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19 février 2007 1 19 /02 /février /2007 22:21
Da "VADEMECUM"

Per ricominciare a parlare di Amnistia
Possiamo dircelo, insegnarcelo a vicenda, compagni, compagne, persone amiche (e anche non...): chi dice movimento dice qualcosa di quasi altrettanto complesso, contraddittorio, enigmatico, sfuggente, incomprensibile a “colpo d’occhio”, e irriducibile innanzitutto a semplificazioni, a categoricità di giudizî, a sicumèra. Dice qualcosa di altrettanto irriferibile, d’indicibile spesso, di resistente , di entusiasmante e disperante, di chi dica mondo. Di chi dica...vita, essere, tempo, senso, o anche solo ...specie, “razza umana” , o che so liberazione, o lavoro...

1. La preistoria
Quando, nel giugno del ‘78 (poco più di metà del tempo che si dice trascorso tra Hiroshima e stasera....), un quartetto di noi Del Giudice, Piperno, Scalzone, Zagato.. (nomi come tanti, che sarebbero di lì a poco passati al proscenio del “Circo Mass-mediatizzato dell’Inquisizione d’ Emergenza” aperto al pubblico con l’opening night del 7 aprile ‘79 ) un ‘quartetto’ di no aveva avanzato sulla pubblica piazza, rivolgendo la voce in tutte le direzioni, una riflessione ad alta voce sul tema dell’ AMNISTIA, mi pare di ricordare che, con bella ingenuità, ci sembrava che le difficoltà (per dire un eufemismo) sarebbero venute dall’ “alto”, dall’“avversario “ o come altro si volesse chiamare il “nemico” (così lo avevamo percepito, largamente peraltro ricambiati e, da ultimo, con l’interesse - non si sarebbe tardato a vedere - con interessi “da capogiro” e “ composti”).
E invece, quella che poteva sembrare un’ espressione ovvia, naturale (cioè, beninteso, come se), un po’ come “Pane pace libertà !” d’altri tempi e luoghi ; o, per venire a noi, o “Più soldi e meno lavoro !” “reddito d’esistenza !”, “ pari riconoscimento della diversità, del differente !”, si rivelò una parola quant’altre mai mal’amata. Quasi colpita da un sortilegio, un’inibizione, un’ auto-censura, prima ancora di poter essere formulata ‘a fior di labbra’, mormorata tra noi, sillabata, anche solo per prenderla in esame, discuterne...

2. Una parola malcompresa
Amnistia, Amnistia ! fu parola subito mal’amata (non mi permetterei di dire, “malcompresa”). Troppo “day after”, troppo rimante con sconfitta (e questo era incontrovertibile, la ragione per cui veniva proposta come “qualcosa da rivendicare” era che si considerava che sconfitta ci fosse stata).
“Rivendicare”, “rivendicazione” : non “mendicare”, e/o “reclamare” : “rivendicare” nel senso che il termine ha nel “sociale”, e in questo caso non già nel senso sindacale, di domande, conflitti, “pre-cotti”, prestabiliti, “piallati” entro limiti rigidissimi di “compatibilità”, addirittura fino a concertazioni rigorosamente difensivi, di resistenza, comunque dominati dalla assimilazione dell’idea che la vita è “variabile dipendente” rispetto alla logica dell’economia, del sistema, così come della ragion di stato (che, esse, sono mezzo & fine, strumento e orizzonte, che hanno ragion-d’essere, “in sé & per-sé” ).

3. Per non parlare di sconfitta
“Sconfitta” : per un punto di vista “materialista critico”, ovviamente , non si può escludere (sconfitta in una guerra, in una battaglia, sconfitta di un intero ciclo). Che questa non debba, non debba esser considerata definitiva e totale, beninteso, questo è importante : la Comune è, per certi versi, qualcosa che non è mai morta, come dice la canzone; che, anzi, ci parla di futuro ; ma che, su un piano d’immanenza, sul terreno dell’immediatezza e dell’effettualità, essa fosse stata schiacciata, a noi sembra incontrovertibile, e il non voler/non poter riconoscerlo è foriero di mortificazione , effetto ‘mortifero’ di vertigine “soggettivistica “ mortale come il volo di Icaro.
Però così era, nelle passioni, nel pathos abbigliato in Teoria, Etica pubblica, Ragion Rivoluzionaria! (anche questa è la complessità stra/ordinaria, sempre in bilico tra sublime e demenziale, di ciò che si chiama “movimento”) Rivendicare un’amnistia sembrò implicitamente arrendersi, anzi, essersi arresi ; nominare la sconfitta era vissuto come crearla, come anticipazione di una disfatta a quel punto annunciata, disfattismo come fosse “previsione creatrice”, “profezìa autorealizzantesi”, “mal’occhio”. Appena un mezzo passo di lato, e "amnistia !" era malamata, sprezzata, ostica, invisa, contrastata, deformata, calunniata da un punto di vista opposto, speculare . Esso non era né “nobile” né “demenziale”, all’inizio era un po’ infimo, avaro, micro-corporativo. Poi è diventato, a tratti, a volte, “anche gratuito” ; senza “ utilità”, necess[arie]tà”, vera. Quasi un “se non è esclusivo, non ci interessa”.


