratori di Beslan? No, non ci sto!". È stato questo il senso della sua indignata reazione per un qualcosa che esplicitamente ferisce il suo onore.

Sofri ha giustamente contestato che un episodio come l'uccisione di Calabresi, arrivato al culmine di una sequenza che vide la morte dell'innocente Giuseppe Pinelli e la montatura contro gli anarchici con l'incriminazione di Pietro Valpreda, possa essere messo sullo stesso piano della strage di piazza Fontana, accorpato addirittura a massacri di bambini e deportazioni a volte vicine al genocidio. Sul Foglio del 13 settembre ha sollevato la pietra dello scandalo affrontando la semantica di una delle parole più stregate al mondo: «terrorismo». Termine tra i più compromessi, multiuso, impiegato essenzialmente per delegittimare, mostrificare, demonizzare l'avversario piuttosto che per definire un particolare uso della violenza. Occasione per questo di un infinito autismo comunicativo. Si potrebbe forse obiettare che non ha molto senso rincorrere sul terreno della stigmatizzazione linguistica chi bombarda o ordina martellamenti d'artiglieria e poi rivendica virtuose illibatezze, senza mancare di dare del terrorista ai ragazzini col cappuccio che lanciano sassi, rompono qualche vetrina o riempiono i muri di tag. Da alcuni anni una direttiva europea considera terrorismo il pirataggio informatico o la semplice occupazione illegale di piazze e edifici pubblici. Di fronte a ciò, è lecito chiedersi se si possa passare la vita lasciandosi ipnotizzare nel tentativo di raddrizzare i torti semantici, di (ri)prendersi la ragione rispetto a un intreccio infinito di mascalzonate statali d'ogni tipo?... Forse a questo punto l'unica cosa possibile è fare un'operazione di radicale Jugitzu semantico, come quella realizzata dai movimenti afro-americani, quando decisero di svuotare l'aggressività coloniale e razzista dello stigma negro appropriandosi essi stessi di quella definizione.

La parola terrorismo nasce sulla base di una autodefinizione del rivoluzionarismo statalista-borghese nel drittofilo del diritto di resistenza e del «diritto-dovere a insorgere con le armi alla mano contro il despota e l'usurpatore». Teorie, come quella del tirannicidio, finemente elaborate dai gesuiti spagnoli del 600, Birenbaum e altri, per argomentare la legittimità dell'attentato contro la persona dell'imperatore, se questi entrava in conflitto con l'autorità papale. Dottrine poi riprese con fedeltà mimetica da quello che potremmo chiamare legittimismo del futuro prossimo venturo, di parte repubblicana; e poi di nuovo, alla rovescia, dal legittimismo tradizionalista anti-repubblicano. Termini, dunque, di doppia matrice, cattolica apostolica romana prima e poi - nella teologia politica, con perfetta spinta alla ritorsione mimetica - giacobina. Tanto che potremmo parlare con pertinenza di concetto  catto-giacobino.

Che una traccia di filiazione con questa matrice ci sia anche nei vendicatori anarchici - dopo Felice Orsini e gli attentatori della «propaganda attraverso il gesto», i Gaetano Bresci, i Giovanni Passannante, i Sante Caserio, non deve stupire più di tanto.  La stessa relazione conduce alle azioni dei populisti, gli amici del popolo, i Narodniki dell'attentato a Stoljpin; o ancora ai nazionalisti - e, se vogliamo distinguere il nazionalismo conculcato e irredentistico da quello già al potere, nazionalitarî; e ancora più in generale ai movimenti caratterizzati da ideologia-passione identitaria nutrita di martirio. La realtà è che le idee delle classi dominanti costituiscono un reticolo concettuale da cui non ci si libera sollevandosi per il codino, come il barone di Munchausen...

Per contro, non a caso il termine è ereditato senza complessi dal filone della sinistra della socialdemocrazia russa, i bolscevichi, e dal loro successivo costituirsi in Komintern. Quasi inevitabile riscontro degli effetti suscitati dalla contraffazione, oltreché lavorista e statalista, teorizzata da Ferdinand Lassalle. Nel programma di Gotha si stabiliva infatti una retrospettica filiazione non certo con l'Associazione internazionale dei lavoratori e la Comune di Parigi, ma proprio col giacobinismo, con certi passaggi dottrinari, in particolare di Robespierre e Saint-Just.

