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9 juin 2011 4 09 /06 /juin /2011 20:15

L’ITALIA NASCONDE LA TESTA SOTTO LA SABBIA DEI TRIBUNALI.

 

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Intervento di Oreste

 

Intervento di Paolo

 

 

Il Tribunale Supremo brasiliano ha disposto, con il voto di 6 giudici contro 3, la liberazione di Cesare Battisti, l’ex militante dei Proletari armati per il comunismo detenuto da quattro anni nel carcere di Papuda, alla periferia di Brasilia. Battisti, uscito dalla prigione alle 5 ora italiana, non verrà estradato e resterà a vivere da uomo libero in Brasile, dove gode dell’asilo politico concessogli dall’ex presidente Luis Inacio Lula da Silva.
Secondo le autorità di Brasilia, l’estradizione avrebbe messo in discussione la sovranità nazionale brasiliana, perché il volere italiano avrebbe prevalso sulle decisioni dell’ex presidente Lula.
Il governo italiano, dal canto suo, ha annunciato ricorso a L’Aja, attraverso il ministro degli Esteri Frattini. Dalla maggioranza, e pure dall’opposizione di quasi tutto il centrosinistra, si sprecano invece le dichiarazioni di condanna.
Grande assente dal dibattito politico, però, è una riflessione generale sull’esperienza della lotta armata nel nostro Paese. Una riflessione tanto più necessaria quanto irrealistica, alla luce dell’attuale pochezza del ceto politico italiano.
Sulla vicenda Battisti in particolare, e più in generale su questi temi, abbiamo intervistato Paolo Persichetti, giornalista di Liberazione. Ascolta qui l’intervista.

 

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22 mars 2011 2 22 /03 /mars /2011 01:13

Lo sportello legale a Lampedusa per costruire un osservatorio permanente sul'isola (almeno fino alla fine dell'emergenza) dei diritti dei richiedenti asilo:

Un centinaio di migranti tra cui 30 minorenni all'addiaccio tutta la notte dopo la traversata del mediterraneo 19 marzo 2011 ore 03.30 si prega di diffondere
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23 février 2011 3 23 /02 /février /2011 13:01

...stavolta, neanche il tempo concessomi per qualche parola, scritta e/o a voce 'via' OndaRossa, su e per Daddo...Un altro addìo,  straziante,  altri pezzi di vita anche nostra artigliati,  divorati,  e portati via...

     Daddo, Paolo, compagni "nostri" – di noi tutti,  quelli, quelle, della lunga onda d'urto che possiamo far iniziare – fermandoci lì nella carrellata all’indietro  – da piazza Statuto,  fino a "Valle Giulia” e il '68, ai cancelli di Mirafiori e a Corso Trajano,  ai 'settanta,  a quel clima di contestazione e confutazione generalizzata, radicalizzatasi   tra “rivoluzioni” e “contro-insurrezione”, e nei contesti larghi fino ‘ai confini del mondo’, e nelle  ri-territoriazlizzazioni ‘locali’, fino al soprassalto del "movimento del '77", e tutto quanto ne è presagio, incubazione, e ne segue e lo segue…. Un incessante tumulto di latenza e ricorrenti eruzioni "insurrezionali" – un'insurrezionalità endemica,  “subacuta e cronica” ; con  pezzi di “guerre sociali” inscritte là dentro , con tutto quel che segue,  tra luci ed ombre, senso e anche nonsenso, ma comunque potenza di vita, persistenza di “disperata vitalità”, affioramenti di comunanza e libertà, di spinte all’autonomizzazione, comune, in comune, dalla macchina – Mondo, da gerarchie,governamentalità,  « economie » dell’utilità strumentale e del comando…...

 

     Daddo & Paolo, compagni "nostri" di tutti, e anche – in quel momento, in senso più "stretto" per quello che può valere : come co/responsabilità” assunta e mai rimossa, ‘esportata’ o rinnegata –  compagni dei “CoCoRi”, talché...