4. Un sottofondo comune
C’era, tra l’uno e l’altro esito, un sottofondo comune : non solo nel metodo, nell’intolleranza, nel carattere categorico, immediatamente risentito con chi dice altre cose, non è sulla stessa linea, non conferma aspettative né vi si conforma. Una sorta di disaccredito , nutrito da scandalo per il fatto stesso che ci sia qualcosa e qualcuno di altro .Questo denominatore comune, per esempio, ai continuisti nell’affermarsi identici a se stessi ; o in quelli di assolutizzare ciò che si dice ed è “nel momento” è un esito, ci sembra, unilaterale, in qualche modo, della dialettica fra elementi, sfaccettature, “ingredienti” di quella che era stato un medesimo denominator comune di “mentalità” : la super-semplificazione binaria, dicotomica, per assoluti contrapposti in coppia, talmente speculari, simmetrici da essere ciascuno rovescio dell’altro.

5. I cicli dell’amnistia
Dopo tre cicli di sette-otto anni
78- 87 : l’assoluto isolamento "amnistia" come “parole al vento “, come un disco rotto lo spazio, lo spessore del filo di un rasoio, di un funambolo o che forse manco c’è. .
87- 97 : ‘svolte’, convergenza, illusioni. Troppo poco audaci per esser realistici. Canto del cigno e pietra tombale, la legge d’indulto in Commissione Parlamentare “Giustizia”
Poi , 97 sino ad ora, silenzio assordante ; “manco a parlarne“
Ora se in concatenamento occasione Pannella “size the time/ do the right thing” . Io ho il destro di dire a quelli che, con un'unanimità rotta solo da preziose eccezioni quali la vostra , “continuate a dire manco a parlarne? amnistia è parola irriferibile”? Oppure se io dico: "ma vogliamo dire sì a un indultone che metta fuori i disperati; che liberi da spade di Damocle e sgravi da ipoteca 4000 manifestanti new global ; nonché se dico vogliamo cominciare ad aprire la discussione su un percorso di “ soluzione “, su qualche iniziativa preliminare, sulle pre-condizioni ? Forse dopo disperanti isolamenti, e poi “false partenze/falsi movimenti “, e poi ricadere all’indietro, questa è la prima volta in cui Amnistia ! è, in qualche modo, fatta propria virtualmente e non più malamata dall'insieme del Movimento.

6. Iperrealismo della ragione politica
Forse per chi si è subito mosso (come Cobas, Papillon, voi), non si può neanche dire che sia servito il mio ‘declic’ : evidentemente, non c’era un ‘blocco’ totale, un tabù come quello che invece si rivela nei silenzi come nelle vociferazioni dei “ troppo assenti “. Appunto per questo è necessario (proprio noi che rifiutiamo l'alienazione politica, il ridurre la vita dentro il perimetro, i limiti, i bordi della “ cassaforma “ del Politico ), ragionare in termini “à la guerre comme…”. Rasoio di Ockham. Bisturi quasi di iperrealismo della “ ragion politica”. Ecco : non ci si stupisca. Non è come un esitare di fronte al salto , o diventare improvvisamente “parsimoniosi, come di chi abbia finalmente un “gruzzoletto”. Se si chiudesse, cortocircuitando, precipitandosi su una piattaforma, richiesta, o progetto di legge, o documento, sarebbe “un peccato”. Se non vogliamo un sicuro esito come per l' indulto del 97 , bisogna agire su alcune pre-condizioni. Anche solo per essere realisti, bisogna volare alto, andare in profondo. Prendere da angolature preliminari. Di questo vorrei parlare già da stasera con voi .

