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10 mars 2007 6 10 /03 /mars /2007 14:57









Centinaia di persone per ascoltare il fiume in piena-Scalzone all'Askatasuna. Non più di 150 (tra magistrati, poliziotti e burocrati) con Chiamparino.
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Più di 300 persone hanno affollato ieri sera il salone del centro sociale Askatasuna per partecipare all'annunciato incontro-dibattito con Oreste Scalzone sui nodi sempre aperti del conflitto sociale apertisi negli anni '70. Compagni e compagne di tutte le generazioni ma anche molti curiosi, mamme, operai in cassa integrazione e giovani precari/e per ragionare è costruire insieme percorsi di conflitto e autonomia possibile nella nostra metropoli. Un'iniziativa che partiva dal pretesto-'77 per aggredire il presente concreto, per pensare e indovinare, come ha detto Oreste ieri sera, "il '77 che potrebbe scoppiare domattina". Nei botta e risposta, molti interventii hanno insistito sulle continuità-rotture del rapporto rimosso '68-'77, sulla legittima rottura della legalità praticata nei (e dai) movimenti di massa, sull'amnistia "per tutti e ciascuno".

Questa mattina si è poi consumata anche la tanto sbandierata iniziativa di "isolamento" pompata dal sindaco Sergio Chiamparino prendendo a pretesto la commemorazione della lapide del commissario Berardi. Non più di 150 persone (di cui almeno 30 tra Digos, vigili urbani e poliziotti in borghese e/o in divisa) hanno preso parte a questa passerella di politicanti e loro lacché. Magistrati che sulla "lotta al terrorismo" si sono costruiti una fortunata carriera e assicurata una pensione d'oro; associazioni di familiari-parenti delle vittime ben inseriti nelle file dei partiti neo-fascisti; i soliti burocrati presenzialisti della triplice (Cgil-Cisl-Uil) senza un solo militante di base o delegato di fabbrica; sindacati di polizia e poliziotti in pensione. Questa la ricchezza di un'iniziativa tutta dettata dall'alto, da un sindaco tutto intento a giocare la carta facile del "pacchetto sicurezza", giocando con le paure e le insicurezze degli abitanti di questa città, senza alcuna vergogna di sedersi ad un tavolo con leghisti e fascisti di turno che nel loro curriculum vantano pestaggi ad immigrati e ronde padane. Un Chiamparino tutto inviperito, supportato anche da una bandiera Ds e una dei Comunisti Italiani, che ha cercato piuttosto malamente di strumentalizzare due petardoni mediatici nel tentativo di frenare un'iniziativa aperta, per nulla nostalgica, tutta aperta al ragionamento e alla discussione su problemi e bisogni concreti che nessuna grande opera, nessun grande evento mediatico, nessun "pacchetto sicurezza" risolverà.

La composizione di questa lugubre iniziativa di lucraggio sui morti ha dimostrato, se ancora ce n'era bisogno, quanto i movimenti (No Tav, Vicenza) stanno maturando in questa fase, quanto lo stesso Oreste e molti/e altri/e  dicono da tampo: la distanza incolmabile tra il "politico costituito" e il "fare comune" e costituente delle lotte, dei movimenti, del conflitto.

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“Non sono tanto demente da sposare la non violenza”
Scalzone: "Maestro no, ma cattivissimo di sicuro"
La Stampa LODOVICO POLETTO, RAPHAEL ZANOTTI

TORINO
«Sono un latitante, e ne vado fiero». Ha esordito così, Oreste Scalzone, ieri sera ospite degli autonomi ad Askatasuna. Davanti a 250 ragazzi pigiati per ascoltarlo è stato inarrestabile, un fiume in piena. Perché d’ora in poi «me ne andrò ovunque come un girovago, e risponderò di sì a tutti gli inviti a parlare. Lo farò con i nemici, figuriamoci se non lo facevo qui, dove sono tra amici». Presentato al pubblico - ragazzi, ma anche gente della sua generazione - fra gli applausi, l’ex leader di Potere operaio ha parlato per tre ore filate. Giacca di velluto nero sotto la quale indossava più strati di maglie, un cappello di feltro, ha parlato del passato e del presente. «Il ‘68 viene sempre osannato, e il ‘77 denigrato. Invece la sua ricchezza non è paragonabile: la spinta propulsiva del ‘68 s’è esaurita quasi subito». Ha riversato sul pubblico una valanga di parole. «Non c’è Chiamparino? Se sapevo non venivo», ha ironizzato. «Se no, qualcuno potrebbe pensare che mi sono strappato i capelli perché lui ha detto che la signora popolazione non mi voleva. Sono pronto a querelare il sindaco, infrangendo una regola che m’ero imposto da sempre. Non ho mai incitato alla violenza».

