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Più di 300 persone hanno affollato ieri sera il salone del centro sociale Askatasuna per partecipare all'annunciato incontro-dibattito con Oreste Scalzone sui nodi sempre aperti del conflitto sociale apertisi negli anni '70. Compagni e compagne di tutte le generazioni ma anche molti curiosi, mamme, operai in cassa integrazione e giovani precari/e per ragionare è costruire insieme percorsi di conflitto e autonomia possibile nella nostra metropoli. Un'iniziativa che partiva dal pretesto-'77 per aggredire il presente concreto, per pensare e indovinare, come ha detto Oreste ieri sera, "il '77 che potrebbe scoppiare domattina". Nei botta e risposta, molti interventii hanno insistito sulle continuità-rotture del rapporto rimosso '68-'77, sulla legittima rottura della legalità praticata nei (e dai) movimenti di massa, sull'amnistia "per tutti e ciascuno".
Questa mattina si è poi consumata anche la tanto sbandierata iniziativa di "isolamento" pompata dal sindaco Sergio Chiamparino prendendo a pretesto la commemorazione della lapide del commissario Berardi. Non più di 150 persone (di cui almeno 30 tra Digos, vigili urbani e poliziotti in borghese e/o in divisa) hanno preso parte a questa passerella di politicanti e loro lacché. Magistrati che sulla "lotta al terrorismo" si sono costruiti una fortunata carriera e assicurata una pensione d'oro; associazioni di familiari-parenti delle vittime ben inseriti nelle file dei partiti neo-fascisti; i soliti burocrati presenzialisti della triplice (Cgil-Cisl-Uil) senza un solo militante di base o delegato di fabbrica; sindacati di polizia e poliziotti in pensione. Questa la ricchezza di un'iniziativa tutta dettata dall'alto, da un sindaco tutto intento a giocare la carta facile del "pacchetto sicurezza", giocando con le paure e le insicurezze degli abitanti di questa città, senza alcuna vergogna di sedersi ad un tavolo con leghisti e fascisti di turno che nel loro curriculum vantano pestaggi ad immigrati e ronde padane. Un Chiamparino tutto inviperito, supportato anche da una bandiera Ds e una dei Comunisti Italiani, che ha cercato piuttosto malamente di strumentalizzare due petardoni mediatici nel tentativo di frenare un'iniziativa aperta, per nulla nostalgica, tutta aperta al ragionamento e alla discussione su problemi e bisogni concreti che nessuna grande opera, nessun grande evento mediatico, nessun "pacchetto sicurezza" risolverà.
La composizione di questa lugubre iniziativa di lucraggio sui morti ha dimostrato, se ancora ce n'era bisogno, quanto i movimenti (No Tav, Vicenza) stanno maturando in questa fase, quanto lo stesso Oreste e molti/e altri/e dicono da tampo: la distanza incolmabile tra il "politico costituito" e il "fare comune" e costituente delle lotte, dei movimenti, del conflitto.
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“Non sono tanto demente da sposare la non violenza”
Scalzone: "Maestro no, ma cattivissimo di sicuro"
La Stampa LODOVICO POLETTO, RAPHAEL ZANOTTI
TORINO
«Sono un latitante, e ne vado fiero». Ha esordito così, Oreste Scalzone, ieri sera ospite degli autonomi ad Askatasuna. Davanti a 250 ragazzi pigiati per ascoltarlo è stato inarrestabile, un fiume in piena. Perché d’ora in poi «me ne andrò ovunque come un girovago, e risponderò di sì a tutti gli inviti a parlare. Lo farò con i nemici, figuriamoci se non lo facevo qui, dove sono tra amici». Presentato al pubblico - ragazzi, ma anche gente della sua generazione - fra gli applausi, l’ex leader di Potere operaio ha parlato per tre ore filate. Giacca di velluto nero sotto la quale indossava più strati di maglie, un cappello di feltro, ha parlato del passato e del presente. «Il ‘68 viene sempre osannato, e il ‘77 denigrato. Invece la sua ricchezza non è paragonabile: la spinta propulsiva del ‘68 s’è esaurita quasi subito». Ha riversato sul pubblico una valanga di parole. «Non c’è Chiamparino? Se sapevo non venivo», ha ironizzato. «Se no, qualcuno potrebbe pensare che mi sono strappato i capelli perché lui ha detto che la signora popolazione non mi voleva. Sono pronto a querelare il sindaco, infrangendo una regola che m’ero imposto da sempre. Non ho mai incitato alla violenza».
Gli chiedono come risponde a chi lo definisce un cattivo maestro. «Non sono un maestro. Ma sono cattivo, anzi cattivissimo. Comunque, tutto dipende da chi ti definisce cattivo: bisogna vedere per chi lo sei». Si fa serio: «Alla lotta armata ho detto no, ma non mi sento di dir nulla a un giovane che voglia imbracciare le armi. Se scoppiasse un’insurrezione, potrei essere da una parte della barricata». E ancora: «Non dirò a nessuno che abbia preso uno schiaffo di non darne due». Salta di palo in frasca: «La mia latitanza è cessata il 17 gennaio, e sono rientrato in Italia subito, senza aspettare i documenti, che tra l’altro nessuno mi ha chiesto. La mia vita ormai è in Francia. Ma la lingua italiana è un richiamo troppo forte». Racconta spigolature del suo ritorno a casa. «A Terni ho due sorelle, due signorine di 79 e 80 anni. Erano molto preoccupate, perché il Sap, un sindacato di polizia, in un comunicato diceva che la gente non m’avrebbe voluto. Invece su un centro sociale c’era uno striscione, con su scritto “Benvenuto, Oreste”». Tra i suoi racconti, qualcuno riguarda Torino molto da vicino. «Ecco un altro motivo per cui mi sento a casa. Un libro di Cesare Romiti racconta Mirafiori occupata, nel ‘74. Romiti spiega che si travestì da operaio per fare un giro nei reparti, di nascosto. Poi disse ad Umberto Agnelli: “Qui è meglio sbaraccare tutto, e delocalizzare”. Se Romiti si rammarica che fosse andata così, con la classe operaia, figuriamoci come la penso io». Torna a sfiorare il tema della lotta armata: «Sono molto affascinato dalla non violenza, ma non sono abbastanza demente intellettualmente per cascarci. Il padre di Jospin era un accanito pacifista, e per questo non voleva nemmeno combattere Hitler». Ha parlato anche dei politici di oggi: «Non possiamo considerare Prodi un traditore, né Berlusconi un nano maledetto. Ma i governanti rappresentano sempre il potere».
E poi: «A chi dice che Mani pulite fu una strategia di Occhetto rispondo che non è stata una gran strategia: si sono spostati 15 milioni di voti, abbiamo avuto Berlusconi, e l’Italia, con la scomparsa dei partiti, ha rischiato una deriva autoritaria». Se n’è andato dando un appuntamento: «Venite a Terni il 5 maggio. Parleremo di politica. Faremo una “piazzata”».