7. L’esempio sudafricano
Nei giorni delle vociferazioni sinistre e oscene CONTRO LE PRESCRIZIONI (della “fase di andata” di cui sopra,) qualcuno aveva evocato la “ragionevole” idea direttrice di una soluzione politica d’amnistia per il contenzioso mai risolto – anzi, “residuo sempre più irrisolto” – dei cosiddetti “anni di piombo” (gli anni di quella che, con sguardo d’insieme e necessaria distanza, potrebb’esser definita una lunga onda d’urto di sovversione sociale, terreno di coltura del prodursi di uno “stato d’insurrezionalità endemica prolungata, subacuta e cronicizzatasi”). Ma in quegli interventi, la ‘cosa’ veniva legata al richiamo suggestivo (a cui tanti, tante “teste pensanti ” si sono applicate) alla "Commissione- Verità e Giustizia" nel SudAfrica “di Mandela”. Ora – come in modo pertinente altri avevano fatto notare – articolare le due cose era improprio, e il mettere una forma del tipo di quella Commissione come pre-condizione di un’amnistia sarebbe risultato sviante e iniquo. Nell’esperienza sudafricana, infatti (a parte molte altre differenze) alla tavola della Commissione si confrontavano figure di tutte le parti in causa: c’erano l’ANC e Winnie Mandela, e c’erano i responsabili dell’ Apartheid, i De Klerk… c’erano i neri e c’erano gli Afrikaner, i sommersi e i salvati, gli oppressori e i ribelli, le fazioni… In qualche modo, alla cosa mi pare si possa dire che avrebbe assomigliato di più (anche se sono allergico alla dizione) l’idea del “Grande Pentimento” di Cossiga…

8. Le correzioni di rotta
Nel far incrociare le cose, si arriverebbe a degli assurdi, degni di straparlare osceni come quelli dovuti sentire, nella “fase di andata”, da un Giovanardi o un Montefoschi (cfr., le demenziali sconcezze su “i "terroristi rossi" come figli di papà in spyderina, ricchi che sparavano ai poveri e sono stati coccolati dagl’intellettuali di sinistra”!) : sta’ a vedere che il ‘luogo’, l’emblema paradigmatico delle impunità, del sottrarsi alle proprie responsabilità, dei “misteri su cui far luce”, diverrebbe un pugno di nojaltri, un pugno di “stracciaculi” latitanti ! Forse che dovremmo spiegare anche le Ustica ? Fausto Bertinotti e Massimo Cacciari, col garbo che si deve ad un errore che si presume ‘da malinteso’, spiegavano che i due piani e i tempi si dovrebbero separare : un’amnistia, che è tutt’altra cosa, e poi eventualmente ben venga la “tavola”… Forse – anzi, assai probabilmente – a rischio di sorprendere, e quasi certezza di attirare come minimo perplessità, o anche riprovazione e altra forma di ostilità all’occorrenza anche mal-pensante (e mal/ -dicente, -evola, -animosa), sprezzante, da parte di molti anche inscritti in quello che si dà, pur in senso lato, come “nostro campo”, (magari compresi gran parte di ‘quelli dell’assordante silenzio, del “neanche a pensarci, dato il clima” ) ; sapendo dunque di poter magari amareggiare, deludere, addolorare alcuni e alcune, sarei portato a dire : l’importante è disgiungere.
Se rivendicare in queste condizioni una misura concreta di "rinuncia alla pena" dovesse essere solo il destro offerto ad una sorta di sordido (in alcuni casi consapevole, intenzionale ; altrimenti come effetto, come risultante ‘sistemica’) “gioco della crudeltà”, tanto vale congelare la rivendicazione esplicita d’amnistia, e rilanciare – prendendo in parola chi l’ha sollevata – la proposta, la sfida, della “tavola” sul modello della Commissione in SudAfrica.

9. Il nome della tavola
Per questa “tavola”, non si potrebbe che partire dal “titolo” generale, che non può che essere “ politica e crimine” – nella storia, nel pensiero giuridico, etico, critico, politico. "Crimine" di Governo, "crimine" di ‘Ragion economica’, "crimine" di ‘Ragion di Stato’…, "crimine" d’ideologia, di rivoluzione, di "Giustizia penale" -e anche di giustizia-, o di libertà, o –perché no ? – amore… Ecco : di questo immenso “libro”, noialtri possiamo costituire un capitolo, non certo la totalità, né la quintessenza… Rimessa la cosa su delle gambe, la discussione sulle legittimità, il senso, i nonsensi, della memoria e dell’ oblìo, della pena e della "rinuncia alla pena" -o "oblìo giudiziario"- , può procedere in modo non becero e specioso, viziato e in definitiva impotente. E dunque, potrebbe incardinarsi un dibattito, anche controverso, su un’ amnistia, o amnistia/indulto, comunque su misure ‘di tipo amnistiale’. Per ora, il discorso si ferma qui : a questa sfida sulla “tavola”. Non senza anticipare un qualcosa che riprenderò: l’offerta rinnovata a “metterci del mio”. Perché "un’amnistia è sempre anche reciproca": amnistia del contenzioso, di “debiti”, “crediti”, identità di “vittime”, percentuali di “colpa”. Questo, non ha nulla a che fare con pacificazioni dei conflitti. Anzi io parlo dell’ idea direttrice - che, per dirla con Foucault, è diversa tanto da “utopia” che da velleità- di un abolizionismo penale radicale (e su questo torneremo.)