Gli chiedono come risponde a chi lo definisce un cattivo maestro. «Non sono un maestro. Ma sono cattivo, anzi cattivissimo. Comunque, tutto dipende da chi ti definisce cattivo: bisogna vedere per chi lo sei». Si fa serio: «Alla lotta armata ho detto no, ma non mi sento di dir nulla a un giovane che voglia imbracciare le armi. Se scoppiasse un’insurrezione, potrei essere da una parte della barricata». E ancora: «Non dirò a nessuno che abbia preso uno schiaffo di non darne due». Salta di palo in frasca: «La mia latitanza è cessata il 17 gennaio, e sono rientrato in Italia subito, senza aspettare i documenti, che tra l’altro nessuno mi ha chiesto. La mia vita ormai è in Francia. Ma la lingua italiana è un richiamo troppo forte». Racconta spigolature del suo ritorno a casa. «A Terni ho due sorelle, due signorine di 79 e 80 anni. Erano molto preoccupate, perché il Sap, un sindacato di polizia, in un comunicato diceva che la gente non m’avrebbe voluto. Invece su un centro sociale c’era uno striscione, con su scritto “Benvenuto, Oreste”». Tra i suoi racconti, qualcuno riguarda Torino molto da vicino. «Ecco un altro motivo per cui mi sento a casa. Un libro di Cesare Romiti racconta Mirafiori occupata, nel ‘74. Romiti spiega che si travestì da operaio per fare un giro nei reparti, di nascosto. Poi disse ad Umberto Agnelli: “Qui è meglio sbaraccare tutto, e delocalizzare”. Se Romiti si rammarica che fosse andata così, con la classe operaia, figuriamoci come la penso io». Torna a sfiorare il tema della lotta armata: «Sono molto affascinato dalla non violenza, ma non sono abbastanza demente intellettualmente per cascarci. Il padre di Jospin era un accanito pacifista, e per questo non voleva nemmeno combattere Hitler». Ha parlato anche dei politici di oggi: «Non possiamo considerare Prodi un traditore, né Berlusconi un nano maledetto. Ma i governanti rappresentano sempre il potere».

E poi: «A chi dice che Mani pulite fu una strategia di Occhetto rispondo che non è stata una gran strategia: si sono spostati 15 milioni di voti, abbiamo avuto Berlusconi, e l’Italia, con la scomparsa dei partiti, ha rischiato una deriva autoritaria». Se n’è andato dando un appuntamento: «Venite a Terni il 5 maggio. Parleremo di politica. Faremo una “piazzata”».

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9 mars 2007 5 09 /03 /mars /2007 22:29
Continua la polemica venutasi a creare intorno all'incontro organizzato per stasera al csoa Askatasuna con Oreste Scalzone sul tema "1977-2007: il filo rosso della sovversione". Un'intervista a La Stampa rilasciata ieri dal centro sociale è stata pubblicata oggi dal quotidiano torinese in risposta alle minacce del sindaco Sergio Chiamparino. La riproduciamo qui nella sua interezza.
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"Più gente con Scalzone che con Chiamparino"
I giovani di Askatasuna sfidano il sindaco: "Per noi contano soltanto i rapporti di forza"
RAPHAEL ZANOTTI (La Stampa_9 marzo 2007)

Non abbiamo alcuna paura di confrontarci e nemmeno di scontrarci. Anzi, riteniamo che lo scontro in città porti a uno sviluppo delle coscienze. Vediamo quanta gente seguirà Chiamparino e quanta noi». All’Askatasuna, il centro sociale che ospiterà stasera un incontro con il leader di Potere operaio Oreste Scalzone, si lavora in fretta. C’è da trovare un compagno che entro mezz’ora parta per Napoli. C’è da organizzare due auto per Copenhagen contro l’abbattimento di un centro occupato. E c’è da dare risposta al sindaco di Torino. Prima si rivolvono i problemi logistici, quindi si passa alla «teoria»: il sindaco. In cinque, seduti, si parla.