D'altronde Trotsky non ha complessi quando risponde con l'opuscolo Terrorismo e comunismo al pamphlet Comunismo e terrorismo di Kautsky. Nei resoconti delle sessioni del Komintern si dà documentazione dei dibattiti sull'opportunità di ricorrere in talune circostanze a combinazioni e dosaggi di terrore come ingrediente dell'azione. In alcuni suoi passi Lenin argomenta la necessità di instaurare forme di terrore poliziesco, anche come antidoto e argine a una violenza spontanea insorgente, che altrimenti avrebbe fatto scorrere fiumi di sangue ancor più grandi (vengono in mente in questo caso Bronte, la repressione spietata gestita da Bixio, e altrove le osservazioni di Foucault - nel Dialogo con i maoisti e in Microfisica del potere - sulla violenza rivoluzionaria che quando si istituzionalizza in tribunali e carceri si trasmuta nel suo contrario).

Ma queste cose Adriano Sofri le conosce meglio di me. Cionondimeno si è lasciato andare ad una stucchevole danza del ventre rivendicando non l'esistenza di una differenza (quella sì, fondata su una diversità di strategie e tattiche nell'uso della violenza politica, oltreché sugli obbiettivi), ma la presenza di una superiorità morale, di una qualità che distinguerebbe la vicenda Calabresi dai successivi atti di lotta armata avvenuti nel corso degli anni 70. A suo avviso il movente dell'indignazione - che per civetteria definisce «privata», ma che vuolsi chiamare civile - sarebbe stata moralmente superiore - e per questo esente dall'infamia d'essere una pratica ritenuta terrorista - a qualsivoglia altra motivazione politica, come quella legata alla pedagogia della «lotta armata per il comunismo». Egli sembra suggerire una definizione della categoria di terrorismo a partire dal movente, per cui l'omicidio ingenerato da indignazione civile ne sarebbe esente e dopo ripetute contorsioni, correzioni, rettificazioni e sfumature via, via aggiunte, arriva anche a precisare quanto da sempre sostenuto dal marchese di Lapalisse: esiste una violenza che non è violenza politica (vedi la strage di Erba), e una violenza politica che non è terrorismo (Corriere della sera del 16 settembre).

Addirittura per rafforzare il suo ragionamento cerca appoggi nelle parole dei giudici che lo hanno condannato, interpretando la mancata applicazione dell'aggravante per «fini di terrorismo ed eversione dell'ordine costituzionale» come il riconoscimento, anche da parte della magistratura, della natura «privata» e non eversivo-terroristica dell'omicidio Calabresi. Argomento, questo, ribadito con ancora maggiore nettezza da Giuliano Ferrara sul Foglio del 22 settembre: «Chi ha ucciso il commissario non aveva un piano terroristico per attaccare il cuore dello Stato, bensì vendicare la morte dell'anarchico Pinelli. Sono due cose completamente diverse, il terrorismo e l'assassinio di Luigi Calabresi».
Errore davvero macroscopico, visto che le leggi speciali dell'emergenza sono state varate sette anni dopo l'attentato, e che dunque la magistratura non poteva qualificare retroattivamente l'uccisione di Calabresi come un atto di sovversione dell'ordinamento costituzionale (come d'altronde avvenne anche per il sequestro Sossi e altri episodi analoghi fino al rapimento Moro), o applicare l'articolo 280 del codice penale, riscritto sempre nel 1979, (attentato con finalità di terrorismo o eversione), piuttosto che il generico 575, omicidio di diritto comune.
Come se non bastasse, nel tentare un parallelo Sofri non trova di meglio che richiamare una delle azioni gappiste più importanti della Resistenza: l'uccisione di Giovanni Gentile. Un episodio che nulla ha di "esclusivo" ma che si iscrive nella strategia della lotta armata urbana condotta dai Gap. Insomma se uno dei requisiti del terrorismo è quello di avere una strategia, e dunque una sua riproducibilità nella azioni - come pare voler suggerire Sofri -, quello dei Gap era terrorismo anti-nazifascista, né più né meno, come si è ritenuto che fosse - a partire da un certo momento in poi - per Prima linea e le Brigare rosse.
Toccherà agli storici futuri stabilire se la lotta armata degli anni 70 lo fu davvero, perché dal punto di vista del diritto non esiste una definizione universalmente riconosciuta, a meno che non si voglia prendere per buona quella offerta dai testi dell'Fbi o del Pentagono. Ciò che invece suscita sconcerto è il fatto che una vendetta, come l'uccisione di Calabresi, qualcosa che si apparenta ad una supplenza soggettiva della giustizia statale, all'epoca per giunta rifiutata da Sofri stesso, una sentenza di morte applicata sulla base di una colpevolezza stabilita sulla scorta di una vox populi, senza nemmeno la farsa di un processo popolare e addirittura considerata oggi un "errore giudiziario", come lo stesso Sofri scrive, possa essere ritenuta un gesto più nobile degli attentati successivi.
Quello che già allora molti di noi ritennero una forma di giustizierismo politico ci fa orrore, tanto più quando in quell'episodio si arriva ad intravedere un segno del torvo giustizialismo impregnato del paradigma della colpa che sarebbe arrivato 36 anni dopo.
Scriveva Lissagaray, il comunardo che riuscì a scrivere una storia al presente della Comune di Parigi: «Chi diffonde tra il popolo false leggende rivoluzionarie, e lo diletta di storie cantanti, è altrettanto nocivo che il geografo che indirizzi ai naviganti delle carte nautiche che mentono».

