Marina a été arretée mardi 21 août. Incarcérée depuis à la prison de Fresnes, elle est sous le coup d’une procédure d’extradition à la demande du gouvernement italien. Elle est une réfugiée italienne. Agée de 53 ans, mère de deux filles, elle vit depuis 1993 en France, où en 1998 lui à été octroyée une carte de séjour de dix ans. Au fil des ans, elle s’est inves- tie dans son métier d’assis- tante sociale auprès de plu- sieurs mairies et associations de la région parisienne. Il y a trente ans, en Italie, elle a été de ces dizaines de milliers de jeunes, de militants, des prolé- taires, d’hommes et femmes dont la révolte contre l’Etat et le capital a été jusqu’aux armes. Poursuivis par une jus- tice d’urgence, c’est à dire dans le cadre d’un «état d’ex- ception»inavoué (60 000 pro- cès, 6000 prisonniers polit ques), parfois après des années de prison (Marina a passé 8 ans en détention préventive), plusieurs centaines d’hommes et femmes se sont réfugiés en France où le Président de la République affirmait le «refus de toute extradition politique». Alors que l’Etat italien s’est enferré dans le refus d’une amnis- tie pour les condamnés pour les agissements, et notamment les faits d’armes, des années 60 et 70, cette politique d’asile de la France a été maintenue sans interruption vingt ans durant et dans des contextes politiques divers. Cette politique a pour- tant été renversée, son principe concrètement bafoué en août 2002, quand Paolo Persichetti a été remis aux autorités italiennes, puis deux ans plus tard, avec la tentative d’extradition de Cesare Battisti. Aujourd’hui, c’est au tour de Marina d’être incarcérée. Et on voudrait la livrer à un Etat qui ins- trumentalise les victimes et leur douleur pour construire une «justice infinie» qui revient à une infinie vengeance. Car en agitant le spectre qu’” autrement, il serait impossible aux proches des vic- times de faire leur travail de deuil”, l’Etat italien a imposé, en lieu et place des anciennes «parties civiles», le droit absolu et le devoir sacré des victi- mes à poursuivre indéfiniment leur quête de puni- tion. Alors même que la loi sur le repentir a produit un véritable “marché des indulgences”, on a subrepticement aboli le caractère fini de la peine:la possibilité d’une loi d’amnistie est désormais considérée scandaleuse et même l’idée de “pres- cription de peine” est devenue tabou. Marina risque la réclusion à perpétuité pour des faits datant d’il y a 25 ans. En effet, les tenants de la solution pénale aux conflits sociaux et politiques – autant que à tout ‘mal-de-vivre’ –, continuent à donner le ton en Italie, droite et gauche, société politique et ordre judiciaire confondus. Pourtant, ce sont ces même “gens d’en- haut” (politiciens, Opinion-makersau premier rang, s’appelant «classe dirigeante»par eux mêmes...) qui prêchent partout dans le monde - du Rwanda aux territoires palestiniens occupés, en passant par l’Irlande, l’Espagne, la Turquie - les vertus de l’oubli et du renoncement à la vengeance (donc ce qu’en droit est appelé «oubli judiciaire», «renoncement à la peine») aux fins que des sociétés, des groupes humains puissent respirer, recommencer à vivre...En revanche, dans le cas de cette poignée de gens ayant trouvé refuge en France, ils considè- rent que le temps est comme arrêté, que le crime est imprescriptible. Collectif solidarité pour Marina Affiche de Tardi pour Paolo Persichetti
Ahmed, compagnon de vie de Marina et pére de sa fille cadette Emmanuelle, a dècidé d’entamer, a partir de ven- dredi 2 novembre 2007, jour de son anniversaire, une grève de la faim pour attirer l’attention sur l’affaire Marina.