 

I "dopo" sono andati per mille rivoli, oltre che in carceri  e vie e linee di fuga, e anche in tutt’altre direzioni. Ci si è anche persi di vista, tra tanti e tanti... Il cosiddetto « passato » torna , riaffiora d'improvviso, con virulenza, tutto si colloca in un largo presente, tutto di colpo vivido, tutto....

 

Un saluto, ancora attoniti, sgomenti, un saluto da parte "nostra" – penso a Luigi, lo cerco, eppoi la cerchia che certo condivide questo addìo… Luigi fa in tempo, altri fanno in tempo, a rispondere con un lungo, innaturale, sgomento silenzio, che si fa folla di domande senza risposta, che vuol “mandare fiori”, di carta, immaginarî, un saluto, un addìo, un consolarsi tra chi resta, un’altra elaborazione,  del lutto, e il tempo « fugit », sfugge via,  lento/veloce  “come un treno dentro una galleria ». Non c’è più tempo per altro, il tempo manca, come sempre, un abbraccio

 

Parigi 18 febbraio del 2011,                                               

                                               Oreste (Scalzone) & C.

 

                                   Ciao, insieme oggi per Daddo, con la persistenza lancinante di un ricordo

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9 février 2011 3 09 /02 /février /2011 11:00

Non avevo avuto il dono – che è, il più spesso, fortuito – di conoscere personalmente Franca Salerno. Avevamo appartenuto a ‘storie’ diverse, rivoli diversi di uno stesso flusso, confluenza. Diversi, per molti aspetti che non erano fatuamente aneddotici, « ideologici » o « politici » (« Politica » è infatti, nella « modernità-Mondo », « professione », « sapere/potere separato », « arte del Governo » – che « non si può praticare senza crimine », come spiegava, e poco importa se al dritto o al rovescio, Machiavelli ; dunque « governamentalità », questo mestiere fondato – come l’imprenditorialità o la passione per “giudicare e mandare”, fin oltre la morte ‘via’ la pena integrativa della « damnatio memoriæ », su vocazione al comando : che chiede, attira, provoca corrispondente servitù, in basso e ancor più in alto…, poi che « sarà difficile ridurre all’obbedienza chi non ama comandare », e dunque è anche l’inverso, la servo/padronalità oscena e infinitamente capace di viltà maramaldesca ne è riscontro e controprova). 

 