Cosa pensate dell’appello del sindaco a isolarvi?
«Una boutade perché come sindaco deve apparire. Da dieci anni facciamo politica e cultura a Torino. Abbiamo già organizzato in passato incontri con Renato Curcio e Prospero Gallinari e nessuno ha parlato. Il tentativo di isolarci è ridicolo. Il sindaco non si rende conto che lavoriamo sul territorio da tempo. I suoi riferimenti ai Verdi, a Caruso e a Rifondazioneche ci proteggerebbero sono patetici: non ci piace chi usa la politica per sistemarsi, per noi contano solo i rapporti di forza».

Che forza è quella di Chiamparino?
«È la forza della deriva autoritaria. Ha detto che è tollerante con gli intolleranti. In realtà siamo noi che non tolleriamo più la sua intolleranza nascosta dietro la faccia della democrazia e del buonismo, quella che vuole zittire tutte le voci fuori dal coro».

Perché Oreste Scalzone?
«Siamo convinti sia necessario raccontare gli anni ‘70 e le contraddizioni sorte allora nella società. Ci sono nodi irrisolti ancora oggi. Gli anni ‘70 sono un patrimonio di lotta che va raccontato, ma non - come vorrebbe Chiamparino - solo dalla voce dei giudici, la stessa da 30 anni, ma da quella dei protagonisti».

Qualcuno potrebbe obiettare che non invitate mai i familiari delle vittime...
«C’è già tanta retorica. Molti di quei familiari hanno trovato vetrine nella politica, nelle istituzioni, sui mass media. A noi interessa dare risalto a quella parte della storia che si cerca di rimuovere dalle università, dalla discussione. Poi, è chiaro, è anche una scelta di campo, politica. Siamo convinti che chi combatteva lo faceva per fini giusti».

Lo faceva anche con le armi.
«Bisogna essere chiari: non condividiamo la lotta armata, anche se è giusto che i popoli oppressi imbraccino le armi quando necessario. Non a caso ci chiamiamo Askatasuna, un riferimento alla lotta dei Paesi Baschi. La deriva armata, poi, è uno spettro che viene agitato per annientare gli avversari: Curcio, Gallinari, tutti hanno detto e ripetuto fino alla nausea che l’istanza della lotta armata è stata sconfitta. Quel che disturba Chiamparino è che queste persone non si siano arrese e continuino a lottare per ciò in cui credono».

Si tenta di delegittimarli?
«Siamo alla farsa. Tre bombette mediatiche esplodono alla Crocetta, un’azione che non ha nulla a che fare con la ricchezza dello scontro degli Anni 70 e che il gruppo armato più sfigato del ‘77 si vergognerebbe a rivendicare, e si parla di Anni di Piombo, di guerra. Ma la vera guerra è in Iraq».

Dunque si va allo scontro?
«Ripetiamo, non ci spaventa. La Tav, Vicenza e altre lotte hanno dimostrato quello che Scalzone dice: che c’è una crisi della politica costituita, della delega, della rappresentanza. Noi lavoriamo sul territorio, il sindaco no».
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8 mars 2007 4 08 /03 /mars /2007 20:39
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Oreste Scalzone risponde a Sergio Chiamparino


Oreste Scalzone ha risposto oggi, in una lunga intervista a Radio Blackout, alle accuse lanciategli ieri a mezzo stampa da Sergio Chiamparino, sindaco di Torino, che lo ha definito "predicatore di violenza" e "ospite sgradito" della città.

La polemica è stata originata da un'intervista rilasciata da Oreste ad un giornalista de "La Stampa" in merito all'iniziativa organizzata per venerdì 9 marzo al centro sociale Askatasuna dal titolo "1977-2007: il filo rosso della sovversione. Incontro con Oreste Scalzone".

La sola idea di discutere e ragionare sui nodi aperti del rapporto movimento degli anni '70-scenari attuali scatena le ire e le isterie di chi pensa che la Storia possa essere scritta solo da pentiti e tribunali.