Da "VADEMECUM"

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18 février 2007 7 18 /02 /février /2007 22:35
Da "VADEMECUM"

Io, personalmente, non ho debiti da esigere. E quindi decido unilateralmente di spezzare la catena della riscossa e della vendetta. Senza reciprocità, senza gna gna. Tutto questo, è ovvio, non c’entra niente con la pacificazione e la condanna della violenza. Quando anche si decidesse di riaprire una fase di guerra sociale dispiegata, tutto ciò non c’entrerebbe nulla con i giustizieri. Poi si vedrà se la violenza è necessaria, ma è un’altra cosa. Di certo non si potrà, non si dovrà mai più ammazzare per vendicare, per punire.

Molti di quelli che non hanno esitato a presentarsi a capo chino materialmente davanti al giudice o metaforicamente davanti alla potenza dispiegata dallo Stato, non se la sentono di rivolgersi alle vedove o agli orfani.

La determinazione dei familiari delle vittime nel coltivare sentimenti di assoluta intransigenza sull'espiazione è comprensibile, ma c'è chi continua a lavorare per mantenerli in questo stato di tossicodipendenza da pena. Un gioco duro alimentato dalla vigliaccheria di chi preferisce inchinarsi allo Stato e non alle vedove.

In difesa (Giudiziaria) dei "Cattivi Maestri"

Ciò detto, resta profondamente necessario e giusto combattere con le unghie e con i denti contro la penalizzazione della responsabilità intellettuale dei cattivi maestri nella sfera del giudiziario, di ciò che ha rilevanza penale, non perché abbiamo l’"ipse dixit" ma perché è una forma come un’altra per truccare, per far saltare il principio della presunzione d’innocenza, del carattere circostanziato specifico e quindi necessariamente di quello che andrebbe provato per definire la responsabilità penale. Mi sembra che sia lì il punto, questo arbitrio che viene permesso quando sono le parole a diventare oggetto di materia penale.

Non è tanto che le parole siano nobili, ma ancora più grave mi pare gonfiare la responsabilità oggettiva di uno che ha fatto il prestanome e poi non solo viene condannato per i reati associativi in modo pieno ma anche per il concorso in tutto quello che la verità giudiziaria ritiene sia stato organizzato o sia partito dalla base da lui affittata, addirittura nelle conseguenze impreviste. Parlo di fatti reali, sentenze fatte. E’ già pesante dare al firmatario, che magari non ne sa più niente, e potrebbe essere accusato di favoreggiamento o magari di partecipazione a banda armata, un concorso in omicidio. Ma addirittura se di lì è partita una rapina finita in scontro a fuoco e si tira il concorso pieno in omicidio anche al prestanome siamo certamente al limite, diciamo così per eufemismo.  No, la responsabilità oggettiva è ancora più grave di quella intellettuale.

E’ per questo che io all’epoca del 7 aprile non mi ero ingolfato nel discorso corporativo che l’orrore maggiore era accusare dei libri e degli autori di libri, però non per questo avevo lasciato cadere l’appiglio polemico. Anzi ne avevo trovato uno (secondo me) più preciso, che non consentiva a un Violante di fare i sarcasmi che faceva sugli atteggiamenti degli intellettuali, cattivi maestri dell’armiamoci e partite.

Io obiettavo che esiste un codice di tempo di pace, un codice penale e un codice militare di guerra, basta che vi mettiate d’accordo. Se usate quello del tempo di pace non potete accusare per contiguità, istigazione, responsabilità oggettiva. Se invece volete usare quello del tempo di guerra a me  può andar bene. Ma siccome  nel vostro schema gerarchico volete interpretare il ruolo di qualcuno come me come se fosse il generale che trasmette degli ordini, dovreste applicare la non punibilità per averli eseguiti a quelli che riteniate siano i soldatini. Il trucco forte non sta nella penalizzazione della responsabilità intellettuale ma sta nell’uso alterno ogni volta della combinazione fra i due aspetti a maggior svantaggio degli imputati. Calpestando ancora una volta un principio conclamato dal diritto, la regola della norma pro reo, che non è una forma di benevolenza. Semplicemente lo Stato, che è più forte, pretende di ottenere legittimamente il monopolio della forza deve essere capace di autolimitare questa forza. Se si comporta come la mafia di Corleone è più difficile la legittimazione.


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