“Liberi e diversi come uccelli, e fraterni come stormo”, diversi – voglio continuare a pensare – per motivi non infimamente “identitarî” (« identità », è figura che rinvia al patrimonio, ad assi ereditarî, alla proprietà – « privata » o « pubblica », persino « di Stato » –, e fa pensare all’apertura notarile dei testamenti, che il più spesso divide, semina invidie, odî mortali, rancori, vittimismi, figure riflessive transitive, attive passive singolari plurali della “Colpa”, « passioni tristi » forme del risentimento, odio per la vita e autodivoramento suicidario-assassino…).   Diversi nascevamo, come lèssico, come “dialetti” rispettivi, costitutivi e al contempo sotto-insiemi di una lingua che però aveva un’“anima” nel profondo, comune. Diversi come eravamo, per lingua, nojaltri di Potere Operaio, per esempio, e le compagne e i compagni di Lotta Continua. Al di là delle futilità, vanitas di concorrenze peraltro « mimetiche », c’erano alcune ragioni di approccio, di punto di vista, rispetto alle quali ci si addensava, ci si polarizzava diversamente – diciamo, ‘secondo inclinazioni’ rispettive, e che poi mettevano in forma anche i modi di esserci, le accentuazioni delle passioni – ciò che in versione nobile e non insignificante si chiamava « teoria », eppoi « linea ».   Eguale, sotto, era l’istanza della ribellione. (Rivolta che è denominator comune, come lo è la Gemeinwesen, il ‘fundus’ comune che costituisce e distingue la specie, « razza umana » di esseri parlanti, aventi inferito la mortalità dunque consapevoli della propria morte, di sé e del resto, dell’alterità, gettatisi nel tempo e dannati[si] all’angoscia degli enigmi, fino ai dilemmi morali, senza più l’innocenza, anzi, l’estraneità a questa dialettica, dell’animale predatore e preda, e dannati a “conoscenza” e impossibilità di arrivarvi, a Storia e « cultura » e al fiume di sangue che ne segue, fino all’epoca della sua « riproducibilità tecnica » e della sua infinita clonazione virtuale.)   Uguali, nella comunanza in quell’altro ‘specifico’ assoluto di questa « razza animale » irreparabilmente sui generis : la rivolta.   Che noi vedessimo l’epicentro dello sprigionarsi della potenza, della « disperata vitalità » delle genti sottoposte a gerarchia, a utilizzazione strumentale, comando e qualsivoglia altra forma di mutilazione, d’ interdizione e confisca di ogni capacità di comunanza auto-determinata, d’autonomia singolare e comune – …, che noi collocassimo questo epicentro alle linee di montaggio delle Mirafiori, e poi in qualsivoglia altra forma che pur dissimuli e occulti l’economia di tempo-di-vita, di « nostra vita mortale » (come quello di Antonio figlio di Franca, ammazzato nella catena di montaggio dell’estrazione del plusvalore sociale, pur fatta risultare invisibile come la nebbia quando ci avvolge, e non è più “solo” banco di cui scorgiamo il profilo) ; e che invece Franca, e Maria Pia, e Anna Maria, e Antonio, e Luca, e Giovanni, Mimmo, Nicola, Pietro, Fiorentino, Alfredo e chi altro purtroppo non mi viene adesso al ricordo, vedessero il punto di svolta nel cortile di Attica !, e lo immaginassero, lo sognassero nel gesto semplice di Jonathan Jackson che si alza nell’aula del tribunale col suo fucile, enorme e austero per i sedici anni che lo impugnano, e dice a Corte e scorte armate, e contro gabbie e ferri, « Adesso decido io ! », non era un dettaglio, epperò era distinzione successiva, secondaria alla fraternità nella necessità/scelta primale della rivolta sovversiva di liberazione.

 

Ho conosciuto Franca qui all’Akrobaz. Chiederò al compagno che la filmava come ipnotizzato dall’intensità del suo volto e delle sue parole, di ripescare quel frammento e mandarvelo, come un fiore per lei.   Non l’avevano piegata, Franca, gli anni del feroce totale isolamento in « braccî morti ». Ho imparato in galera la modestia e la grandezza dei “nappisti” : la vita, la cosiddetta Storia, sono feroci : non solo Loro, “LorSignori”, i funzionarî delle teologie di Capitale/Stato/tecnica integrati, e di tutte le forme moderne, antiche e ultra-moderne, di gerarchizzazione comando sfruttamento, tentativo di confisca ultima della potenza di persistere, d’inibizione in radice del principio attivo di comunanza auto-determinata, autonoma di questi animali parlanti, comuni mortali che ci troviamo ad essere, “razza paroletaria” ; anche le nostre rivolte sono state sanguinarie – e alla domanda di Canetti, “Quando si finirà di uccidere ?” non possiamo rispondere incollando sul cosiddetto “futuro”, a cominciare da quello “prossimo-venturo” nel ‘presente largo’ che è l’unico consistente (che passati, « futuri anteriorti », e « futuri remoti » continuamente ci confiscano, talché “il morto vuol seppellire il vivo”…), non possiamo rispondere alla domanda con alcuna certezza, una qualsivoglia ‘filosofia della Storia’. Una cosa ho visto : che quando avevano paura “dei Nap”, i guardiani e all’occorrenza massacratori di altri “animali di razza umana” rasentavano i muri, e le “squadrette” erano come sospese – migliaia di murati là dentro respiravano, respiravamo, un po’ meglio : questo ho visto.   Dopodiché, una cosa è certa : forse era stato ottimista il Doktor Marx, nel suo incipit « … Abbiamo regolato i conti con la critica dell’al-di-là ; ora resta da passare alla critica dell’ al-di-qua ».