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7 mars 2007 3 07 /03 /mars /2007 13:53
7/3/2007 LA STAMPA - INTERVISTA A ORESTE SCALZONE 
Il leader di Potere Operaio venerdì all’Askatasuna
“Le armi? Tutti le avevamo. Un altro ’77 è possibile”
LODOVICO POLETTO
TORINO

Noi eravamo contro il socialismo reale o capitalismo di Stato. E contro l’egualitarismo, inteso come quello al ribasso, che livella. Noi eravamo rivoluzionari. Ci attaccava il Pci perché eravamo con gli operai della Polonia. Noi dicevamo che l’odio di classe partiva dall’odio dell’operaio verso la sua indigenza e alienazione: noi eravamo operaisti». Parla Oreste Scalzone, anima e fondatore di Potere operaio, rientrato ufficialmente in Italia soltanto da pochi mesi. Parla e spiega il suo mondo, quello degli Anni 70, il Movimento del ‘77. Racconta la sua esperienza, e anticipa ciò che dirà agli autonomi di Askatasuna che lo hanno invitato a Torino a parlare di quegli anni. «Sui muri di Bologna, nel ‘77, comparve una scritta che diceva “Siamo il ‘77 e non il ‘68” con riferimenti all’operaismo e al movimento studentesco. Oggi la questione della precarizzazione non si può arrestare e non si può tornare agli operai. Oggi il terreno dello scontro è questo: la precarizzazione, la globalizzazione, Internet. Questo è 2007 non il 1977».

Insomma siamo a un deja vù, un salto indietro nel tempo?
«In fondo sì, mi sembra un po’ una ripetizione di ciò che accadde allora».

Secondo lei c’è il rischio di una deriva armata oggi?
«Io non la chiamerei deriva, ma sogno o delirio. Comunque se oggi ci fosse questa deriva, e la dico come direbbe Leo Valiani, si spazzerebbe via l’ordine costituito».

Però forse, allora, eravate molti di più?
«Eravamo 150 mila, non di più, anche se qualcuno dice che si era oltre 600 mila. Eravamo questi, anche se, forse, almeno un milione di persone era in qualche modo vicino a noi».

Ha senso, oggi, ripercorrere i fatti del ‘77 e di tutti gli anni che sono seguiti?
«Io vengo a parlare del ‘77 che potrebbe arrivare domani. O meglio, che a mio parere potrebbe arrivare. Oggi è inattuale, assolutamente: ma è lì. E io e sono disposto a raccontare pezzi della mia memoria: dagli Anni 60 in poi».

Viene ad anticipare i tempi?
«Assolutamente no. Questo incontro serve per tentare di capire quello che è stato».

Si sente nostalgico?
«No, non parlo per compiacermi. Non sono per nulla nostalgico. Mi dicono che vivo come allora, e se è vero che vivo così, non mi mancano certamente quelle sensazioni».

Si sente un cattivo maestro?
«Per quelli che mi dicono queste cose, in punto di morte, mi rammaricherò di non esserlo stato abbastanza. E se, per qualcuno, sarò stato un buon maestro, gli risponderò come diceva Gesù: “Tu l’hai detto”. Comunque, il mio vero pensiero è questo: beata la gente che non ha bisogno di maestri. Buoni o cattivi che siano».

Eppure lei, nella sua esperienza, ha impugnato le armi. Non è vero?
«Le armi, a me, sono passate per le mani: lo ammetto. A me come a molti altri».

A tutti quelli che hanno partecipato al movimento del ‘77?
«Guardi, provocatoriamente mi verrebbe da dire di sì. Se si va a spulciare le sentenze di processi vedrà che ci sono pacchi di condanne per reati dalla rapina in su. Insomma: ogni organizzazione ha avuto militanti passati nei gruppi armati. E si sarebbe disonesti nel dire che la questione delle armi, in quegli anni, riguardò soltanto Potere Operaio».
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5 mars 2007 1 05 /03 /mars /2007 12:49
1977-2007 Il filo rosso della sovversione a trent'anni dal '77
Incontro con Oreste Scalzone, Venerdì 9 marzo ore 21
Centro sociale Askatasuna C.so Regina Margherita 47 Torino



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4 mars 2007 7 04 /03 /mars /2007 14:50





 




www.rainews24.rai.it
Bologna scontri al corteo contro il Cpt

Verso le 19.30 si e' sciolta la manifestazione contro il Cpt a Bologna. Non ci sono state altre cariche ma i manifestanti hanno bloccato via Mattei (arteria di grande traffico all'estrema periferia) piantando nella sede stradale tre cartelli con scritto 'Pericolo Cpt', 'Basta lager'e 'Attenzione lager a 200 metri'.
 
