Il Foglio 7-2-2007
Non che proprio fosse indispensabile, questo tour in camper di Oreste Scalzone, su e giù per la penisola, “un rito da decostruire”, come dice, alla ricerca di compagni, di lapidi e di contraddizioni altrui. Come riconosce lui stesso, “sono un pessimo maestro”, che forse è come dire “cattivo maestro”, o forse no. Ma fa lo stesso. Perché va bene che si è fatto 27 anni di latitanza (o di esilio, questioni di punti di vista), ma in poche ore ha alluvionato giornali e agenzie con dichiarazioni su dichiarazioni, da Reggio Emilia (intesa: morti di) in avanti, ha detto di tutto e di più, ha scandalizzato e ha stupito. Ma almeno, Scalzone ha questo che parecchi della fighetteria che fu rivoluzionaria durante l’infelice stagione sovversiva neanche si sognano: che può scandalizzare i suoi stessi compagni e può stupire, persino positivamente, i suoi stessi avversari.
E’ tale e quale a trent’anni fa, Scalzone, e magari va per le strade di un’Italia che pensa come quella di trent’anni fa. Ma con la sua fisarmonica, il suo cappelluccio, la sciarpona rossa, le serenate davanti al carcere per i suoi amici in cella, mostra a volte una quasi surreale forma di “innocenza” che lo porta a diventare sovversivo verso un piccolo mondo che – ma poi chissà se è così – da lui si aspetta tutt’altro. Ieri, per esempio, ha parlato della manifestazione contro la base Usa di Vicenza.
Ma non ha tromboneggiato, come certi che adesso si godono lo scranno parlamentare. “Se va a finire a sassate, sono sincero, la cosa non mi impressiona più di tanto. Però se qualcuno si mette a bruciare una bandiera americana, solo perché americana, io sarò tra quelli che l’andranno a spegnere, così come contesterò cori idioti del tipo ‘10-100-1000 Nassiriyah’. Sono cose che non hanno niente di rivoluzionario perché sono mosse da risentimento”.
Ecco, non è che il cattivo maestro si sia fatto buono, ma alla faccia di certi opportunisti istituzionalmente titolati, qualcosa di più, e di più vero, ha saputo dire. Così come ha aperto un fronte – nientemeno che sulla pericolosità dell’odio di classe – con il compagno poeta Edoardo Sanguineti, definito senza tanti giri di parole “demagogo volgare e irresponsabile”.
Che magari tutto si poteva aspettare, ma che il tormentone sulla contestata dichiarazione dovesse arrivare da un ex latitante, forse non lo aveva messo in conto. “Lascia perdere – ha consigliato ieri al candidato sindaco di Rifondazione a Genova, peraltro durante una conferenza stampa organizzata da Liberazione – Se dici che sei contro ogni tipo di violenza fammi la cortesia di lasciare a casa l’odio di classe”.
Perciò, se non ci fosse dietro la tragedia degli anni di piombo, di tante vittime innocenti, di una violenza che mai sembra del tutto finita, sarebbe a dir poco divertente il contrappasso che tocca a tanti ex rivoluzionari: il fiato sul collo, e su certi temi persino più giudizioso del loro dire e non dire, di un compagno al quale possono rimproverare molto, ma né il tradimento della causa né l’opportunismo conveniente. Vabbè, certo che Scalzone parla di rivoluzione, figurarsi che voleva vedere Prospero Gallinari – però senza fare il furbetto sulla tragedia di Moro che marchia Gallinari: “Se lui è un assassino, allo stesso modo lo sono anch’io” – e la serenata è per Paolo Persichetti, estradato da Parigi anni fa e in carcere a Viterbo.
E pure ilPci responsabile dei morti di Reggio Emilia, giù giù fino a Veltroni e D’Alema che “ne fanno parte oggi”. Ma tutto questo, in fondo, era quello che si aspettava e quello che non stupisce.
Un sessantenne che da decenni proclama la rivoluzione – con annessi e connessi, feroci e ingiusti, sangue e parole – la rivoluzione riprova a fare. Più inutilmente dell’altra volta, ma pazienza. La meraviglia è il fronte scalzoniano a sinistra, non tanto con l’ex Pci, quello c’era pure trent’anni o quarant’anni fa, ma con i compagni che volevano dare l’assalto al cielo o quelli che oggi magari vorrebbero dare l’assalto ai poliziotti. Con felice metafora, ha detto Scalzone: “La ricreazione è finita. Sarò come la spina nella zampa di un cane”. Cattivo maestro, senza dubbio, che però non se la tira. Diciamo: il migliore dei cattivi maestri. (sdm)