 

Sotto, ancora sotto la questione di mortalità/tempo/estrazione del plusvalore, c’è la dannazione quasi “archetipale” del « Giudizio di Dio ». « Per farla finita col Giudizio di Dio », urlava rauco alla radio Antonin Arthaud. In effetti, possiamo dire che prima viene il Giudizio, la pulsione mortifera mortale alla designazione della Colpa e alla punizione infinita e all’infinito del Colpevole, poi l’ipotesi–Dio.   Ben oltre un Leviathano microfisico, fino alla singolarizzazione, un’ossessiva centralità del “giudizio di d’IO” rifratto in tutte le forme, fa affondare nell’universo della peggiore, annichilante servo/padronalità tendenzialmente « di ciascuno contro ciascuno”.   Contro la caccia all ‘uomo , l’Inquisizione, il linciaggio (peggio, frustrato dal legalismo e dato in appalto a chi lo demandi al “braccio violento della Legge”, del Dio-Stato,), l’inimicizia è limpido stato di guerra. Le forme – violenta, non… – sono solo corollario : il primo discrimine è qui. La nuvola di fiele di pensare solo e sempre in termini di Colpa, di Colpevoli, di delitto e castigo, è forse il consumo di merce tòssica più capace di far schermo e diversione alla rivolta di liberazione, e forse, alla vita stessa di una specie, che se si fa radicalmente logopatica si avvia allo ‘spavento senza fine’ della lunga agonia di un corpo col cervello avvelenato, che marcisce.   Mi scuso delle divagazioni, un saluto per Franca, fuor di retorica bellissima persona.

 

Parigi, venerdì 4 febbraio 2010, Oreste Scalzone, e col dolore, il vuoto, l’amore anche di Lucia , di RossaLinda e altre e altri  

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2 février 2011 3 02 /02 /février /2011 19:36

Un annuncio, una segnalazione,e, per chi possa intendere un parlato in “francese”, un invito a schiacciare sui links e “leggere”, ascoltare, ‘vedere’ questo soliloquio, che anche lancia una sfida a rispondere. 

Seguirà una lettera/legenda di spiegazione.

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2 février 2011 3 02 /02 /février /2011 19:11
Parte 1,2

 

 

 

 

 

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4 janvier 2011 2 04 /01 /janvier /2011 13:17

Corriere della Sera 31-12-2010. Giovanni Bianconi

 

Il personaggio. L' ex «militante rivoluzionario» visto dai rifugiati in Francia . Gli altri fuoriusciti «Non dica però di essere innocente»

 

«Lui non si doveva sentire diverso dagli altri» Sono pronti a esultare, nonostante siano svanite le simpatie d' un tempo. Gli «ex compagni», come li ha chiamati lui stesso tracciando una linea di demarcazione, brinderanno convinti alla scampata estradizione (se davvero sarà così) di Cesare Battisti, ma la notizia attesa dal Brasile non cancellerà i dissapori accumulati nel periodo della latitanza e della carcerazione preventiva dell' ex militante dei Proletari armati per il comunismo.