Oreste Scalzone


Neanche il rapimento Sossi fu giudicato terrorismo

Una legislazione antiterrorista e un diritto penale politico speciale in senso proprio nascono soltanto alla fine del 1979. Spiega Luigi Ferrajoli, nel suo ormai classico Diritto e ragione. Teoria del garantismo penale, che nel 1979 si opera un rovesciamento della strategia antiterrorista condotta dallo Stato. È la magistratura, non più la polizia, che ne assume per intero la supplenza. Vengono così rivitalizzati gli ampi strumenti normativi già presenti nel codice Rocco e introdotti nuovi dispositivi che daranno il via alla stagione dell'emergenza. Con il decreto-legge del 15 dicembre 1979, n. 625, convertito nella legge n. 15 del 6 febbraio 1980, viene introdotta la circostanza aggravante della «finalità di terrorismo o di eversione dell'ordine democratico» (successivamente corretta con la dizione "ordinamento costituzionale"). La nuova aggravante comporta un aumento di pena pari alla metà della pena edittale del reato base e l'esclusione delle attenuanti, oltre a modificare i criteri di cumulo di più circostanze aggravanti nel senso di un sostanziale aumento della quantità di pena irrogabile.

Lo stesso decreto introduce nuove fattispecie criminose come «l'attentato per finalità terroristiche o di eversione» (nuovo testo dell'articolo 280 del codice penale) e «l'associazione con finalità di terrorismo e di eversione dell'ordine democratico» (articolo 270-bis del codice penale).

Tutti i reati con movente politico commessi prima dell'entrata in vigore della nuova aggravante antiterrorista vennero giudicati in base alla normativa preesistente, sulla scorta del principio di irretroattività della legge penale. Considerati episodi di natura eversiva solo dal punto di vista socio-storico ma non giuridico. Così avvenne per il sequestro Sossi (1974) che diede luogo a un'accesa disputa giurisprudenziale. Da una parte chi riteneva andasse inquadrato nella fattispecie del «sequestro semplice» e chi invece configurava nelle richieste politiche delle Br delle finalità di natura estorsiva.
Analogo trattamento ebbero i reati politici commessi fino al 1979 (ivi compreso l'attentato a Coco) fatta eccezione per quelli ritenuti di «natura permanente» e protrattisi oltre la data di entrata in vigore delle nuove disposizioni di legge.