I manifestanti hanno forato la sede stradale usando martelli pneumatici e murato nel suolo i cartelli sorretti da un palo. Nello scontro precedente erano rimaste lievemente ferite cinque persone.

Durante la carica la Polizia ha bloccato cinque persone che sono state identificate e immediatamente rilasciate dopo una breve trattativa con i manifestanti che chiedevano il rilascio dei fermati per interrompere i tentativi di arrivare di fronte al Cpt.

Sono state oltre 5.000 le persone che hanno partecipato al corteo. Fra loro anche l'ex leader di Potere Operaio Oreste Scalzone.



www.unita.it
In 10mila al corteo no Cpt. Ma finisce con 5 feriti e 7 fermi

Finisce con sei fermi e cinque feriti, a pochi metri dal Centro di permanenza temporanea di via Mattei a Bologna, la manifestazione nazionale indetta dai movimenti per protestare contro le strutture per immigrati irregolari. Stando alle prescrizioni della Questura, i manifestanti - ragazzi dei centri sociali e non solo arrivati in città da tutta Italia - avrebbero dovuto fermarsi al civico 50 di via Mattei. La parte iniziale del corteo però, come annunciato nei giorni precedenti, arrivata davanti al centro verso le 18, ha provato a sfondare il cordone di polizia. La risposta delle forze dell'ordine è stata dura (anche in questo caso come annunciato): gli uomini in divisa hanno risposto con una dura carica, mentre dalle fila dei manifestanti partivano lanci di sassi, bottiglie e fumogeni. Cinque, tre ragazzi e due ragazze, i feriti trasportati in ambulanza al Policlinico Sant’Orsola.

Per loro nasi rotti e contusioni. Sei le persone fermate, e poi subito rilasciate dopo l’identificazione, dalle forze dell’ordine al termine degli scontri. Dopo la carica, il corteo è arretrato. Gran parte dei manifestanti, diecimila per gli organizzatori, circa la metà per la Questura, si sono dispersi mentre dai megafoni i rappresentanti della “linea dura” incitavano a resistere. «La giornata è ancora lunga, siamo qui per arrivare davanti al Cpt» gridava il leader dei disobbedienti bolognesi Gianmarco De Pieri. Poi, al rilascio dei ragazzi fermati, la protesta si è conclusa con un piccolo colpo di teatro: cinque tute blu, munite di martello pneumatico, hanno piantato e cementato in strada tre cartelli con scritto «Pericolo Cpt», «Basta lager» e «Attenzione lager a 200 metri».

La manifestazione era iniziata, pacifica e colorata, in piazza Nettuno verso le 14.30. Dalle finestre del secondo piano di Palazzo d’Accursio, sede del Comune, era comparso uno striscione con la scritta «Aqui estamos. Centri sociali». Tanti i volti noti dell’antagonismo: dal leader disobbediente del Nordest Luca Casarini ad Oreste Scalzone, che poco prima della partenza del corteo si abbandona ad un commosso abbraccio con il fotografo del '77 Tano D’Amico.