 

Battisti era uno dei tanti rifugiati in Francia fino alla fuga dell' agosto 2004; una sorta di perseguitato politico da un regime poco meno che autoritario secondo la vulgata diffusa negli ultimi anni dai suoi supporter francesi. È in quel momento che si consuma il distacco fra Battisti e gli altri «esuli» corsi al riparo della «dottrina Mitterrand», che garantiva asilo politico agli ex terroristi o anche solo agli accusati di reati connessi purché uscissero allo scoperto e non combinassero altri guai. Battisti ha cambiato avvocati, abbandonando la coppia composta da Jean-Jacques De Felice e Irène Terrel che aveva difeso le ragioni di pressoché tutti i rifugiati italiani incappati nelle maglie della giustizia francese, e ha mutato linea difensiva. Sostenendo all' improvviso che lui era innocente e in Italia era stato condannato ingiustamente. Da giudici che avevano violato le regole, in «una democrazia con la mafia al potere e dove i fascisti non hanno mai abbandonato le posizioni di dominio»: parole dell' ex militante politico divenuto scrittore di grido più in Francia che in Italia in un' intervista del gennaio 2009. Per chi era passato dalle stesse corti e dalle stesse galere, e come Battisti aveva trovato ospitalità Oltralpe, è stata una scorretta rottura del fronte unitario. Fino a quel momento nessuno dei tanti sotto minaccia di estradizione aveva rivendicato la propria innocenza: perché non era quello il punto, né si trattava di rifare i processi. Il diritto d' asilo, ha sempre sostenuto la «compagneria» italiana radunatasi a Parigi, riguardava tutti, colpevoli compresi. «Desta seri dubbi il tono scelto per giustificare pubblicamente la decisione di passare alla difesa di merito - scrisse nell' ottobre 2004 l' ex brigatista Paolo Persichetti, unico estradato dalla Francia in questa sottostoria degli "anni di piombo" - Quasi che si volesse marcare una differenza individuale con le tradizionali condotte difensive degli altri fuoriusciti. Stupisce il bisogno di sottolineare una distanza col resto della comunità, come se la diversità fosse d' improvviso divenuta un valore aggiunto». Quel testo, inviato da una prigione italiana, era intitolato «Caso Battisti: risposta a Fred Vargas», perché la scrittrice di gialli francese stava spendendo fiumi di parole e d' inchiostro per dipingere come vittima innocente il suo «collega» dal passato un po' turbolento. Al quale la donna è stata e resta molto legata. La stessa Vargas aveva insinuato che in precedenza Battisti non aveva rivendicato la sua estraneità ai fatti per i quali era condannato, rinunciando così a difendersi nel merito delle accuse, per non nuocere al resto dei rifugiati. Come se vi fosse stato in qualche modo costretto, incastrato da una specie di ricatto morale esercitato dall' entourage frequentato fino a quel momento. Lo stesso Battisti, nel libro scritto durante l' ultima latitanza Ma Cavale, La mia fuga, pubblicato in Francia nel 2006, ha usato parole poco lusinghiere verso gli «ex compagni». Descrivendo con toni annoiati gli «incontri estenuanti» dove si respirava «un' aria lugubre e complottarda da comitato centrale», nei quali «qualche trombetta sfiatata degli anni rossi» avrebbe approfittato dell' improvvisa «popolarità acquisita dalla causa dei rifugiati», grazie al clamore suscitato dal suo caso, «per spolverare i vecchi abiti da leader politici». In pratica ha sostenuto che s' erano approfittati di lui, e probabilmente anche per questo aveva deciso di abbandonare la difesa comune per passare a quella individuale. Naturale che gli altri fuoriusciti - i quali non avevano mancato di radunarsi decisi e chiassosi davanti a carceri e tribunali durante la detenzione francese di Battisti, prima della liberazione che poi gli consentì la fuga - non la prendessero bene. E che si allentassero le simpatie verso questo ex ragazzo semplice, apparso un po' troppo supponente dopo i successi letterari. Il giovanotto nato in provincia di Latina nel 1954 da una famiglia proletaria e di convinzione comuniste, cresciuto in riformatorio e politicizzatosi in carcere su impulso di un militante dei gruppi armati che poi s' è pentito ed è diventato uno dei suoi accusatori, s' era ritrovato ad essere ospite ben accolto nei salotti e nei circoli letterari francesi. Grazie anche a un fascino derivante dall' aria malandrina che non l' ha mai abbandonato, da gestore di una lavanderia a gettone è passato a firmare copie dei suoi libri polizieschi e noir su richiesta dei lettori più appassionati. E probabilmente pure le nuove frequentazioni hanno contribuito a scavare il solco fra lui e gli altri ospiti della «dottrina Mitterrand», che d' un tratto gli sono andati stretti. Ma la tuttora contestata dichiarazione d' innocenza del rifugiato-scrittore non ha fatto venir meno la solidarietà verso chi rischia di passare in carcere il resto della vita. E lo stesso Battisti, dal carcere brasiliano in cui continua ad aspettare la decisione sul suo futuro, ha mandato a ringraziare chi in Italia ha contribuito a sostenere la causa della non-estradizione. Compreso Persichetti il quale, a prescindere dal dissenso sul cambio di linea difensiva, nella sua attività giornalistica di detenuto semilibero, ha dato voce alle ragioni giuridiche che hanno portato l' ex ministro della giustizia brasiliano a concedere all' ex terrorista lo status di rifugiato politico. «Aspettiamo col fiato sospeso la notizia del no alla riconsegna di un compagno di destino - dice da Parigi Oreste Scalzone, inossidabile leader dei rifugiati italiani -. Per la riaffermazione di un principio e di un precedente. L' appoggio alla causa è incondizionato anche da parte di chi, come me, non ha condiviso le sue ultime scelte di difesa, politicamente e culturalmente poco fondate, oltre che dettate da una intellighenzia di romanzieri abituata a lavorare di fantasia piuttosto che al rigore pertinente della critica».