“Les média mettent une personne sous le feu de la rampe pendent quel- que jours, puis les lumières s’éteignent sur celle qu’a été la proie du dispositif spectaculaire, et elle revient dans l’opacité, dans laquelle toute iniquité et arbitraire peuvent se passer sous silence, sans être dérangés. La grève de la faim est un geste d’usage de son corps comme ëarme communicationnelleí : un moyen de briser ce silence feutré, de tenter de parvenir à com- muniquer d’une façon élargie avec les gens du commun...” Ahmed, compagno di vita di Marina, padre della sua figlia minore, Emmanuelle, ha deciso d’iniziare, venerdi 2 dicembre, giorno del suo compleanno, uno sciopero della fame per attirare l’attenzione sul caso di Marina. “I media mettono una persona, la sua vita, il suo mondo, sotto le luci crude della ribalta per un giorno, quando aggrada... E quando l’interesse voyeristico Ë esaurito, si spengono le luci piombando quella che Ë stata una “preda” del dispositivo spettacolare nell’opacità, in cui ogni iniquità o arbitrio puo’ passare sotto silenzio, indistur- bato. Lo sciopero della fame è un gesto di uso del proprio corpo come “arma comunicativa” : un mezzo per rompere questo silenzio, e tentare di stabilire una comunicazione allargata con “la gente comune”...” | | Marina è una rifugiata italiana di 53 anni, madre di due figlie, che vive in Francia dal 1993, e alla quale nel 1998 è “stata consegnata” un permesso di soggiorno di 10 anni. Durante tutti questi anni Marina ha svolto l’attività di assistente sociale, lavorando a più riprese con diversi comuni ed associazioni della regione pari- gina. Trent’ anni fa, in Italia, lei come altre migliaia di giovani, di militanti, di proletari, di uomini e di donne si sono ribellati conto lo Stato ed il capitale prendendo le armi. Nel decennio seguito al sessantotto, pi ̆ di trent’anni fa, in Italia, la rivolta di decine di migliaia di giovani, di militanti, di proletari, uomini e donne che si sono ribellati contro il capitale e lo Stato è arrivata, per una larga parte di loro, fino alle armi. Marina ha fatto parte di questa onda lunga. La risposta Ë stata una giustizia “d’’emergenza”, che ha instaurato uno “stato d’eccezione” inconfes- sato e per ciò stesso più pervasivo e senza limitazioni (60.000 processi con oltre 6000 prigionieri politici: le cifre ne d‡nno la misura). C’è stato un uso generalizzato di anni e anni di carcerazione preventiva, resa necessaria da processi monstre di natura squisitamente politica, in un involucro giudi- ziario divenuto mero simulacro (Marina ha patito 8 anni di carcerazione preventiva : durata talmente lunga, da comportare l’ob- bligo della scarcerazione per decorrenza dei termini). Ad una situazione di questo tipo, centinaia di uomini e donne hanno scelto di sottrarsi, sfuggendo alla caccia poliziesca : chi ha potuto ha scelto come linea-di-fuga quella dell’espatrio, e poi o apertasi l’insperata possibilità di trovare un “porto” o di riparare in Francia, dove un Presidente della Repubblica aveva affermato il principio del “rifiuto a tutte le estradizioni politiche”, e argomen- tato il perché esso dovesse valere anche per i fuggiaschi da paesi dell’Unione Europea, nella fattispecie dall’Italia. Poiché lo Stato italiano negli anni si Ë arroccato sulla posizione di rifiuto totale di una amnistia per i reati riconducibili a quel periodo di sovversione che ha attraversato gli anni 60 e 70 della storia italiana (periodo arrivato ad una sorta di latente stato insurrezionale, che qualcuno ha definito “guerra civile a bassa inten- sità”), i governi succedutisi in Francia hanno ritenuto per oltre 25 anni di non sconfessare e rovesciare la politica d’asilo enunciata dal Presidente Mitterrand. Questa politica è stata disattesa ed esplicitamente revocata nell’agosto del 2002, quando Paolo Persichetti è stato estradato in Italia. Acio’ha fatto seguito il tentativo di estradizione di Cesare Battisti. Oggi è toccato a Marina. Incarcerata per essere consegnata ad uno Stato il cui ceto politico e di governo, in un disperato tentativo di autolegittimazione, strumentalizza il dolore delle vittime inalberando il vessillo di una “giustizia infinita”, che traduce un’ossessione di infinita vendetta. Ciò gronda abie- zione - si pensi allo spettro agitato di una ‘impossibilità dell’elaborazione del lutto da parte dei familiari delle vittime ... Ciò costituisce oltretutto fel- lonia rispetto ai propri presupposti, poiché è, per sovrammercato, “antigiu- ridico” e “incostituzionale”. Portando le “parti lese” a debordare ben oltre i limiti della “parte civile”, per trincerarsi dietro un diritto assoluto che al contempo è dovere sacro delle vittime a perseguire all’infinito