www.ilgiornale.it
Claudia B. Solimei

Bombe carta e feriti per liberare i clandestini

L’epilogo si consuma a colpi di manganello a cento metri dal Centro di permanenza temporanea per clandestini di via Mattei, periferia est di Bologna. La prima linea del corteo nazionale dei centri sociali, protetta a testuggine da pannelli di compensato e plexiglas, i volti coperti da fazzoletti e passamontagna, forza la zona rossa imposta dalla Questura. Sulle protezioni con cui si fanno scudo i duri c’è lo slogan della manifestazione: «Chiudere tutti i Cpt. Governo Prodi, giunta Cofferati, vergogna». La polizia e i carabinieri rispondono caricando.
I manifestanti lanciano bombe carta, pietre e bottiglie di vetro ma vengono spinti indietro per un centinaio di metri. Poi agenti e manifestanti restano a fronteggiarsi per almeno un’ora, fino a quando il corteo si scioglie. Non prima, però, di un’altra azione dimostrativa: protetti dai fumogeni rossi e armati di martelli pneumatici, alcuni giovani piantano in mezzo a via Mattei, arteria di grande traffico della città, tre cartelli con scritto «Pericolo Cpt», «Basta lager» e «Attenzione lager a 200 metri». Alla fine dello scontro il bilancio è di cinque giovani identificati, ma subito rilasciati, e di cinque feriti, tutti tra i manifestanti. Ci sono anche due ragazze, che sanguinano vistosamente alla testa e si lamentano cercando di sfilarsi dal parapiglia. Il divieto della Questura di Bologna era stato netto fin dall’inizio: vietato spingersi davanti al Cpt. E fino all’ultimo la Digos, guidata dal vicequestore Vincenzo Ciarambino, ha tentato di mediare, proponendo a una folta delegazione di appendere uno striscione alla struttura. Nulla da fare, però.
I centri sociali, arrivati in città nel primo pomeriggio su treni e pullman da Milano, dal Veneto, da Firenze, dalle Marche e dal resto dell'Emilia, avevano qualcosa da dimostrare: «Con questa manifestazione si apre una fase nuova - annuncia Luca Casarini, leader storico dei Disobbedienti veneti - è finita la gestione creativa di lotta e di governo per quei partiti che per stare al potere si sono rimangiati quello che facevan fino a due anni fa».
Il riferimento è a Rifondazione comunista, ma pure a Verdi e Comunisti italiani, che  per la prima volta non hanno aderito alla manifestazione contro i Cpt. «Meglio così per noi. Li hanno richiamati all’ordine - ironizza Casarini - è finita la farsa». Poi avverte che la rottura non si ricomporrà facilmente: «Prima di tornare a manifestare dovranno spiegare molte cose. È una vergogna avere costruito una fortuna elettorale sfilando contro la guerra e contro i Cpt e poi preferire il potere invece di cambiare le cose». Il movimento antagonista sancisce così l’addio ai partiti della sinistra radicale.
Il corteo, oltre cinquemila persone (per gli organizzatori diecimila), è partito a metà pomeriggio dal cuore di Bologna, piazza Maggiore, e ha sfilato per cinque chilometri fino a via Mattei. Gli slogan erano tutti contro il governo Prodi, accusato di avere tradito le promesse elettorali sul destino dei Cpt, il disegno di legge Amato-Ferrero sull’immigrazione, che non abolirà la detenzione amministrativa dei clandestini, e Sergio Cofferati, «sindaco di destra». La manifestazione è passata a qualche centinaio di metri dalla casa di Romano Prodi, letteralmente blindata da ben undici mezzi della polizia e da un cordone di agenti in tenuta antisommossa. Prima di partire, invece, due «guastatori» erano riusciti a intrufolarsi nel palazzo del Comune e ad appendere a due finestre un lungo striscione con la scritta «A qui estamos». Sotto, in piazza, solo giovani dei centri sociali e le bandiere dei sindacati di base. Nessun poltico nazionale, come il sottosegretario dei Verdi Paolo Cento che in passato non era mai mancato, e pochissimi quelli locali, tra cui il consigliere comunale e movimentista del Prc Valerio Monteventi, reduce dal gran rifiuto al sindaco Cofferati di un posto nella sua giunta: «Sono qui perché la ritengo una battaglia sacrosanta che porto avanti fin dal 1999».

C’era, invece, Oreste Scalzone, l’ex leader di Potere operaio appena rientrato in Italia dopo una lunga latitanza in Francia: «Cofferati? Mi ricorda Lama, che quando si presentò venne respinto come era giusto - spiega -. È passato da sindacalista e contestatore a rappresentante dell’ordine e mi sembra piuttosto squallido».

La7
IN MIGLIAIA A BOLOGNA PER CHIUSURA CPT, ANCHE SCALZONE

Bologna, 3 mar. (Apcom) - Con lo striscione 'Nessun lager sulle nostre terre' è partito intorno alle 16 da piazza Maggiore a Bologna il lungo corteo che raggiungerà il Centro di permanenza temporaneo della città in via Mattei, alla periferia sud-est. Tante le persone arrivate da molte città: Venezia, Firenze, Milano e poi ancora dal Friuli, dalle Marche, da Roma e da Genova. Tra i manifestanti Luca Casarini e, fotografato e abbracciato dai tanti manifestanti, Oreste Scalzone. "Non accettiamo divieti - ha dichiarato Casarini riferendosi proprio alla richiesta avanzata dalla Questura di rimanere ad una distanza di oltre 100 metri dal Cpt -. Credo sia giusto avvicinarci, quelli non sono santuari ma lager. Cercheremo di mettere lo striscione. Siamo qui proprio, e soprattutto, per farci sentire da chi lì dentro è rinchiuso". Secondo il leader dei disobbedienti alla manifestazione partecipano oltre 3mila persone, 1.500 per la Questura.