 


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2 janvier 2011 7 02 /01 /janvier /2011 23:04


de Il Giornale

Scalzone fa festa:“Un sospiro di sollievo”L'ex attivista di Potere Operaio commenta la decisione del governo brasiliano di non concedere l'estradizione per Cesare Battisti: "Sollievo per il precedente e per il principio che si afferma e "felicità fisica".                                                                         Il filosofo francese Henry-Levy. "Lula saggio"Il tuo browser potrebbe non supportare la visualizzazione di questa immagine.  

 

Parigi - Sollievo "per il precedente e per il principio che si afferma" e "felicità fisica". Con queste parole l'ex attivista di Potere Operaio Oreste Scalzone, da anni residente in Francia, ha commentato la decisione del presidente brasiliano Lula di rifiutare l'estradizione di Cesare Battisti in Italia. "Mi rallegro - ha proseguito - per un uomo strappato agli artigli di una volontà di punizione infinita, che in realtà non risarcisce nessuno, ma è solo un'illusione tossica". "Che finisse così era chiaro" secondo Scalzone, che ritiene non esistano per l'Italia ulteriori mezzi di opporsi alla decisione di Lula. "A meno che - ironizza - non si voglia decidere di dichiarare guerra al Brasile". 

 

Henry-Levy: Lula saggio "Mi rallegro della saggezza del presidente Lula. E' una decisione oculata". Lo scrive il filosofo francese Bernard Henri-Levy, in un messaggio sul sito della sua rivista, 'La regle du jeu'. "E' la decisione - prosegue il testo - di un uomo che ha preso il tempo di andare a fondo nel dossier, di verificare le sue numerose irregolarità e di prendere la misura della sua dimensione esageratamente passionale". "Aggiungo che questa decisione - conclude Levy - è un sollievo per quelli che, anche in Italia, si preoccupano di girare la pagina degli anni di piombo o di trattare, questi anni, di pensarli, ma senza passione, con equità ed evitando la terribile logica del capro espiatorio e le sue trappole".  

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31 décembre 2010 5 31 /12 /décembre /2010 14:06

APPEL & notes-1-copie-1
par Oreste Scalzone

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21 décembre 2010 2 21 /12 /décembre /2010 01:01

« Come a piazza statuto ? »Lettera, parlata, filmata, messa « Sulla pubblica piazza » virtuale della « tela ».

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