la loro sete di punizione che diventa supplizio per tutti, vittime e carnefici veri e pre- sunti , si chiude il cerchio di un dispositivo fondato sulla sostanziale impu- nità per chi ha scelto — riscrivendo la cronaca e modificando la storia, ris- crivendo una verità fantasmatica — di aderire a questo rito collettivo di impossibile catarsi e repressione infinita. Da quando le leggi che premiano la collaborazione hanno prodotto un vero mercato delle indulgenze giudi- ziarie, dal diritto e dalla politica italiana è stata sostanzialmente cancellata la possibilità di fare una legge di amnistia, rendendo scandalosa perfino l’idea della prescrizione della pena ( nonché perfino — cosa assai graveper qualsivoglia società e gruppo umano — abolendo la pensabilità stessa di una possibile fine pena senza “pentimento”). Marina rischia la reclusione perpetua (fine pena: mai...) per fatti risalenti ad oltre 25 anni fa. In effetti la deriva imposta dalla ideologia della soluzione penale ad ogni costo per dirimere i conflitti politici e sociali - oltre che il mal di vivere di una intera società - continuano a rendere l’azione del ceto politico, e più in generale istituzionale, italiano assai confusa. Funzioni di governo, poteri “politici”, ordine giudiziario, si condizionano, si incalzano, competono, finendo a spingere la risultante in un’unica direzione, che è quella di una sorta di “delirio pan-penalistico”, nutrito di populismo “giustizierista”. Gli araldi delle “classi ” — politici, opinion makers, intellettuali — che pur pre- dicando per tutto il mondo, dal Rwanda ai territori palestinesi occupati, passando per l’Irlanda, la Spagna, la Turchia, il dovere di ‘oblio e di rinun- cia alla vendetta (cio’ che in termini giudiziari è detto “oblio giudiziario” e “rinuncia alla pena”) come unico modo per queste società di costruirsi un futuro, sono del tutto incapaci di applicare il medesimo principio in casa propria (dove peraltro non si puo’ non rilevare che le ferite sono, come entità numerica quantomeno, obiettivamente minori). E’possibile accet- tare il fatto che solo per il pugno di persone ormai rimaste tra quanti si erano rifugiati in Francia il tempo debba essersi come arrestato? Possibile che si debba sopportare che i loro atti vengano considerati come “impres- crittibili”, alla stregua di quanto vale per i “crimini contro l’umanità” ? Dovremo parlare, discutere di molte cose : di storie d’estradizione; di tossicomania punitiva della «Giustizia infinita»; di catastrofe mentale, etica, umana, prodotta dall’ideologia della soluzione penale come panacèa universale (prodotto ‘di sostituzione’ che sussume l’odio per la propria condizione conformandolo nella modalità più subaltena e degradante : come avviene in ogni guerra tra poveri, ogniqualvolta si esorcizza la potenza di vita, il potenziale di comunanza di autonomie singolari e diverse attirando i sottostanti nella coazione mimetica, nella rivalsa, nel conato di ritorsione, nella competizione/concorrenza, nell’antropologia della «teppa»); dell’anomalia italiana del rifiuto d’am- nistia; della necessità di una ricerc/azione anti-penale come ‘porta stretta’ per dei movimenti che vogliano evadere dalla mortificante uto- pia del buongoverno per riconoscere come ‘linea direttrice’ una comun’autonomizzazione. Rispetto a questi contesti, i ‘casi’ degli “imprescrittibili... di qui all’eternità” sono anche dei sintomi straordinaria- mente rivelatori, che tra-scendono la dimensione ‘locale’di prossimità. Su questi temi, ci permetteremo di invitarvi a un Giornale immaginario il prossimo mese di dicembre, a Roma. GIORNALE IMMAGINARIO COMUNAUTA Collectif solidarité pour Marina Pour éclairer la cellule de Marina de notre solidarité, inondons-la de nos cartes postale: Marina Petrella - n° d’écrou 932940 Maison d’arrêt de femmes de Fresnes Allée des Thuyas - 94261 Fresnes Participez à la solidarité financière pour la défense de Marina et contre les extraditions : Chèques ou virements à Janie Lacoste 67 rue de la Mare 75020 Paris CCP: 2113776N020 54 (étab : 30041 / guich : 00001) Contact :marinapetrella2007@yahoo.fr Appel pour les signatures : http://www.paroledonnee.info |