Ulteriori informazioni riperibili su:
Corriere di Bologna - La Repubblica - Il Manifesto - Resto del Carlino - Liberazione
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3 mars 2007 6 03 /03 /mars /2007 03:28
Bologna
Domenica 4 Marzo 2007 dalle ore 20.30 a Vag61

"Il giornale immaginario"
di Oreste Scalzone
2° puntata
Domenica 4 marzo 2007, alle ore 20,30
a Vag 61, via Paolo Fabbri 110
A voce alta, parlando in piedi, in maniera quasi estenuante Oreste Scalzone proporrà un'assemblea/giornale immaginario.


Oreste Scalzone, nel primo incontro del 24 febbraio (una specie di jam session della parola durata più di cinque ore) ha detto che ha ancora tante cose da dire (fino ad ora non si è arrivati nimmeno alla conclusione del preambolo) e, quindi, come aveva promesso, ritornerà da pendolare, come i teatranti con i loro carri o come gli agitatori politici di un tempo e tornerò non per cercare rivalse o regolamenti di conti, ma per dare più decibel a battaglie di libertà.

Io andrò solo, a voce nuda, farò quello che so fare: con un megafono o con le mani a cartoccio, nei teatri, negli squat, nelle università, se mi chiamano, andrò a reclamare libertà. Non farò il pendolare con due cuori (uno in Francia e uno in Italia), ma il girovago, il nomade come i guitti di una volta, farò il "Giornale Immaginario", da Bologna a Parigi passando per Palermo?


Nei locali parigini, in piccoli teatri e in qualche bistrot, in questi anni Oreste Scalzone ha riproposto il suo "Giornale Immaginario", un lungo monologo (anche cantato) accompagnato dal suono della fisarmonica. Oreste è un grande narratore, figlio d'un grande narratore e, forse, è anche un attore mancato. Insomma, un artista della parola, prima ancora d'essere un militante politico e uno degli animatori dei movimenti degli anni sessanta e settanta.

E ha già promesso, che se la cosa interessa, potrà essere a Bologna una volta alla settimana... e non è una minaccia...

 
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23 février 2007 5 23 /02 /février /2007 14:11
Sabato 24 febbraio 2007 il Vag61 ospita il "giornale immaginario" di Oreste Scalzone
www.bandieragialla.it
 
Sabato 24 novembre il Vag61 ospita il "giornale immaginario" di Oreste Scalzone, tra i fondatori insieme a Toni Negri di Potere Operaio e Autonomia Operaia, appena rientrato in Italia dopo 27 anni di esilio a Parigi.

Scalzone, come dichiarato appena appresa la notizia della prescrizione dei reati contestatigli in Italia, ha già iniziato a girare l'Italia "da pendolare, come i teatranti con i loro carri o come gli agitatori politici di un tempo, non per cercare rivalse o regolamenti di conti, ma per dare più decibel a battaglie di libertà". Non senza difficoltà: pochi giorni fa la Facoltà di Lettere e Filosofia della Sapienza, a Roma, è stata chiusa dal preside nel tentativo di impedire un'assemblea a cui Scalzone era stato invitato.

Deciso a proseguire la sua storia di agitatore politico Scalzone presenterà anche a Bologna la sua assemblea/giornale immaginario, un lungo monologo (anche cantato con l'accompagnamento della sua inseparabile fisarmonica) che negli anni parigini ha attraversato piccoli teatri e bistrot, mettendo in mostra le sue notevoli doti di narratore.
Alle 18,30 al Vag61 di via Paolo Fabbri 110.