Paolo Persic
hetti













Partager cet article
Repost0
22 septembre 2008 1 22 /09 /septembre /2008 22:00



 

20 settembre: una giornata di lotta autorganizzata contro il razzismo

La cronaca in breve:

Sabato a Milano diverse migliaia di persone hanno sfilato per le vie del centro, in ricordo di Abba e contro il razzismo, partendo da P.ta Venezia.
Un folto gruppo di giovani, (proletari/e, immigrati/e, giovani "di seconda generazione", provenienti da tutte le parti del mondo e che insieme ad Abba si incontravano in S.Babila da anni per suonare e ballare) si sono invece dati un appuntamento separato, per poi andare incontro alla manifestazione.
Primo colpo di scena: all'altezza di Corso Venezia, giunti di fronte al corteo, iniziano dei sit-in e con comizi e slogan continui decidono di contenderne la testa costringendo il servizio d'ordine del corteo, guidato da militanti del PRC,  a fare i salti mortali per riprendersela e riportare la manifestazione dentro i binari prestabiliti.

Ma giunti a S.Babila nuovo colpo di scena: spazientiti dallo scavalcamento dei "politici bianchi", e sfruttando il presidio del comitato antirazzista, la testa del corteo si blocca e, dopo aver radunato altri 300 manifestanti, si dirige verso il Duomo deviando dal percorso prestabilito.
Raggiunta piazza Duomo, di fronte a un nuovo tentativo di scavalcamento e di controllo da parte degli apparati, nuovo e definitivo colpo di scena: il corteo spontaneo decide di recarsi in via Zuretti, dove Abba è stato ucciso. A questo punto la polizia cerca di costituire un cordone per contenere il corteo non autorizzato, ma questo diventa un segnale per i manifestanti che, al grido di "Abba vive e lotta insieme a noi", "basta razzismo" e "Giustizia!", travolgono il cordone della polizia e cominciano a correre verso la meta, distante quasi 5 km da piazza Duomo.

Poliziotti, giornalisti e militanti della sinistra istituzionale, rincorrono la testa del corteo ansimando, ma ogni qualvolta riescono a ricostruire un argine, grazie soprattutto a pattuglie che affluiscono con mezzi mobili, il corteo rompe nuovamente il cordone e riparte, sempre di corsa e gridando slogan.
La scena si ripeterà più volte fino in via Zuretti dove un imponente schieramento di forze dell'ordine impedisce ai manifestanti, diventati ormai 600, l'accesso al bar del linciaggio di Abba.
Solo a quel punto, gli organizzatori della manifestazione, insieme alla Digos, riuscivano a riportare la calma e a ottenere una sorta di momentanea pacificazione della piazza, (contestata da buona parte di coloro che avevano imposto con l'azione diretta l'arrivo in via Zuretti), che ha segnato la conclusione della giornata, ben lontana dal previsto comizio di chi aveva convocato l'iniziativa.

Alcuni elementi di bilancio politico

E' quasi superfluo sottolineare che il dato politicamente più significativo della giornata sia stato l'irrompere prepotente della rabbia e della determinazione di una parte consistente degli/delle immigrati/e in piazza, capaci anche di comprendere le manovre di pacificazione degli apparati e muoversi di conseguenza. La scelta iniziale di un concentramento si è poi trasformata in volontà di prenderne la testa, imporre ritmi, contenuti e percorso, fuori da ogni logica di controllo dall'alto.
Con la loro autorganizzazione hanno messo in campo un nuovo e incontrollabile soggetto politico che mette paura all'intera classe dirigente. Ne è una chiara dimostrazione la copertura mediatica della manifestazione, tesa quasi unanimemente a occultare questo protagonismo, criminalizzandone l'azione o cercando di spiegarla attraverso la presenza di oscuri "mandanti".
Come Comitato Antirazzista avevamo scelto di non aderire ufficialmente alla manifestazione, ma di parteciparvi chiamando ad un concentramento indipendente, proprio per cercare di essere strumento e punto di riferimento per il settore che, nella settimana che ha preceduto la manifestazione, era emerso come l'unico in grado di imprimere alla manifestazione il necessario senso di lotta.
Un settore di giovani proletari/e, immigrati/e, giovani "di seconda generazione", che ha preso l'iniziativa, indirizzato costantemente la presenza, più che altro la nostra corsa, all'interno della manifestazione, dato un segnale di autodeterminazione e di rottura con la politica di palazzo e  indicato anche il percorso da seguire per le lotte future.

Comitato antirazzista milanese - info@antirazzistimilano.org

Partager cet article
Repost0

Archivio