Per informazioni
info@vag61.info

www.vag61.info
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20 février 2007 2 20 /02 /février /2007 18:52
Di Vincenzo Sparagna

Premesso che considero il viaggio di Oreste Scalzone in Italia un successo che è andato oltre anche le mie (già comunque ottimistiche…) previsioni; premesso altresì che questo pone problemi nuovi, che spero verranno affrontati da tutti i compagni e gli amici con maturità e determinazione, forse è utile una brevissima osservazione sull’intervento di Scalzone nello studio di Sky alla vigilia di Vincenza. Non entro nel merito delle tante cose giuste e importanti dette da Oreste. Vorrei piuttosto sottolineare che la comunicazione televisiva è anche una comunicazione di sguardi, espressioni e caratteri. E, in questo senso, credo che bene abbia fatto Oreste, sia pure entro la misura che sta al di qua della rissa televisiva classica, a far sentire nel finale la sua indignazione per la superficialità e la stupidità sorridente del vicedirettore di Libero. Certe volte il grido, quando viene dal profondo di uno stato d’animo sincero, ha più forza comunicativa della pacatezza.
Dico questo non per invitare Oreste alle escandescenze, visto che una delle sue armi più efficaci è sicuramente il sorriso semplice e buono, ma per invitare tutti a non dare giudizi affrettati o superficiali.
La politica, tra le mille altre cose, è l’arte di convincere.
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19 février 2007 1 19 /02 /février /2007 22:39
Comunicato di Oreste Scalzone 19 febbraio 2007

Ero stato invitato oggi, alle ore 20,30, negli studi di Telelombardia, dove avrebbe dovuto aver luogo un dibattito, cui erano invitati il ministro Di Pietro, l’ex ministro Scaiola, il deputato Ignazio La Russa di AN e Ramon Mantovani di Rifondazione Comunista.

Mentre il conduttore poneva le sue prime domande, dalla sala, qualcuno ha gridato “vi pagavano dall’Italia”, alludendo ai rifugiati in Francia. Allora mi sono alzato per invitarlo a ripetere la sua accusa, che egli ha affermato non essere rivolta a me. Ho insistito: “ Dica allora chi pagava chi…”, ma l’uomo ha evitato di rispondere e di fronte a un pubblico sconcertato c’è stata l’interruzione pubblicitaria. Nell’intervallo il conduttore mi ha detto che c’era un ultimatum di Di Pietro: “Lui o io” (probabilmente era imbarazzante per Di Pietro doversi muovere tra un estremista come me e un legionario berlusconiano come Scaiola…).

In ogni caso ho subito dichiarato che sarei uscito io, dopo aver fatto una dichiarazione. Tornati in diretta il conduttore ha però dato prima la parola a Scaiola, che si è lanciato in insulti gratuiti (da querela, ma io non faccio querele…) come assassino (non sono mai neanche stato accusato di ciò) e persona che aveva cercato di non pagare il suo debito con la giustizia (cosa che detta da un amico di Previti e Berlusconi, i quali hanno fatto di tutto per evitare i loro processi e sfuggire a condanne…è alquanto paradossale…). Subito dopo Ramon Mantovani ha replicato, osservando che a mi  ha dato asilo uno stato democratico, quello francese, che aveva compreso il carattere politico dello scontro civile in Italia. Infine ho potuto fare la mia dichiarazione, che riassumo qui in tre punti.

Primo. Rispetto alla manifestazione di Vicenza, avevo martellato per una settimana che non avrei tollerato bandiere bruciate, né slogan tipo 10/100/1000 Nassirya, che considero fenomeni aberranti.
E avevo detto che anche chi avesse voluto proprio tirare dei sassi non doveva certo farlo a Vicenza, vista la evocazione ministeriale di “pericoli” e “scontri”, che sembrava quasi pronosticarli. Ebbene a Vicenza queste cose non si sono viste. Merito mio? No, ma va ricordato che il mio invito a non cadere nella rete degli scontri annunciati l’avevo già lanciato altre volte, come a Bologna nel ’77, dove c’ero e non accadde nulla. E a Genova per 2001, dove non c’ero e accadde quello che accadde.

Secondo. Posso accettare e accetto qualsiasi definizione, anche impropria, come “terrorista”, visto che sempre più spesso le parole vengono usate senza più badare al loro vero significato. Non accetto tuttavia la calunnia e gli insulti gratuiti, da ciò la mia reazione alla frase “vi pagavano”.

Terzo. Ho fatto notare la sfrontatezza di un ex ministro come Scaiola, che dovette lasciare l’incarico per aver definito Marco Biagi “un rompicoglioni paranoico”. Che lui, amico di Berlusconi e Previti, dica a me che “conciono” e che mi sono sottratto alla pena mi pare risibile.

(Preghiamo di dare al comunicato massima diffusione)

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